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— Chi è Kivrin? — domandò Colin. — Sua figlia?

— È la mia allieva, ed è appena andata nel 1320.

— Un viaggio nel tempo? Apocalittico!

Intanto svoltarono l'angolo della High con la Broad,

— Il medioevo — mormorò Colin. — È l'epoca di Napoleone, vero? E di Trafalgar e di tutto il resto.

— È il periodo della Guerra dei Cent'Anni — spiegò Dunworthy; Colin assunse un'espressione vacua e lui si chiese cosa insegnassero adesso ai ragazzi a scuola, mentre precisava: — Cavalieri, dame e castelli.

— E le Crociate?

— Le Crociate sono avvenute un po' prima.

— È quello il periodo in cui vorrei andare — dichiarò Colin.

Intanto erano arrivati alle porte di Balliol.

— Ora non fare rumore — avvertì Dunworthy, — perché tutti staranno dormendo.

Non c'era nessuno in portineria e nessuno nel cortile principale. Nella sala comune c'erano le luci accese… probabilmente i suonatori di campane stavano facendo colazione… ma la sala professori era al buio e così anche l'ala Salvin. Se fossero riusciti a salire le scale senza incontrare nessuno e senza che Colin annunciasse all'improvviso di avere fame, forse sarebbero arrivati sani e salvi nel suo alloggio.

— Shh — sibilò in tono di ammonimento, girandosi verso Colin, che si era fermato nel cortile per tirare fuori la gomma da masticare ed esaminarne il colore, adesso di un nero tendente al porpora. — Non voglio svegliare tutti — avvertì, con un dito sulle labbra, e nel girarsi andò a sbattere contro una giovane coppia ferma sulla soglia.

I due avevano indosso l'impermeabile e si stavano abbracciando con fervore, tanto che il giovane non parve neppure accorgersi dell'avvenuta collisione; la ragazza, che aveva corti capelli rossi e indossava un'uniforme da allieva infermiera, si liberò però dal suo abbraccio con espressione spaventata. Il giovane era William Gaddson.

— Il suo comportamento è sconveniente sia dal punto di vista del luogo che dell'ora — lo rimproverò Dunworthy, in tono severo. — Nel collegio sono manifestamente proibite le effusioni sentimentali in pubblico, comportamento sconsigliabile anche in vista del fatto che sua madre potrebbe essere qui da un momento all'altro.

— Mia madre? — ripeté Gaddson, con lo stesso sgomento provato da Dunworthy quando aveva visto la donna avanzare lungo il corridoio brandendo la sua valigia. — Qui? A Oxford? Cosa ci fa qui? Credevo che fosse in corso una quarantena.

— Infatti, ma l'amore materno non conosce confini. Era preoccupata per la sua salute… e considerate le circostanze lo sono anch'io — ribatté Dunworthy, fissando con espressione accigliata tanto William quanto la giovane donna, che ridacchiò. — Le suggerirei di scortare la sua complice a casa e di prepararsi all'arrivo di sua madre.

— Prepararmi? — Adesso William appariva veramente sconvolto. — Intende dire che si fermerà qui?

— Temo che non abbia alternative, visto che è in corso una quarantena.

In quel momento sulla scala si accesero improvvisamente le luci e sopraggiunse Finch.

— Grazie al cielo è qui, Signor Dunworthy! — esclamò, agitando un fascio di carte che aveva in mano. — Il Centro Sanitario Nazionale ci ha appena mandato altre trenta persone. Ho spiegato che non avevamo più spazio ma non mi hanno dato ascolto e adesso non so cosa fare. Non abbiamo semplicemente scorte sufficienti per tutta questa gente.

— La carta igienica — sospirò Dunworthy.

— Sì! — confermò Finch, brandendo le carte, — ed anche le scorte alimentari. Soltanto stamattina abbiamo consumato metà delle uova e della pancetta.

— Uova e pancetta? — ripeté Colin. — Ce ne sono ancora?

Finch lo fissò con espressione interrogativa, spostando poi lo sguardo su Dunworthy.

— È il nipote della Dottoressa Ahrens — spiegò questi, e prima che Finch potesse ricominciare con la sua litania aggiunse: — Si sistemerà nel mio alloggio.

— Bene, perché semplicemente non posso trovare spazio ad un'altra persona.

— Siamo stati entrambi svegli per tutta la notte, Signor Finch, quindi…

— Ecco la lista delle scorte di viveri aggiornata a questa mattina — lo interruppe Finch, porgendogli un foglio azzurro un po' umido. — Come può vedere…

— Signor Finch, apprezzo la sua preoccupazione per le scorte di viveri, ma sono certo che la cosa possa aspettare finché…

— E questa è la lista delle telefonate che ha ricevuto, con un asterisco che contrassegna le persone che deve richiamare. Qui c'è invece un elenco dei suoi appuntamenti. Il vicario desidera che domani lei si trovi a St. Mary alle sei e un quarto per ripassare il servizio della Vigilia.

— Richiamerò queste persone, ma dopo che…

— La Dottoressa Ahrens ha telefonato due volte. Voleva sapere se ha scoperto qualcosa riguardo ai suonatori di campane.

Dunworthy si arrese.

— Sistemi i nuovi arrivati a Warren e Basevi, tre per stanza. Ci sono brande di riserva nella cantina.

Finch aprì la bocca per protestare, ma Dunworthy lo prevenne.

— Dovranno adattarsi e sopportare l'odore di vernice — affermò, poi porse l'ombrello e la borsa di Mary a Colin e aggiunse, indicando: — Va' nella sala comune, in quell'edificio laggiù con le luci accese, e di agli inservienti che ti diano la colazione e che poi uno di loro ti accompagni nel mio alloggio.

Si girò quindi verso William, le cui mani stavano armeggiando sotto l'impermeabile dell'allieva infermiera.

— Signor Gaddson, procuri un taxi alla sua complice e poi rintracci tutti gli studenti che sono rimasti qui per le vacanze e chieda a ciascuno di loro se si è recato negli Stati Uniti durante la scorsa settimana o se ha avuto contatti con qualcuno che ci sia stato. Quando ha finito mi faccia una lista. Lei non ha visitato di recente gli Stati Uniti, vero?

— No, signore — replicò lui, ritraendo le mani dall'infermiera. — Sono rimasto qui per tutte le vacanze a leggere Petrarca.

— Ah, sì, Petrarca — commentò Dunworthy. — Chieda agli studenti se sanno qualcosa delle attività di Badri Chaudhuri da lunedì in poi e interroghi anche il personale. Ho bisogno di sapere dove è stato e con chi, e voglio un rapporto dello stesso tipo per quanto concerne Kivrin Engle. Faccia un buon lavoro e si trattenga da altre effusioni in pubblico e provvederò perché a sua madre venga assegnata una stanza il più lontano possibile da lei.

— Grazie, signore — rispose William. — Per me questo significherebbe molto.

— Ora, Signor Finch, mi vuole dire dove posso trovare la Signora Taylor?

Finch gli porse altri fogli su cui era segnata l'assegnazione delle stanze, ma la Signora Taylor non risultò essere nella sua camera. Invece era nella sala comune con i suoi suonatori di campane e altre persone a cui pareva non fosse ancora stata assegnata una stanza.

Una di quelle persone, una donna imponente che indossava una pelliccia, lo afferrò per un braccio non appena fu entrato.

— È lei che comanda qui? — gli chiese.

— Sì — rispose Dunworthy, pensando che non pareva proprio che fosse così.

— E cosa intende fare per procurarci un posto dove dormire? Siamo rimasti in piedi per tutta la notte.

— Anch'io, signora — replicò Dunworthy, temendo che quella potesse essere la Signora Taylor. Sullo schermo del telefono era parsa più magra e meno pericolosa, ma le immagini a distanza potevano essere ingannevoli e atteggiamento e accento erano inconfondibili. — Lei è la Signora Taylor?

— Sono io — intervenne una donna che occupava una delle sedie, alzandosi. Di persona appariva ancora più magra e, a quanto pareva, meno infuriata. — Sono stata io a parlare con lei al telefono, prima — aggiunse, e dal tono con cui lo disse la conversazione avrebbe potuto essere una piacevole dissertazione sull'intricatezza delle variazioni musicali. — Questa è la Signora Piantini, il nostro tenore — presentò poi, indicando la donna con la pelliccia.