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Il capitano mi disse che quegli spettacoli erano tradizionali e che in genere i passeggeri di prima classe offrivano qualcosa per i coloni, ma l’offerta non era obbligatoria.

Lui stesso si presentò in salone la sera (un’altra tradizione), e io mi trovai seduta al suo fianco.

Sfruttai l’occasione per accennargli che non mi sentivo troppo bene. Aggiunsi che forse avrei dovuto annullare le prenotazioni per le escursioni, e mi lamentai come si conviene.

Lui mi disse che se non mi sentivo in perfetta forma, non dovevo rischiare di espormi alla superficie di un pianeta alieno; ma non mi preoccupassi troppo di perdere Botany Bay, che non era poi quella gran cosa. Il resto del viaggio era la parte più fantastica. Kosì fai la brava rakazza, o defo kiuderti in kabina?

Gli risposi che se il mio stomaco non la smetteva di fare i capricci, non sarebbe stato necessario mettermi sotto chiave.

Il viaggio ad Avamposto era stato orribile, nausee continue, e non avrei rischiato niente del genere un’altra volta. Avevo predisposto la messinscena a cena, limitandomi a mangiare come un uccellino.

Lo spettacolo fu una cosa da dilettanti, però divertente. Qualche scenetta, ma soprattutto canzoni di gruppo: Tie Me Kangaroo Down, Waltzing Matilda, Botany Bay, e, per il bis, The Walloping Window Blind. Me lo godetti, ma non mi sarebbe sembrato niente di speciale non fosse stato per un uomo nella seconda fila del coro, un uomo che mi era familiare.

Lo guardai e mi chiesi: Friday, sei diventata il tipo di vacca distratta e indifferente che non ricorda nemmeno se ha dormito o no con un uomo?

Mi ricordava il professor Federico Farnese. Però costui aveva una barba imponente, mentre Freddie era del tutto glabro; il che non dimostrava nulla, visto che c’era stato tutto il tempo perché lui si facesse crescere la barba, e prima o poi quasi tutti i maschi si lasciano prendere dalla mania della barba.

Comunque, i peli mi rendevano impossibile ogni certezza. E l’uomo non si esibì mai in un assolo, per cui non potei identificare nemmeno la voce.

L’odore del corpo: impossibile, a una trentina di metri di distanza, isolarlo fra dozzine di altri odori.

Provavo la forte tentazione di non fare la signora: alzarmi, traversare la pista da ballo, e affrontarlo di petto. — Sei Freddie? Non mi hai portata a letto ad Auckland il maggio scorso?

E se avesse risposto di no?

Sono una vigliacca. Quello che feci fu dire al capitano che mi sembrava di aver riconosciuto una vecchia conoscenza di Sydney fra gli emigranti, e come potevo accertarmi? Andò a finire che scrissi «Federico Farnese» su un programma e il capitano lo passò al commissario di bordo, che lo passò a uno dei suoi assistenti, il quale sparì e tornò poco dopo riferendo che fra gli emigranti c’erano diversi nomi italiani, però nessuno dei nomi, italiani o meno, somigliava vagamente a «Farnese».

Lo ringraziai e ringraziai il commissario di bordo e ringraziai il capitano; poi pensai di chiedere lo stesso controllo per «Tormey» e «Perreault», ma decisi che era una mossa idiota: non avevo visto né Betty né Janet, e loro non potevano farsi crescere la barba. Avevo solo visto una faccia dietro un barbone enorme, cioè avevo visto niente. Mettete la barba a un uomo, e vedrete solo brandelli incomprensibili di carne.

Decisi che tutte le sciocchezze da vecchie comari sulle donne incinte erano probabilmente vere.

32

Erano le due dopo mezzanotte, ora della nave. L’emersione nello spazio normale si era verificata in orario, verso le undici del mattino, e i calcoli erano stati talmente precisi che la Forward doveva entrare in orbita stazionaria attorno a Botany Bay alle zero sette e quarantadue, con diverse ore di anticipo rispetto alle previsioni fatte nell’iperspazio. La cosa non mi fece piacere, perché la partenza delle scialuppe al mattino presto aumentava il rischio (pensavo) che la gente continuasse ad aggirarsi per i corridoi alle ore piccole della notte.

Be’, non avevo scelta. Non disponevo di una seconda chance.

Terminai i preparativi dell’ultimo minuto, diedi a Tilly il bacio d’addio, le feci cenno con l’indice di stare zitta, e uscii dalla porta della cabina Bb.

Dovetti avventurarmi verso poppa e scendere di tre ponti. Rallentai un paio di volte, per evitare gli uomini del turno di guardia notturno. Una volte mi infilai in un passaggio laterale per schivare un passeggero, proseguii verso poppa fino al corridoio successivo, poi deviai a tribordo. Alla fine raggiunsi il piccolo corridoio (un vicolo cieco) che portava al boccaporto d’imbarco della scialuppa.

Mac-Pete-Percival stava aspettando lì.

Mi avvicinai in fretta, sorridente; portai un dito alle labbra per chiedere silenzio, e lo colpii dietro l’orecchio.

Lo coricai sul ponte, me lo tolsi dai piedi, e cominciai a lavorare sulla serratura a combinazione e scoprii che era quasi impossibile leggere le cifre sul quadrante, anche con la mia vista notturna super. Nei corridoi erano accese solo le luci notturne, e in quel vicolo cieco regnava il buio più assoluto. Sbagliai due volte la combinazione.

Mi fermai a riflettere. Tornare alla cabina Bb in cerca di una torcia elettrica. Io non ne avevo, ma forse Tilly ne aveva una. Se non era così, dovevo aspettare il mattino, quando si sarebbero riaccese le luci? Il margine di sicurezza sarebbe stato troppo scarso; la gente avrebbe cominciato a circolare. Ma avevo una scelta?

Diedi un’occhiata a Pete. Ancora svenuto, ma il suo cuore era forte… E buon per te, Pete; fossi stata in overdrive totale, saresti morto. Lo perquisii.

Gli trovai addosso, e non mi stupì, una torcia micro: nel suo lavoro (farmi la guardia) poteva aver bisogno di una torcia elettrica, mentre Miss Dollaro Facile non pensava certo a cose del genere.

Pochi secondi dopo avevo aperto lo sportello.

Trascinai dentro Pete, chiusi il portello e lo bloccai, girando il comando a ruota in senso orario e poi antiorario. Mi voltai, vidi le ciglia di Pete che si muovevano leggermente, e gli assestai un altro colpo.

Seguì un lavoro maledettamente complicato. Pete ha una massa di ottantacirrque chili circa, non molto per un uomo. Però sono venti chili più di me, e lui è parecchio più grosso. Da Tom sapevo che per adeguarsi a Botany Bay, i tecnici tenevano la gravità della nave a 0,97 g. Al momento avrei preferito la caduta libera o un apparecchio antiG, perché non potevo lasciare Pete dietro di me, vivo o morto che fosse.

Riuscii a sistemarmelo sulla schiena in quella che qualcuno chiama «presa del pompiere», poi scoprii che il modo migliore per vedere davanti a me e avere una mano libera in caso fossi assalita da cani o affini era stringere in bocca la piccola torcia di Pete, a mo’ di sigaro. Avevo bisogno disperato della luce; ma se avessi potuto scegliere, se non avessi avuto quel peso morto, sarei avanzata al buio a tentoni.

Sbagliando strada una sola volta arrivai finalmente a quell’enorme stiva, che sembrava ancora più grande fra le tenebre perforate solo da un raggio di luce piccolo piccolo. Non avevo previsto l’oscurità totale, pensavo che anche sulla scialuppa fossero accese le luci notturne che rischiaravano la nave da mezzanotte alle sei.

Alla fine raggiunsi il nascondiglio che avevo scelto il giorno prima: il gigantesco turbogeneratore Westinghouse.

Quella macchina enorme probabilmente veniva alimentata a gas, o magari a vapore; di certo non era stata costruita per gli Shipstone. Esistono parecchie attrezzature obsolete che sono ancora utili alle colonie ma non vengono più usate ovunque siano disponibili gli Shipstone. Non ne so nulla, comunque il funzionamento di quella cosa non m’interessava; a me importava solo il fatto che metà del turbogeneratore era una specie di tronco di cono gigante disposto in orizzontale. Al centro del turbogeneratore, sotto l’estremità più stretta del tronco, si formava uno spazio vuoto, uno spazio alto più di un metro. Quanto bastava per un corpo. Il mio. Anche per due, con un po’ di fortuna, visto che avevo questo ospite indesiderato che non potevo né uccidere né abbandonare sulla nave.