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Una donna era in punta di piedi su un sedile di pietra posto sotto la finestra ed era impegnata a fissare un panno sopra l'apertura. Vedendo che la donna indossava una tunica nera e una cuffia pieghettata bianca Kivrin pensò per un momento di trovarsi in un monastero, ma poi ricordò che nel quattordicesimo secolo le donne sposate si coprivano i capelli e soltanto le ragazze nubili li portavano sciolti e scoperti.

Quella donna però non sembrava abbastanza grande da essere sposata, o da essere una suora, e non poteva essere quella che l'aveva vegliata durante la sua malattia, perché si era trattato di una persona molto più anziana. Quando le aveva stretto le mani nel delirio, Kivrin aveva sentito che la sua pelle era ruvida e rugosa, e la sua voce era suonata rauca e aspra per gli anni, anche se forse si era trattato di un altro effetto del delirio.

La donna si protese in avanti nel fascio di luce che entrava dalla finestra, e Kivrin poté vedere che la sua cuffia era ingiallita e che ciò che indossava non era una tunica ma un abito come il suo, con una sopravveste verde scuro tinta malamente e all'apparenza fatta con iuta da sacchi… la trama della tessitura era così larga da poter essere facilmente visibile anche con quella luce scarsa.

La donna doveva essere una serva, ma d'altro canto le serve non portavano cuffie di lino e non avevano alla cintura mazzi di chiavi come quello che pendeva dalla cintura della donna e che la qualificava come una persona di una certa importanza, forse la governante.

E quello era un luogo di una certa importanza. Forse non era un castello perché la parete a cui era addossato il letto non era di pietra bensì di legno grezzo, ma molto probabilmente era la residenza di campagna di un nobile di un certo rango, un barone minore o magari anche qualcuno di posizione ancora più elevata. Il letto su cui lei era distesa non era un semplice pagliericcio ma un vero letto, con un'intelaiatura di legno sollevata da terra e tendaggi e rigide lenzuola di lino, e le coltri erano di pelliccia, mentre il sedile di pietra sotto la finestra era coperto da cuscini ricamati.

La donna finì di legare il panno a due piccole sporgenze di pietra ai lati della stretta finestra, poi scese dal sedile e si sporse a prendere qualcosa… Kivrin non poté vedere cosa perché i tendaggi del letto le coprivano la visuale; i tendaggi erano pesanti come tappeti e adesso erano stati tirati indietro e legati con qualcosa che sembrava corda.

La donna tornò a raddrizzarsi reggendo una ciotola di legno, poi sollevò le gonne con la mano libera e salì di nuovo sul sedile per cominciare a spennellare una sostanza densa sul panno.

Olio, pensò Kivrin. No, cera, si corresse subito. Il lino incerato veniva comunemente usato al posto del vetro per chiudere le finestre, ma si supponeva che nel quattordicesimo secolo il vetro fosse ormai diffuso nelle dimore nobiliari e che i nobili si portassero dietro i vetri delle finestre insieme al resto del mobilio quando si spostavano da una casa all'altra.

Devo ricordarmi di registrare il fatto che alcune case nobiliari di campagna non avevano i vetri alle finestre, pensò Kivrin, sollevando le mani e unendole… però lo sforzo di tenerle sollevate era eccessivo e dovette lasciarle ricadere sulle coltri.

La donna scoccò un'occhiata in direzione del letto, poi tornò a girarsi verso la finestra e riprese a spalmare la cera sul panno con lunghi gesti pacati.

Devo essere in condizioni migliori, rifletté Kivrin, e lei è rimasta al mio capezzale per tutto il tempo che sono stata malata.

Di nuovo si chiese quanto tempo fosse passato e decise che doveva scoprirlo, così come doveva ritrovare il sito della transizione.

Non poteva essere molto lontano, e se questo era il villaggio dove aveva avuto intenzione di dirigersi il sito distava appena un paio di chilometri. Cercò di ricordare quanto tempo avessero impiegato ad arrivare al villaggio, tempo che a lei era parso molto lungo. Il bandito l'aveva messa su un cavallo bianco che aveva i finimenti decorati da campanelli… soltanto che non si trattava di un bandito ma di un giovane dall'aspetto gentile e dai capelli rossi.

«Qual è il nome di questo villaggio in cui mi avete portata?» La notte precedente non era riuscita a elaborare mentalmente la frase, ma naturalmente questo era dipeso dalla febbre e adesso non aveva più difficoltà a ricordare gli insegnamenti del Signor Latimer, che aveva dedicato mesi ad affinare la sua pronuncia. Di certo sarebbero riusciti a comprendere una domanda come «In whatte londe am I» o perfino come «Whatte be thisse holding?», e se pure ci fosse stata qualche variazione dovuta ad un dialetto locale il traduttore avrebbe provveduto a correggerla.

— Whatte place hast thou brotte me? — domandò.

La donna si girò con espressione sorpresa e scese dal sedile continuando a tenere la ciotola in una mano e il pennello nell'altra; quando si avvicinò al letto, Kivrin ebbe però modo di vedere che quello che stava usando non era un pennello, bensì un cucchiaio di legno di forma squadrata e dall'incavo poco profondo.

— Gottebae plaise tthar tleve — disse la donna, tenendo cucchiaio e ciotola uniti davanti a sé. — Beth naught agast.

Il traduttore avrebbe dovuto fornire una traduzione immediata delle sue parole, ma forse la pronuncia di Kivrin era così diversa che la donna aveva creduto che si trattasse di una lingua straniera e stava cercando di risponderle goffamente in francese o in tedesco.

— Whatte place hast thou brotte me? ~ ripeté con maggiore lentezza, in modo da dare al traduttore il tempo di adattare le sue parole.

— Wick londebay yae comen lawdayke awtreen godelae deynorm andoar sic straunguwlondes. Spekefaw eek waenoot awfthy taloorbrede.

— Lawyes sharess loostee? — intervenne un'altra voce.

La donna si girò per guardare in direzione di una porta che Kivrin non poteva scorgere, poi nella stanza entrò una seconda donna molto più anziana, il cui volto incorniciato dalla cuffia era coperto di rughe e le cui mani erano quelle ruvide e vecchie che Kivrin ricordava di aver stretto nel delirio. La donna aveva al collo una catena d'argento e teneva in mano un piccolo cofanetto di cuoio che somigliava a quello che Kivrin aveva portato con sé ma era più piccolo e con i rinforzi in ferro anziché in ottone.

— Auf specheryit darmayt? — aggiunse, posando il cofanetto sul sedile sottostante la finestra.

Kivrin ricordava anche la sua voce, aspra e quasi rabbiosa nel rivolgersi alla donna accanto al suo capezzale come se fosse stata una serva… forse lo era davvero, e la vecchia era la signora della casa, sebbene la sua cuffia non fosse più bianca né il suo abito di fattura migliore. Però alla sua cintura non c'erano chiavi di sorta, e d'un tratto Kivrin ricordò che non era la governante a tenere le chiavi ma la signora della casa.

La signora del maniero, con la cuffia di lino ingiallito e la sopravveste tinta e tessuta malamente… il che significava che il vestito che avevano dato a lei era tutto sbagliato, sbagliato quanto la pronuncia di Latimer e quanto le assicurazioni della Dottoressa Ahrens che lei non avrebbe contratto nessuna malattia medievale.

— Ho fatto tutti i vaccini — mormorò, e le due donne si voltarono a guardarla.

— Ellavih swot wardesdoor feenden iss? — chiese in tono brusco la donna più anziana… era la madre dell'altra, oppure la suocera o la balia? Kivrin non ne aveva idea, perché il traduttore non riusciva a individuare neppure una delle sue parole, neanche un nome proprio o un titolo.

— Maetinkerr woun dahest wexe hoordoumbe — replicò l'altra.

— Nor nayte bawcows derouthe — rimbeccò la vecchia.

— Certessan, shreevadwomn wolde nadae seyvous — ribatté la donna più giovane, sollevando il mento in un gesto irritato.