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— Thin keowre hoorwoun desmoortale? — domandò la donna giovane.

— Got tallon wottes — rispose l'altra.

Lontano una campana cominciò a rintoccare e Kivrin aprì gli occhi. Entrambe le donne si erano girate per guardare verso la finestra anche se attraverso il panno di lino non potevano scorgere nulla.

— Bere wichebay gansanon — mormorò la donna più giovane.

La vecchia non rispose e continuò a fissare la finestra come se potesse vedere oltre il rigido panno di lino, con le mani serrate davanti a sé in atteggiamento di preghiera.

— Aydreddit ister fayve riblaun — aggiunse la nuora, e nonostante la sua risoluzione di poco prima Kivrin cercò di interpretare le sue parole come un «è ora dei vespri» oppure «è la campana dei vespri», però quelli non erano i vespri. Infatti i rintocchi continuarono ad echeggiare senza che nessun'altra campana si unisse ad essi, e Kivrin si chiese se era quella che al suo arrivo aveva sentito suonare isolata nel tardo pomeriggio.

La vecchia volse le spalle alla finestra.

— Nay, Elwiss, ithahn diwolffin — replicò, prelevando il pitale dalla cassapanca. — Gawynha thesspyd…

Fuori della porta si udì un rumore improvviso di passi che correvano su per una scala, accompagnati da una voce infantile che gridava:

— Modder! Eysmertemay!

Una bambina fece irruzione nella stanza con le trecce bionde che le sobbalzavano sulle spalle e i lacci della cuffietta che svolazzavano intorno al viso, e per poco non andò a sbattere contro la vecchia che reggeva il pitale. Il volto della bambina era arrossato e rigato di lacrime.

— Wol yadothoos forshame ahnyous! — le ringhiò la vecchia, sollevando il pericoloso pitale in modo da toglierlo di mezzo. — Yowe mauri naroons inbus.

La bambina però non le prestò attenzione e corse dritta verso la donna più giovane.

— Rawzamun hattmay smerte, Modder! — singhiozzò.

Kivrin sussultò. Modder. Quella parola doveva significare «madre».

La bambina protese le braccia e sua madre… oh, sì, non c'erano dubbi che fosse sua madre… la sollevò; serrando le mani dietro il collo materno, la piccola cominciò a strillare.

— Shh, ahnyous, shh. — la consolò sua madre.

Quella gutturale è una G, pensò Kivrin, una secca G tedesca. Agnes.

Continuando a tenere la bambina in braccio, la donna più giovane sedette sotto la finestra e asciugò le lacrime della figlia con un angolo della propria cuffia.

— Spekenaw dothass bifel, Agnes.

Sì, il nome era decisamente Agnes, e speken significava parlare… la frase completa era quindi «dimmi cosa è successo».

— Shayoss mayswerte! — strillò Agnes, indicando un'altra bambina che era appena entrata nella stanza e che era decisamente più grande di lei… doveva infatti avere almeno nove o dieci anni. I suoi lunghi capelli erano castani e le ricadevano liberi sulla schiena, tenuti a posto da un fazzoletto blu scuro.

— Itgan naso, ahnyous — disse la seconda bambina. — Tha pighte rennin gawn derstayres. — Era impossibile fraintendere la mescolanza di affetto e di disprezzo nel suo tono… anche se non somigliava ad Agnes, Kivrin si sentì pronta a scommettere che quella ragazzina dai capelli scuri era la sua sorella maggiore. — Shay pighte renninge ahndist eyres, Modder.

«Madre» di nuovo, e shay doveva significare «lei» mentre pighte doveva voler dire «cadere». Questa lingua sembrava francese, ma la chiave per comprenderla era invece il tedesco: pronunce e costruzioni erano tutte tedesche. Kivrin poté quasi sentire lo scatto con cui i pezzi combaciarono nella sua mente.

— Na comfitte horr thusselwys — brontolò la vecchia. — She hauthnau woundes. Hoor teres been fornaught mais gain thy pithe.

— Hoor nay ganful bloody — replicò la donna giovane, ma Kivrin non poté cogliere le sue parole perché stava ascoltando la versione della frase della vecchia fornita dal traduttore, ancora impacciata e senza dubbio decisamente più lenta della conversazione effettiva, ma pur sempre una traduzione.

— Non la coccolare, Eliwys — aveva detto la vecchia. — Non è ferita. Le sue lacrime servono soltanto ad attirare la tua attenzione.

— Il suo ginocchio sanguina — aveva risposto la madre, che rispondeva al nome di Eliwys.

— Rossmunt, brangund oorwarsted frommecofre — aggiunse adesso, indicando i piedi del letto, e un istante più tardi il traduttore fornì il significato delle sue parole: — Rosemund, prendimi il panno sulla cassapanca.

La ragazza più grande si chiamava Rosemund e la bambina era Agnes, mentre la madre assurdamente giovane con la sua cuffietta ingiallita rispondeva al nome di Eliwys.

Rosemund porse a sua madre una striscia di tessuto logoro che era di certo la stessa che era servita a fasciare la testa di Kivrin.

— Non toccare! Non toccare! — strillò Agnes, parole per cui Kivrin non avrebbe in ogni caso avuto bisogno del traduttore, che era comunque sempre indietro di più di una battuta.

— Voglio soltanto legare il panno per fermare il sangue — spiegò Eliwys, togliendo lo straccio dalle mani di Rosemund, ma Agnes cercò di respingerlo. — Questo panno non ti… — Ci fu un vuoto al posto di una parola che il traduttore non aveva riconosciuto, poi: — … Agnes.

Ovviamente la parola era «farà male» o qualcosa del genere, e Kivrin si chiese come mai il traduttore non l'avesse nella propria memoria o non fosse riuscito a ricavare dal contesto un sinonimo approssimativo.

— … farà penaunce — gridò Agnes, e il traduttore le fece eco: «farà…» presentando un altro vuoto.

Quella pausa vuota doveva servire per permettere a Kivrin di sentire la parola effettiva e di azzardare lei stessa una supposizione sul suo significato… di per sé non era una cattiva idea, ma il traduttore era così indietro rispetto alla conversazione che lo spazio non cadeva nel punto giusto e Kivrin non aveva modo di sentire ciò che avrebbe dovuto. Se il traduttore avesse continuato a fare una cosa del genere ogni volta che non riconosceva una parola lei si sarebbe trovata nei guai.

— Farà «penaunce» — gemette ancora Agnes, spingendo la mano della madre lontano dal proprio ginocchio. «farà dolore» sussurrò il traduttore nell'orecchio di Kivrin, che si sentì sollevata che esso fosse riuscito a elaborare qualcosa di alternativo, anche se decisamente sgrammaticato.

— Come hai fatto a cadere? — chiese Eliwys, per distrarre la bambina.

— Stava correndo su per le scale — spiegò Rosemund. — Stava correndo da te per darti la notizia che… è arrivato.

Il traduttore lasciò di nuovo un vuoto, ma questa volta Kivrin riuscì a sentire la parola ad esso corrispondente: Gawyn, che probabilmente era un nome di persona. A quanto pareva, il traduttore era giunto alla stessa conclusione, perché quando Agnes ribatté usando di nuovo quel nome, esso lo incluse nella traduzione.

— Volevo dire io alla mamma che Gawyn è arrivato! — strillò la bambina. — Volevo dirlo io — ripeté, piangendo adesso sul serio, e nascose il volto contro il petto della madre, che ne approfittò immediatamente per legarle la benda intorno al ginocchio.

— Puoi dirmelo adesso — replicò quindi.

Agnes scosse soltanto il capo.

— La benda che hai legato è troppo lenta, nuora — intervenne la vecchia. — Scivolerà via.

A Kivrin la benda sembrava sufficientemente stretta, ed era ovvio che qualsiasi tentativo di stringerla maggiormente avrebbe provocato nuovi strilli. La vecchia stava ancora tenendo il pitale con entrambe le mani, e Kivrin si chiese perché non andasse a svuotarlo.

— Shh, shh — mormorò Eliwys, cullando gentilmente la bambina e battendole dei colpetti sulla schiena. — Sarei stata contenta che me lo avessi detto.

— È l'orgoglio a provocare le cadute — sentenziò la vecchia, che sembrava decisa a far piangere ancora Agnes. — Se sei caduta la colpa è tua. Non avresti dovuto correre per le scale.