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Imeyne trascorse la lunga serata seduta accanto al cappellano e intenta a recitare tutte le proprie lamentele nei confronti di Padre Roche… che era ignorante, goffo, e durante la messa della domenica precedente aveva detto il Confiteor prima dell'Adjutorum.

Kivrin pensò però che in quel momento Padre Roche era in ginocchio nella chiesa gelida mentre il cappellano si stava scaldando le mani al fuoco scuotendo al tempo stesso il capo con disapprovazione.

Il fuoco si ridusse ad un mucchio di carboni ardenti e Rosemund si liberò dalla stretta di Sir Bloet per tornare al suo gioco. Adesso Gawyn stava raccontando la storia di come una volta avesse ucciso sei lupi, senza distogliere un momento lo sguardo da Eliwys; poco lontano, il cappellano narrò invece di una donna morente che aveva reso una falsa confessione… quando il cappellano le aveva toccato la fronte con l'olio santo la sua pelle aveva emesso del fumo e si era tinta di nero sotto i suoi occhi.

A metà della storia del cappellano Gawyn si alzò, si massaggiò le mani protendendole sul fuoco e andò a sedersi sulla panca dei mendicanti, togliendosi gli stivali.

Dopo un minuto Eliwys lo raggiunse; Kivrin non poté sentire cosa gli disse, ma Gawyn si alzò in piedi con lo stivale in mano.

— Il processo è stato rimandato ancora una volta. — Le parole di Gawyn arrivarono fino a Kivrin. — Il giudice che doveva dirigerlo si è ammalato.

Di nuovo la risposta di Eliwys sfuggì all'udito di Kivrin.

— Sono buone notizie — replicò però Gawyn, annuendo. — Il nuovo giudice viene da Swindone ed è meno disposto a favore di Re Edoardo.

Nessuno dei due dava però l'impressione di pensare che fossero buone notizie… Eliwys era pallida quasi quanto lo era stata quando Imeyne le aveva detto di aver mandato Gawyn a Courcy e stava tormentando il pesante anello che le ornava la mano.

Gawyn si rimise a sedere, pulì il fondo della calzamaglia dai pezzi di giunco e si infilò di nuovo lo stivale prima di sollevare la testa e di dire qualcos'altro. Eliwys distolse il volto e le ombre impedirono a Kivrin di scorgere la sua espressione… ma quella di Gawyn era ben visibile.

Ai suoi occhi come a quelli di chiunque altro nella sala, si disse Kivrin, e si lanciò intorno un'occhiata affrettata per vedere se la coppia fosse stata notata. Imeyne era concentrata sulle lamentele che stava esponendo al cappellano, ma la sorella di Sir Bloet stava seguendo la scena con la bocca tesa in un'espressione di disapprovazione, e al di là del fuoco lo stesso stavano facendo Sir Bloet e gli altri uomini.

Kivrin aveva sperato di poter avere l'opportunità di parlare con Gawyn quella notte, ma era evidente che non poteva farlo in mezzo a tutta quella gente così attenta. Una campana si mise a rintoccare ed Eliwys sussultò, guardando verso la porta.

— È il rintocco del Diavolo — sussurrò il cappellano, e perfino i bambini smisero di giocare per ascoltare.

In alcuni villaggi era usanza suonare un rintocco per ogni anno trascorso dalla nascita di Cristo, ma in genere la campana suonava soltanto per tutta l'ora precedente la mezzanotte e comunque Kivrin dubitava che Roche, o anche il cappellano, fossero in grado di contare fino ad un numero tanto elevato… comunque cominciò a tenere lo stesso il conto dei rintocchi.

Tre servitori entrarono nella sala portando ceppi per il fuoco ed esca, e riattizzarono le fiamme che si levarono vivide e luminose, proiettando enormi ombre distorte sui muri. Agnes balzò in piedi indicando, e uno dei nipoti di Sir Bloet proiettò con le mani l'ombra di un coniglio.

Il Signor Latimer aveva detto che la gente di quell'epoca era solita leggere il futuro nelle ombre proiettate dal ceppo di Natale, e adesso Kivrin si chiese cosa il futuro avesse in serbo per quella gente, considerati i guai in cui versava Lord Guillaume e il fatto che erano tutti in pericolo.

Dal momento che il re sequestrava le terre e i beni dei criminali condannati come tali, la famiglia di Guillaume avrebbe potuto essere costretta ad andare a vivere in Francia o ad accettare la carità di Sir Bloet e sopportare gli affronti della moglie del castaldo.

O forse Lord Guillaume sarebbe arrivato stanotte portando buone notizie e un falcone per Agnes e sarebbero vissuti tutti felici e contenti. Tranne Eliwys. E Rosemund. Che ne sarebbe stato di lei?

È già successo tutto, si rese conto, con un senso di meraviglia. Il verdetto è già stato pronunciato e Lord Guillaume è tornato a casa e ha scoperto la tresca fra Gawyn ed Eliwys; Rosemund è già stata consegnata a Sir Bloet; Agnes è cresciuta e si è sposata, ed è morta di parto, oppure di avvelenamento del sangue o di colera o di polmonite. Sono tutti morti, si ripeté, senza riuscire ad indursi a crederlo. Quelle persone erano morte da oltre settecento anni.

— Guardate! — strillò in quel momento Agnes, — Rosemund non ha la testa!

E indicò le ombre distorte che il fuoco proiettava sulle pareti… quella di Rosemund, stranamente allungata, finiva all'altezza delle spalle.

— Neppure io ce l'ho! — gridò uno dei ragazzini con la testa rossa, correndo da Agnes e saltando in punta di piedi per cambiare la forma della propria ombra.

— Non hai la testa, Rosemund — gridò ancora Agnes, allegramente. — Morirai prima che l'anno sia finito.

— Non dire cose del genere — la rimproverò Eliwys, avanzando verso di lei, e tutti si girarono a guardare.

— Kivrin ha la testa — persistette Agnes, — ed anch'io ce l'ho, ma la povera Rosemund no.

— Questi sono soltanto giochi sciocchi — dichiarò Eliwys, afferrando la figlia per entrambe le braccia. — Non dire più cose del genere.

— Ma l'ombra… — insistette Agnes, dando l'impressione di essere sul punto di scoppiare in pianto.

— Siedi vicino a Lady Katherine e taci — ingiunse Eliwys, poi accompagnò la figlia da Kivrin e quasi la spinse sulla panca, aggiungendo: — Sei diventata troppo selvatica.

Agnes si raggomitolò contro Kivrin, ancora indecisa se piangere o meno; Kivrin intanto aveva perso il conto, ma lo riprese da dove era rimasta. Quarantasei. Quarantasette.

— Voglio la mia campanella — disse Agnes, scendendo dalla panca.

— No, devi stare seduta tranquilla — ribatté Kivrin, prendendola sulle ginocchia.

— Parlami del Natale.

— Te l'ho già detto, Agnes, non riesco a ricordare.

— Non ricordi nulla che tu possa raccontarmi?

Ricordo tutto, pensò Kivrin. Le vetrine piene di nastri di satin, di mylar e di velluto rosso, azzurro e oro, di una tinta ancora più vivida di quella del mio vestito, e poi ci sono luci e musica. Il Great Tom e le campane di Magdalen e le carole natalizie.

Ripensò al carillon della Torre Carfax che intonava «Accadde nella Mezzanotte Limpida» e agli stanchi e flebili carillon dei negozi sulla High, poi pensò che quelle carole non erano ancora state scritte e avvertì un'improvvisa fitta di nostalgia di casa.

— Voglio suonare la mia campana — insistette Agnes, divincolandosi per scendere dalle ginocchia di Kivrin e protendendo il polso. — Dammela.

— Te la legherò al polso se ti sdraierai per un poco sulla panca accanto a me — mercanteggiò Kivrin.

— Devo dormire? — domandò Agnes, dando l'impressione di essere di nuovo prossima al pianto.

— No. Ti racconterò una storia — propose Kivrin, slacciando la campanella dal proprio polso, dove l'aveva legata per non perderla. — C'era… — cominciò quindi, ma subito s'interruppe, chiedendosi se il classico inizio di ogni fiaba, «c'era una volta» risalisse addirittura al 1320 e che genere di storie le persone di quell'epoca narrassero ai loro bambini… storie di lupi e di streghe la cui pelle diventava nera quando veniva loro data l'estrema unzione. — C'era una volta una fanciulla… — disse infine, legando la campanella al polso di Agnes. Il nastro rosso aveva già cominciato a sfilacciarsi alle estremità e non avrebbe retto ad essere legato e slegato molte volte. — Questa fanciulla viveva…