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Forse Montoya aveva visto Badri prima di mercoledì mattina, o sapeva dove lui avesse trascorso quell'intervallo fra mezzogiorno e l'una e mezza.

— Quando ha telefonato, la Signora Montoya ti ha lasciato il suo recapito? — chiese a Colin, e allorché non ebbe risposta sollevò lo sguardo, chiamando: — Colin!

Il ragazzo non era nella stanza da letto e neppure nel salotto, anche se la sua sacca c'era, con il contenuto sparso su tutto il tappeto.

Dunworthy cercò il numero di Montoya a Brasenose e lo compose senza aspettarsi davvero una risposta: se stava ancora cercando Basingame, l'archeologa non poteva aver già ottenuto il permesso di tornare agli scavi e senza dubbio doveva essere all'SSN o all'Associazione Nazionale, intenta a tempestare perché dichiarassero il sito luogo di «inestimabile valore».

Si vestì e scese nella sala comune in cerca di Colin. Fuori stava ancora piovendo e il cielo era della stessa grigia tonalità umida delle pietre della pavimentazione e della corteccia delle betulle. Aveva sperato che i suonatori di campane e gli altri «ospiti» avessero fatto colazione presto per poi tornare nelle stanze loro assegnate… ma la sua era stata una pia speranza, perché poté sentire il chiasso di voci femminili proveniente dalla sala quando era ancora in mezzo al cortile.

— Grazie al cielo è qui, signore — esclamò Finch, venendogli incontro sulla porta. — L'SSN ha appena telefonato e vuole che accogliamo altre venti persone.

— Risponda che non possiamo — replicò Dunworthy, scrutando la folla. — Abbiamo l'ordine di evitare qualsiasi contatto con persone infette. Ha visto il nipote della Dottoressa Ahrens?

— Era qui un momento fa — cominciò Finch, sbirciando oltre la testa delle donne presenti, ma Dunworthy aveva intanto già avvistato il ragazzo, in piedi in fondo al tavolo a cui erano seduti i suonatori di campane e intento a spalmare di burro parecchi crostini.

Si affrettò a raggiungerlo.

— Quando ha telefonato, la Signora Montoya ha detto dove poteva essere rintracciata?

— Quella con la bicicletta? — domandò Colin, facendo seguire la marmellata al burro.

— Sì.

— No, non lo ha detto.

— Vuole far colazione, signore? — chiese Finch. — Temo che pancetta e uova siano finite, e anche la marmellata comincia a scarseggiare — aggiunse, scoccando un'occhiata rovente a Colin, — però c'è della farinata d'avena e…

— Mi basta un tè — lo interruppe Dunworthy. — Montoya ha detto da dove stava chiamando?

— Si sieda — interloquì la Signora Taylor. — Le volevo parlare a proposito della nostra Sorpresa di Chicago.

— Con esattezza, cos'ha detto la Signora Montoya? — insistette Dunworthy, rivolto a Colin.

— Che a nessuno importava che i suoi scavi si rovinassero e che un legame prezioso con il passato andasse perduto, e che voleva proprio sapere che sorta di persona poteva decidere di andare a pescare nel cuore dell'inverno — rispose Colin, grattando la marmellata rimasta attaccata ai lati della confezione.

— Il tè sta finendo — annunciò Finch, versandone a Dunworthy una tazza pallidissima.

— Vuoi una cioccolata, Colin? O un bicchiere di latte? — suggerì Dunworthy, sedendosi.

— Il latte è quasi finito — recitò Finch.

— Non mi serve niente, grazie — garantì Colin, facendo combaciare fra loro i lati di crostino spalmati di marmellata. — Voglio soltanto portare questi crostini con me mentre vado al cancello per aspettare il postino.

— Ha telefonato il vicario — avvertì Finch. — Mi ha chiesto di informarla che basta che vada da lui alle sei e mezza per esaminare le letture.

— Intendono tenere lo stesso il servizio della Vigilia? — domandò Dunworthy. — In queste circostanze, credo che non verrà nessuno.

— Noi eseguiremo parecchi brani con le campane a mano — interloquì ancora la Signora Taylor. — Naturalmente questo non può sostituire un concerto di campane ma è pur sempre qualcosa. Il sacerdote della Santa Chiesa Riformata leggerà un brano tratto dalla Messa in Tempo di Pestilenza.

— Ah, questo dovrebbe contribuire a tenere su il morale — commentò Dunworthy.

— Posso andare? — chiese Colin.

— Un ragazzino non dovrebbe uscire con questo tempo — dichiarò la Signora Gaddson, comparendo come un'arpia con in mano una grossa ciotola di farinata d'avena e piazzandosi davanti a Colin. — E non dovrebbe essere esposto ai germi in una chiesa piena di spifferi. Potrà restare qui con me durante il servizio — concluse, spingendo una sedia verso Colin, e ordinò: — Adesso siedi e mangia la tua farinata.

Colin scoccò un'occhiata implorante a Dunworthy.

— Colin, puoi andare a prendermi il numero di telefono della Signora Montoya? — intervenne questi. — L'ho lasciato nella mia stanza.

— Sì! — strillò Colin, abbandonando a razzo la sedia.

— Quando quel bambino contrarrà l'influenza indiana — scandì la Signora Gaddson, — spero che ricorderà di essere stato lei a incoraggiare le sue cattive abitudini alimentari. Per me è evidente che questa epidemia è stata provocata dalla cattiva nutrizione e dall'assoluta mancanza di disciplina. Il modo in cui è gestito questo college è deplorevole: ho chiesto di essere messa in camera con mio figlio William e invece mi è stata assegnata una camera addirittura in un altro edificio, e…

— Temo che per questo dovrà parlare con Finch — la interruppe Dunworthy, alzandosi e avvolgendo in un tovagliolino i crostini con la marmellata lasciati da Colin, — perché io devo andare in Infermeria.

E fuggì prima che la Signora Gaddson potesse tornare all'attacco.

Rientrato nella sua stanza tentò ancora di chiamare Andrews ma la linea era occupata quindi provò a comporre il numero del sito archeologico nella speranza che Montoya avesse ottenuto la sua deroga alla quarantena, ma non ebbe nessuna risposta. Tentò allora di nuovo con Andrews e con suo stupore la linea diede segnale libero; dopo tre squilli, però, entrò in funzione una segreteria telefonica.

— Sono il Signor Dunworthy — disse, poi esitò e fornì il numero della propria stanza aggiungendo: — Le devo parlare immediatamente. È importante.

Riattaccato il ricevitore, mise in tasca il dischetto con le informazioni dei contatti, prese l'ombrello e il crostino di Colin e uscì nel cortile.

Il ragazzo era raggomitolato sotto il riparo offerto dalle porte e stava guardando con ansia lungo la strada in direzione di Carfax.

— Sto andando all'Infermeria per vedere il mio tecnico e la tua prozia — lo informò Dunworthy, porgendogli il crostino. — Vuoi venire con me?

— No, grazie, voglio aspettare il postino — rifiutò Colin.

— D'accordo, ma per l'amor del cielo va' a prendere la tua giacca prima che la Signora Gaddson capiti qui e cominci a rimproverarti.

— L'Arpia è già stata qui — replicò Colin, — e ha cercato di costringermi a mettermi una sciarpa. Una sciarpa! — ripeté, scoccando un'altra occhiata ansiosa lungo la strada. — Io l'ho ignorata.

— Non ci avevo pensato — ammise Dunworthy. — Dovrei essere a casa per pranzo. Se ti serve qualcosa, rivolgiti a Finch.

— D'accordo — rispose Colin, ma era chiaro che non stava sentendo… Dunworthy si chiese quale regalo potesse mandargli sua madre per causare tanta ansia. Di certo non una sciarpa, rifletté mentre si avvolgeva la propria intorno al collo e si incamminava verso l'Infermeria sotto la pioggia. Per strada c'era poca gente e i rari passanti si tenevano alla larga gli uni dagli altri… una donna scese addirittura dal marciapiede per evitare Dunworthy.

Se non ci fosse stato il carillon che imperterrito scandiva le note di «Giunse a Mezzanotte Limpida…» non si sarebbe mai supposto che quella fosse la Vigilia di Natale, perché nessuno portava pacchi o rami di agrifoglio. Sembrava che la quarantena avesse allontanato completamente l'idea del Natale dalla mente della gente.

E non era forse così? Lui stesso non aveva minimamente pensato a comprare doni o anche solo un albero da decorare. Pensò a Colin, raggomitolato sotto i cancelli di Balliol, e si augurò che sua madre non si fosse dimenticata di spedirgli i doni, decidendo al tempo stesso che nel tornare a casa si sarebbe fermato in un negozio per comprare al ragazzo un piccolo regalo… un giocattolo o un video o qualche altra cosa che non fosse una sciarpa.