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Kivrin si chiese se stessero discutendo di ciò che ne dovevano fare di lei. Debolmente, spinse il copriletto con le mani come se potesse così allontanarsi da loro, e subito la donna più giovane posò ciotola e cucchiaio per accostarsi al letto.

— Spaegun yovor tongawn glais? — disse, e quelle parole avrebbero potuto significare «buon giorno» o «ti senti meglio?» oppure «Ti bruceremo all'alba» per quel che Kivrin era in grado di stabilire.

Forse la sua malattia stava impedendo al traduttore di funzionare, forse quando la febbre fosse passata sarebbe riuscita a capire tutto ciò che quella gente diceva.

La vecchia si inginocchiò ai piedi del letto tenendo fra le mani giunte una scatoletta d'argento appesa all'estremità della catena e cominciò a pregare mentre la donna più giovane si protendeva in avanti per dare un'occhiata alla fronte di Kivrin e poi allungava la mano dietro la sua testa, facendo qualcosa che causò uno strattone ai capelli… Kivrin si rese conto che dovevano averle fasciato la ferita alla testa e sollevò una mano a sfiorare il panno, abbassandola poi all'altezza del collo per toccarsi i capelli arruffati. Però non trovò nulla: i capelli finivano con una frangia irregolare appena sotto gli orecchi.

— Vae motten tiyez thynt — affermò la donna, in tono preoccupato. — Far thotyiwort wount sorr.

Era evidente che le stava fornendo una spiegazione di qualche tipo ma lei non capiva una sola parola, anche se poteva intuire quello che voleva dirle: era stata molto malata, tanto malata da credere di avere i capelli in fiamme. Ricordava che qualcuno… la vecchia?… aveva cercato invano di tenerle ferme le mani e di impedirle di battersele sulla testa per soffocare le fiamme, ed era chiaro che non c'era stato altro da fare che tagliarle i capelli.

Lei aveva detestato quella capigliatura lunga e ingombrante e il tempo che ci voleva per pettinarla, si era preoccupata di come si pettinassero le donne del medioevo, se intrecciassero o meno i capelli, e si era chiesta come avrebbe fatto a resistere due settimane senza lavarli, quindi adesso avrebbe dovuto essere contenta che glieli avessero tagliati, ma la sola cosa a cui riusciva a pensare era che Giovanna d'Arco aveva avuto i capelli corti ed era stata bruciata sul rogo.

Accorgendosi che la donna più giovane la stava fissando dopo aver ritratto la mano dalla fasciatura, Kivrin le sorrise con un po' d'incertezza e lei ricambiò il sorriso. Da un lato della bocca le mancavano due denti e quello accanto al buco era scuro, ma quel sorriso la fece apparire giovane come una studentessa del primo anno.

La donna finì di slegare la fasciatura e la posò sul copriletto: le bende erano composte da strisce dello stesso lino ingiallito della cuffia ed erano chiazzate di sangue rappreso… più di quanto Kivrin aveva creduto che ce ne sarebbe stato. Evidentemente la ferita prodotta dal Signor Gilchrist doveva aver ripreso a sanguinare.

Intanto la donna le stava toccando la tempia con aria nervosa, come se non avesse saputo cosa fare.

— Vexeyan hongroot? — chiese, e le passò una mano dietro il collo per aiutarla a sollevare la testa… Kivrin ebbe l'impressione che fosse terribilmente leggera ma si disse che doveva dipendere dall'assenza dei capelli.

La vecchia porse quindi alla donna una ciotola di legno perché l'accostasse alle labbra di Kivrin, che ne sorseggiò il contenuto pensando confusamente che quella sembrava la stessa ciotola in cui era contenuta la cera. Naturalmente era un'altra, e il suo contenuto non era il medicinale che le avevano somministrato in precedenza ma una farinata acquosa e grumosa meno amara della bevanda della notte prima ma caratterizzata da un retrogusto un po' unto.

— Thasholde nayive gros vitaille towayte — osservò la vecchia, in tono aspro e critico.

Kivrin si disse che doveva essere senza dubbio la suocera.

— Shimote lese hoor fource — rispose in tono mite la donna più giovane.

La farinata aveva un buon sapore e Kivrin cercò di berla tutta, ma dopo pochi sorsi si sentì spossata.

La giovane donna restituì allora la ciotola alla vecchia, che si era accostata a sua volta al fianco del letto, e tornò a riadagiare Kivrin sui cuscini, poi raccolse la benda insanguinata e sfiorò ancora la tempia della malata come se si stesse chiedendo se doveva rimetterle o meno la fasciatura. Alla fine la porse alla vecchia, che la posò insieme alla ciotola sulla cassapanca che doveva essere sistemata ai piedi del letto.

— Lo, liggethsteallouw — consigliò infine la donna più giovane, con il suo sorriso sdentato, e anche se le parole suonarono incomprensibili dal suo tono Kivrin dedusse chiaramente che le stava consigliando di rimettersi a dormire, per cui chiuse gli occhi.

— Daurmidde shoalausbrekkeynow — commentò la vecchia, poi lasciò la stanza chiudendosi la porta alle spalle.

Kivrin provò a ripetere mentalmente le parole che aveva sentito nel tentativo di individuare qualche vocabolo familiare. Il traduttore non avrebbe dovuto limitarsi a immagazzinare vocaboli di inglese medievale ma avrebbe anche dovuto accentuare la sua capacità di separare i fonemi e di riconoscere le strutture sintattiche… però lei aveva l'impressione di sentir parlare in serbo-croato.

Forse è proprio così, rifletté. Chi può sapere dove mi hanno portata? Ero in preda al delirio, e forse quel bandito mi ha caricata su una barca e mi ha fatto attraversare la Manica.

Sapeva però che era impossibile perché rammentava la maggior parte di quel viaggio notturno anche se si trattava di ricordi sconnessi come immagini di sogno.

Sono caduta da cavallo, si disse, e un uomo con ì capelli rossi mi ha raccolta. E poi abbiamo oltrepassato una chiesa.

Si accigliò, cercando di ricordare qualcosa di più riguardo alla direzione in cui avevano viaggiato. Si erano diretti nel folto della foresta, lontano dal boschetto, ed erano sbucati su una strada che si biforcava, ed era stato proprio al bivio che lei era caduta di sella. Se fosse riuscita a rintracciare il bivio, forse avrebbe potuto ritrovare il sito partendo da lì. E il bivio era poco lontano dalla chiesa.

Se però il sito era così vicino, questo villaggio doveva essere Skendgate e la lingua parlata dalle due donne doveva essere inglese medievale… ma se stavano parlando inglese medievale, come mai lei non riusciva a capirle?

Forse aveva battuto la testa nel cadere da cavallo e aveva danneggiato il traduttore… però ricordava di non aver picchiato la testa: aveva abbandonato la presa ed era scivolata giù fino a trovarsi seduta sulla strada. No, doveva essere colpa della febbre, che stava impedendo in qualche modo al traduttore di riconoscere le parole.

Esso aveva però riconosciuto il latino, ricordò, e un pìccolo nodo di timore cominciò a formarlesi nel petto. Il traduttore aveva riconosciuto il latino e lei non poteva essere malata perché aveva fatto tutti i vaccini. Rammentò all'improvviso l'inoculazione antivirale che le aveva causato prurito e aveva formato un gonfiore sotto il braccio, ma la Dottoressa Ahrens l'aveva controllata prima che lei partisse e aveva detto che era tutto a posto, e nessuno degli altri vaccini le aveva causato prurito, tranne quello contro la peste.

Non posso avere la peste, pensò. Non ho nessuno dei sintomi.

Le vittime della peste presentavano enormi gonfiori sotto le braccia e all'interno delle cosce, vomitavano sangue e i vasi sanguigni sottocutanei di rompevano tingendo la pelle di scuro. Questa malattia non era quindi la peste, ma cosa poteva essere e in che modo l'aveva contratta? Era stata vaccinata contro ogni malattia diffusa nel 1320 e comunque non era stata esposta a nessun contagio locale perché aveva cominciato ad avvertire i primi sintomi non appena ultimata la transizione e prima di incontrare qualcuno. I germi non se ne stavano raccolti intorno ad un sito di transizione per aspettare che arrivasse qualcuno, dovevano essere diffusi per contatto o sternutendo o per mezzo delle mosche. La peste era stata diffusa dalle mosche.