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— Niente.

— Vede da sé quanto la cosa possa lasciarci perplessi, no?

— Ender Wiggin è già stato in situazioni di questo genere: sulla Terra, il giorno che gli fu tolto il monitor. E anche allora contro un gruppo di ragazzi più anziani che…

— Non sono venuto qui senza essermi documentato. Ender Wiggin ha provocato Bonzo Madrid oltre le sue capacità di sopportazione. E lei non ha neppure un uomo della Polizia Militare pronto a intervenire o a far opera di prevenzione. È irragionevole.

— Quando Ender Wiggin avrà il controllo delle nostre flotte, quando dovrà prendere decisioni da cui dipenderanno la vittoria o la distruzione dell’umanità, ci saranno lì squadroni della Polizia Militare a cui potrà rivolgersi perché gli tolgano le castagne dal fuoco?

— Mi scusi, ma non vedo il nesso.

— È chiaro. Ma il nesso c’è. Ender Wiggin deve avere la certezza che qualunque cosa accada nessun adulto interverrà mai ad aiutarlo. Deve sentirlo nel cuore e nelle viscere. Se in lui non si formerà questo istinto, non raggiungerà mai il vertice delle sue possibilità.

— Non lo raggiungerà neppure se sarà morto, o dovesse restare invalido per sempre.

— Questo non accadrà.

— Perché non si limita a promuovere Bonzo? Ha quasi finito il corso.

— Ender sa che Bonzo progetta di ucciderlo. Se lo trasferissimo anzitempo al corso superiore, capirebbe che noi stiamo qui a proteggerlo. Inoltre non sarò io a mandare alla Scuola Ufficiali un ragazzo palesemente inadatto al comando.

— Che mi dice degli altri ragazzi? Li metterà in condizioni di aiutarlo?

— Staremo a vedere cosa accadrà. Questa è stata e continua a essere la mia decisione irrevocabile.

— Dio l’aiuti se risulta che ha torto.

— Se ho torto, Dio ci aiuti tutti.

— Graff, se succede qualcosa di brutto al ragazzo io stesso le organizzerò la corte marziale. E farò in modo che il suo nome sia disprezzato da un capo all’altro del pianeta.

— Mi sta bene. Ma ricordi: se avrò visto giusto lei mi dovrà proporre per una dozzina di medaglie.

— Sì? E con quale menzione ufficiale?

— Per essere riuscito a tenermi la Polizia Militare fuori dai piedi.

Seduto in un angolo della sala di battaglia, con un braccio agganciato a un corrimano, Ender osservava Bean che faceva pratica con la sua squadra. Il giorno prima avevano lavorato su una tecnica di attacco senza pistole, disarmando gli avversari coi piedi. Ender li aveva aiutati suggerendo colpi e mosse di lotta. Molte cose avrebbero dovuto esser cambiate, ma lo scontro di due corpi in volo a gravità zero presentava qualche possibilità sfruttabile.

Quei giorno, comunque, Bean aveva un giocattolo nuovo. Era una treccia molecolare, uno di quei sottili e quasi invisibili fili usati nell’edilizia spaziale per trattenere oggetti e carichi nelle vicinanze. A volte erano lunghe alcuni chilometri. Quella non superava in lunghezza la diagonale della sala, e tuttavia, mollemente arrotolata intorno alla cintura di Bean, era più o meno invisibile. La svolse e ne consegnò un capo a uno dei suoi soldati. — Giralo intorno a quella ringhiera una ventina di volte, che stia ben fisso — ordinò, e si spinse verso l’altra estremità della sala.

Come filo di sbarramento non sarebbe servito a molto, decise Bean. Era abbastanza invisibile, ma c’erano poche possibilità che un avversario andasse a sbatterci contro e ne fosse deviato. Questo gli diede però l’idea di usare la treccia per cambiare direzione a mezz’aria. Se ne arrotolò metà intorno alla cintura, lasciò l’altro capo fissato alla ringhiera e balzò in volo. La treccia lo bloccò di colpo, lo fece roteare su se stesso e trasformò la sua traiettoria in un arco al termine del quale Bean sbatté con violenza in una parete.

Nella sala risuonarono le sue urla; ma a Ender occorse qualche momento per capire che non stava gridando di dolore: — Avete visto a che velocità andavo? Avete visto come ho cambiato direzione?

Poco dopo tutti i Draghi smisero l’allenamento per guardare Bean che s’impratichiva con la treccia molecolare. I mutamenti repentini di direzione facevano effetto, specialmente a chi non si rendeva conto che era legato con quel filo invisibile. Quando lo usò per roteare in orbita attorno a una stella riuscì a raggiungere una velocità stupefacente.

Erano le 2140 quando Ender fischiò la fine dell’allenamento serale. Stanca ma soddisfatta d’aver visto qualcosa di nuovo, la sua orda s’incamminò lungo i corridoi interni verso la camerata. Ender s’avviò fra loro, ascoltandone in silenzio i commenti e le spiritosaggini. Forse stavano pagando la fatica, rifletté: una battaglia al giorno per più di quattro settimane, spesso in situazioni che avevano messo duramente alla prova ogni loro risorsa. Ma erano orgogliosi, soddisfatti, uniti. Non avevano mai perso, e avevano imparato a confidare l’uno nell’altro. Sapevano che i loro compagni si battevano bene e con tenacia, sapevano che i loro capibranco non li facevano sudare in manovre prive di scopo, e soprattutto sapevano che lui li preparava ad affrontare tutte le eventualità.

Mentre oltrepassavano il vasto bar automatico, Ender notò parecchi ragazzi anziani riuniti in gruppetti che sembravano far conversazione nelle diramazioni del corridoio e sulle scale. Alcuni passeggiavano pigramente nel corridoio principale, o con le spalle poggiate a una parete avevano l’aria di chi aspetta qualcosa. Doveva essere più che una semplice coincidenza, rifletté, il fatto che molti di loro portassero l’uniforme delle Salamandre, mentre tutti gli altri appartenevano alle orde i cui comandanti lo odiavano di più. Alcuni lo sbirciavano e poi distoglievano in fretta lo sguardo, altri cercavano di apparire rilassati ma in realtà erano tesi e nervosi. Cosa potrei fare se aggredissero la mia orda qui nel corridoio? I miei ragazzi sono giovani, tutti fisicamente inferiori, e per niente addestrati alla lotta in gravità normale. Se avessimo avuto il tempo di…

— Ehi, Ender — lo chiamò una voce femminile. Si volse e vide Petra, sulla soglia del piccolo museo dei voli spaziali in compagnia di un’altra ragazzina. — Ender, posso parlarti un momento?

Lui si rese conto che se si fosse fermato la sua orda sarebbe passata oltre, svoltando intorno alla sala musica e lasciandolo solo. — Facciamo quattro passi. Porta anche la tua amica — disse.

— Soltanto una parola. Aspetta.

Lui girò l’angolo insieme ai compagni. Pochi secondi dopo sentì i passi di Petra raggiungerlo di corsa. — D’accordo, verrò in là con te. — Quando Ender la ebbe accanto s’irrigidì involontariamente. Era anche lei una di loro, una di quelli che lo odiavano abbastanza da volergli fare del male?

— Un amico mi ha chiesto di avvertirti. Ci sono dei ragazzi che vogliono ucciderti.

— Che sorpresa! — esclamò Ender. I suoi compagni drizzarono gli orecchi. Li vide scambiarsi alcuni sussurri, con aria fra accigliata e disgustata.

— Ender, guarda che possono farlo. Lui mi ha detto che lo stanno progettando fin da quando sei stato promosso comandante e…

— E ancor di più da quando ho battuto le Salamandre, vuoi dire?

— Anch’io ti ho odiato, quando hai sconfitto l’orda delle Fenici.

— Non ti biasimo. Avrai avuto i tuoi motivi.

Lei sbatté le palpebre. — Comunque, lui mi ha detto di prenderti da parte, oggi, appena uscito dalla sala di battaglia, e di avvisarti che domani dovrai stare molto attento perché…

— Petra, se tu mi avessi preso da parte poco fa, in corridoio c’erano almeno una dozzina di ragazzi che avrebbero potuto spingermi dentro una stanza vuota. Vuoi darmi a intendere che non te n’eri accorta?

D’improvviso il volto di lei avvampò. — No. Come puoi pensare una cosa simile? Non sai neppure chi sono i tuoi amici? — Bruscamente la ragazza spinse da parte un paio di Draghi, girò un angolo e s’allontanò su per la scala che portava al ponte superiore.