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Come a corroborare il rapporto di Bean, uno degli avversari gridò in tono sfottente: — Ehi, Dragamosci! Se volete pescare, non fatelo con uno stronzo attaccato alla lenza. Attaccateci le vostre sorelle, che noi stiamo qui ad abboccarcele!

Alcuni Draghi sogghignarono, impazienti di uscire con la pistola in mano, ma Ender non sapeva cosa pensare. Era una cosa stupida. Che possibilità aveva contro un nemico due volte più numeroso che per di più lo attendeva dietro una barricata? — In una guerra vera, ogni comandante con due grammi di cervello terrebbe indietro i suoi uomini anche lui.

— All’inferno! — disse Bean. — È soltanto un gioco.

— Ha smesso di essere un gioco quando gli insegnanti hanno cominciato a capovolgere le regole.

— Allora capovolgile anche tu.

Ender sogghignò. — D’accordo. Perché no? Vediamo come i nostri amici reagiscono davanti a una formazione.

Bean sbarrò gli occhi. — Una formazione? Ma non ne abbiamo mai fatta una da quando ci hanno messo in quest’orda!

— Abbiamo avuto la nostra prima battaglia dopo un mese di addestramento, cioè quando di solito si comincia a lavorare in formazione. Ormai è tempo che impariate anche questo. — Si volse alla porta, che era tornata a essere un muro opaco penetrabile da un solo lato, e con le dita segnalò: «branco A, avanti». I ragazzi emersero dalla parete d’energia, e lui cominciò a metterli in posizione al riparo della stella. Tre metri di spazio non erano molti, e la metà di loro erano confusi e di malumore, così ci vollero cinque minuti buoni prima che capissero il senso di ciò che stavano per fare.

Le Tigri e i Grifoni ingannavano il tempo gridando in coro sberleffi spiritosi di buon effetto, mentre i loro comandanti discutevano sulla possibilità di attaccare l’orda dei Draghi prima ancora che uscisse da dietro la stella. Momoe insisteva per l’attacco immediato. — Cristo, li superiamo per due a uno! — ripeteva, mentre la tesi di Bee era: — Appostati qui non possiamo perdere. Uscendo rischieremmo di scoprire che ha trovato un dannato modo per batterci.

Così restarono strettamente raggruppati dov’erano, finché in quella fosca penombra non videro una larga massa oscura emergere da dietro la stella dei Draghi. Aveva esattamente la stessa forma, e la mantenne anche quando smise di scivolare lateralmente e si proiettò dritta verso il centro vuoto del riparo quadrangolare usato dagli ottantadue avversari in attesa.

— Quella è bella! — esclamò un Grifone. — I Draghi che vengono avanti in formazione!

— Uno scudo! — brontolò Momoe. — E ci hanno impiegato cinque minuti per metterlo insieme. Se li attaccavamo allora, li avremmo già fatti a pezzi.

— Rifletti, Momoe — sussurrò Bee. — Hai visto il modo in cui quel ragazzino è volato fuori. Ha fatto un giro intorno alla stella senza toccare una parete. Forse hanno ottenuto l’uso dei radioganci, non credi? Devono avere qualcosa di nuovo, quelli là.

La formazione era comunque strana: un quadrato formato da corpi strettamente uniti, come un muro, sulla parte anteriore. Dietro di esso un cilindro, con la circonferenza fatta da sei ragazzi e una profondità di due; tutti quanti però completamente congelati e rigidi, cosicché non si capiva come riuscissero a tenersi uniti. E tuttavia qualcosa li teneva uniti quasi che fossero legati l’uno all’altro… il che, infatti, era vero.

Dall’interno di quella formazione altri Draghi stavano sparando con rapidità raffiche di colpi, e per un poco le Tigri e i Grifoni furono costretti a restare dietro le loro stelle.

— La parte posteriore di quell’affare lì è aperta — stabilì Bee. — Appena saranno abbastanza vicini potremo aggirarli e…

— Non starne a parlare, fallo! — esclamò Momoe. Senza perdere altro tempo ordinò ai suoi ragazzi di lanciarsi contro le pareti e rimbalzare dietro la formazione dei Draghi.

Nel caos della partenza delle Tigri, mentre i Grifoni si riunivano anch’essi lungo i bordi esterni del loro riparo, qualcosa mutò nella formazione dei Draghi: sia il cilindro che il muro frontale si aprirono in due, come se all’interno ci fosse stato un movimento molto energico, e all’istante essa invertì la direzione, tornando verso la porta da cui era partita. I Grifoni cominciarono a sparare, lanciandosi avanti, mentre la manovra aggirante delle Tigri riusciva perfettamente. I corpi dei Draghi pullulavano di cerchietti luminosi, centrati da decine e decine di colpi. Nella penombra Momoe mandava urla vittoriose.

Ma c’era qualcosa di strano, di sbagliato. Bee ci rifletté un momento e capì di cosa si trattava. Quella formazione non poteva aver invertito il volo a mezz’aria senza che qualcuno non si fosse spinto nella direzione opposta, e se questo qualcuno era partito con tanta forza da rimandare indietro la massa dei suoi compagni doveva esser schizzato via a gran velocità. Ringhiando un’imprecazione Bee si volse.

Ed era là: sei ragazzi con l’uniforme dei Draghi, proprio attaccati alla porta dei Grifoni e delle Tigri. Non c’erano arrivati sani, però, e con sollievo Bee vide che almeno cinque erano parzialmente inabilitati; soltanto uno era ancora intatto. Niente di cui preoccuparsi, dunque, si disse Bee. Puntò la pistola su uno di loro, prese con calma la mira, tirò il grilletto e…

Non accadde niente.

Le luci si accesero.

La battaglia era finita.

Anche se li aveva guardati e continuava a guardarli, Bee ci mise un po’ per capire cos’era successo. Quattro Draghi avevano posto il casco a contatto degli angoli luminosi della porta. E un quinto ci era passato attraverso. Insomma, avevano compiuto il rituale dell’apertura della porta nemica, e nient’altro. La loro orda era praticamente distrutta, non avevano inflitto ai Grifoni e alle Tigri la minima perdita, e avevano avuto l’incredibile sfacciataggine di andare a compiere il rituale della vittoria, causando l’accensione delle luci e la fine della battaglia.

Soltanto allora nella mente di William Bee si fece strada il sospetto che l’orda dei Draghi avesse non solo posto fine alla partita: esisteva la possibilità che, stiracchiando le regole, l’avessero anche vinta. Dopotutto, qualunque cosa accadesse in quel locale, un’orda non veniva registrata come vittoriosa finché i superstiti non fossero riusciti a toccare contemporaneamente i quattro angoli della porta nemica, mentre un quinto passava oltre nel corridoio. Di conseguenza se ne poteva arguire che il rituale della vittoria fosse la vittoria. Comunque, le apparecchiature automatiche della sala di battaglia avevano reagito a quel gesto, decretando la fine.

La porta degli insegnanti si aprì, e il maggiore Anderson fluttuò all’interno. — Ender! — chiamò, guardandosi attorno.

Uno dei Draghi completamente congelati mandò un mugolio all’interno del casco ermeticamente chiuso. Anderson usò il radiogancio per avvicinarlo e lo scongelò.

Ender stava sorridendo. — L’ho sconfitta di nuovo, signore — disse.

— Questo è un controsenso, Ender — rispose l’ufficiale, — I tuoi avversari erano i Grifoni e le Tigri.

— Fino a che punto crede che io sia stupido? — chiese Ender.

Ad alta voce Anderson annunciò: — Dopo questa… uh, manovra, tutto il regolamento sarà revisionato, introducendo l’obbligo che ogni soldato nemico sia congelato o disabilitato prima che la porta possa essere riaperta.

— Comunque, la cosa poteva funzionare soltanto una volta — aggiunse Ender.

Anderson gli consegnò il radiogancio. Ender scongelò i ragazzi tutti insieme. Al diavolo il protocollo. Al diavolo tutto. - Ehi! — gridò poi, mentre Anderson usciva. — Cosa farete la prossima volta? La mia orda chiusa in una gabbia e senz’armi, e con tutto il resto della scuola contro di noi? A quando uno scontro da pari a pari?

Nella sala si alzò un mormorio di consensi, e non soltanto da parte dei Draghi. Anderson non si prese la briga di voltarsi per replicare alla sfida di Ender. Fu William Bee a rispondergli: — Ender, se tu sei con una delle due parti in lotta non sarà mai uno scontro pari, qualunque cosa studino quelli.