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Il suono era notevolmente buono, tutt'altra cosa rispetto al carillon e a «O Cristo Che s'Interfaccia con il Mondo». Le campane squillavano nitide e vivaci, e a Dunworthy pareva quasi di vedere i suonatori disposti in cerchio nel campanile, che piegavano le ginocchia e alzavano le braccia, con Finch che faceva riferimento alla sua lista di numeri.

— Ogni uomo deve restare alla sua campana, senza interruzione — aveva detto la Signora Taylor.

Lui non aveva avuto altro che interruzioni ma si sentì comunque rincuorato da quel suono: la Signora Taylor non era riuscita a portare i suoi suonatori a Norwich per Natale ma era rimasta alle sue campane e ora esse rintoccavano in maniera assordante, come in una celebrazione, una vittoria. Come la mattina di Natale. Avrebbe trovato Montoya. E Basingame… o un tecnico che non avesse paura della quarantena. Avrebbe trovato Kivrin.

Quando tornò a Balliol il telefono stava squillando e lui spiccò la corsa verso l'apparecchio, augurandosi che fosse Polly. Invece era Montoya.

— Dunworthy? — disse. — Salve, sono Lupe Montoya. Cosa sta succedendo?

— Dove si trova? — domandò Dunworthy.

— Agli scavi — rispose lei, anche se questo era già di per sé evidente, visto che era ferma davanti alla navata centrale della chiesa, nel cortile medievale riportato alla luce solo in parte. Adesso Dunworthy poteva vedere perché lei era stata tanto ansiosa di tornare agli scavi, dato che in certi punti si era accumulato oltre un metro d'acqua. Montoya aveva drappeggiato un assortimento di teli di plastica sugli scavi ma l'acqua continuava a gocciolare in parecchi punti e dove i teli di protezione s'incontravano si rovesciava oltre i bordi in vere e proprie cascate. E tutto era coperto di fango, dalle lapidi tombali ai riflettori fissati ai teli ai picconi ammucchiati contro una parete.

Anche Montoya era coperta di fango. Indossava la solita giacca paramilitare e stivali alla coscia da pescatore, dello stesso tipo che probabilmente doveva avere indosso Basingame, dovunque si trovasse, e gli indumenti erano umidi e sporchi, così come la mano che reggeva il telefono era incrostata di fango secco.

— La sto chiamando da giorni — affermò Dunworthy.

— Non posso sentire il telefono a causa del rumore della pompa — spiegò Montoya, accennando con la mano a qualcosa fuori campo, probabilmente la pompa, anche se non si sentivano rumori di sorta tranne il ticchettio della pioggia sui teli. — Si è appena rotta una cinghia e non ne ho una di ricambio. Ho sentito le campane… significa che la quarantena è finita?

— Tutt'altro. Qui siamo in piena epidemia su vasta scala, con settecentottanta casi e sedici decessi. Non ha letto i giornali?

— Non ho visto niente e nessuno da quando sono arrivata qui e ho passato gli ultimi sei giorni cercando di tenere questi dannati scavi sopra il livello dell'acqua, ma non posso farcela da sola, e senza pompa — dichiarò l'archeologa, spingendo i folti capelli neri lontano dal volto con la mano infangata. — Perché le campane stanno suonando, allora, se la quarantena non è finita?

— È l'esecuzione di una Sorpresa di Chicago in chiave minore.

— Se la situazione è tanto grave, perché non fanno invece qualcosa di utile? — ribatté Montoya, irritata.

Lo stanno facendo, pensò Dunworthy. L'hanno indotta a telefonare.

— Di certo potrei metterli al lavoro qui — aggiunse Montoya, spingendo di nuovo indietro i capelli… appariva stanca quasi quanto Mary. — Speravo proprio che la quarantena fosse stata tolta in modo da poter far venire qui un po' di gente che mi aiutasse. Quanto tempo pensa che ci vorrà ancora?

Troppo, pensò Dunworthy, guardando l'acqua che colava in rivoli fra i teli. Non otterrà mai in tempo l'aiuto che le serve.

— Ho bisogno di alcune informazioni in merito a Basingame e a Badri Chaudhuri — disse poi. — Stiamo tentando di trovare la fonte dei virus e abbiamo bisogno di sapere con chi ha avuto contatti Badri. Mi risulta che ha lavorato agli scavi il diciotto e la mattina del diciannove. Chi altri c'era lì con lui?

— Io.

— E chi altri?

— Nessuno. Ho avuto terribili difficoltà a trovare aiuto per tutto dicembre perché i miei studenti di storia archeologica sono partiti tutti all'inizio delle vacanze e ho dovuto raccogliere volontari dove potevo.

— È certa che voi foste soli qui?

— Sì. Lo ricordo perché abbiamo aperto la tomba del cavaliere sabato e abbiamo avuto notevoli difficoltà a sollevare il coperchio del sarcofago. Gillian Ledbetter si era iscritta per venire a lavorare qui sabato ma all'ultimo momento ha telefonato dicendo di avere un appuntamento.

Con William, pensò Dunworthy.

— E domenica c'è stato qualcuno oltre a Badri?

— Lui è venuto soltanto la mattina e in quel periodo qui non c'era nessun altro. Poi è dovuto partire per Londra. Senta, devo andare. Visto che non riuscirò ad ottenere presto qualche aiuto mi devo rimettere a lavorare almeno io.

E accennò ad allontanare il ricevitore dall'orecchio.

— Aspetti! — gridò Dunworthy. — Non riattacchi!

Lei si portò di nuovo il ricevitore all'orecchio con aria impaziente.

— Le devo rivolgere alcune domande… è molto importante. Quanto prima troveremo la fonte del virus tanto prima la quarantena verrà tolta e lei potrà ottenere assistenza per gli scavi.

Montoya non pareva convinta ma inserì un codice e posò il ricevitore sulla forcella, dicendo:

— Non le dispiace se lavoro mentre parliamo, vero?

— No — replicò Dunworthy, sollevato. — Faccia pure.

L'archeologa si allontanò bruscamente dal quadro dello schermo, poi tornò indietro e inserì un altro codice.

— Mi dispiace, non arriva — disse, e lo schermo si fece indistinto mentre lei presumibilmente spostava il telefono sul suo nuovo punto di lavoro. Quando l'immagine riapparve Montoya era accoccolata in una fossa fangosa vicino a una tomba di pietra, che Dunworthy suppose essere quella il cui coperchio lei e Badri avevano quasi fatto cadere.

Il coperchio in questione, che recava l'immagine di un cavaliere in armatura completa, con le braccia incrociate sul petto coperto dalla cotta di maglia in modo che le mani nei pesanti guanti giacessero sulle spalle, e con la spada ai piedi, era appoggiato con un'angolazione precaria contro la parete della tomba, nascondendo le lettere intagliate con grafia elaborata. Dunworthy riuscì a distinguere soltanto un «Requiesc…» Requiescat in pace. Riposi in pace, una benedizione che al cavaliere non era ovviamente stata concessa. Il suo volto addormentato sotto l'elmo intagliato aveva un'aria di disapprovazione.

Montoya aveva drappeggiato un sottile telo di plastica sulla sommità aperta, e anch'esso era imperlato di pioggia. Dunworthy si chiese se sull'altro lato della tomba fosse intagliata una morbosa descrizione dell'orrore che giaceva la suo interno, come in quelle che figuravano nelle illustrazioni del libro di Colin, e se le immagini erano orribili quanto la realtà. L'acqua si accumulava costantemente sulla parte anteriore della tomba, facendo infossare il telo.

Montoya si raddrizzò, tenendo in mano una scatoletta piatta piena di fango.

— Allora? — chiese, posando la scatoletta sull'angolo della tomba. — Ha detto che aveva altre domande da farmi.

— Sì. Ha affermato che non c'era nessuno agli scavi quando Badri è stato qui.

— Infatti — annuì lei, asciugandosi il sudore dalla fronte. Accidenti, è davvero fangoso, qui — commentò, togliendosi la giacca e drappeggiandola sul coperchio della tomba.

— Cosa mi dice della gente del posto? Persone non connesse agli scavi?

— Se qui ci fosse stato qualcuno lo avrei reclutato — replicò Montoya, cominciando a frugare nel fango della scatola fino a dissotterrare parecchie pietre marrone. — Quel coperchio pesava una tonnellata, e non appena lo abbiamo tolto si è messo a piovere. Avrei reclutato chiunque fosse capitato da queste parti, ma gli scavi sono troppo isolati perché ci arrivi qualcuno.