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Questo mi sorprese. Non ero immune a mal d’aria e simili, ma in quel viaggio non avevo avuto problemi. Prendere la Piantadifagiolo mi fa a pezzi lo stomaco, per ore e ore. Ma sulla Forward avevo avvertito una sola spinta d’accelerazione, quando eravamo entrati nell’iperspazio; e la sera precedente, appena prima di cena, avevo sentito un tremito analogo quando eravamo tornati nello spazio normale, ma il ponte ci aveva avvertiti di aspettarcelo.Adesso la gravità (artificiale) era a posto? Non ne ero sicura. Mi girava la testa, ma poteva essere un effetto collaterale della vomitata; perché avevo rimesso tutto, proprio come se mi fossi trovata sulla maledetta Piantadifagiolo.

Mi ripulii la bocca, mi lavai i denti senza dentifricio, pulii un’altra volta la bocca, e mi dissi: — Friday, ti aspetta il piatto del giorno. Non permetterai che una crisi imprevista di stomaco in subbuglio ti impedisca di vedere Avamposto. E poi hai messo su due chili, è ora di dare un taglio alle calorie.

Fatto il discorsetto allo stomaco e trasmesso il tutto alla disciplina di controllo mentale, uscii, lasciai che Tilly-Shizuko mi aiutasse a indossare una pesante tuta, poi mi diressi al boccaporto d’imbarco della scialuppa di dritta. Shizuko mi seguiva a ruota, con coperte pesanti per tutte e due. All’inizio ero stata tentata di fare amicizia con Shizuko, ma dopo aver intuito (e aver sentito confermare) il suo vero ruolo, provavo del risentimento per lei. Meschino da parte mia, senza dubbio. Ma una spia non ha diritto ai rapporti amichevoli che una cameriera merita sempre. Non ero sgarbata con lei; mi limitavo a ignorarla la maggior parte del tempo. Quel mattino non mi sentivo al massimo della socievolezza.

Il signor Woo, vice commissario di bordo addetto alle escursioni, era al boccaporto con una cartelletta. — Signorina Friday, sul mio elenco non c’è il vostro nome.

— Be’, io mi sono prenotata. Aggiungetelo, oppure chiamate il capitano.

— Non posso.

— E allora? Io mi siedo qui e non mi muovo più. Questa cosa non mi piace, signor Woo. Se avete intenzione di suggerire che non dovrei essere qui per l’errore di qualche impiegato del vostro ufficio, mi piacerà ancora meno.

— Mmm, probabilmente è un errore. Non c’è molto tempo. Perché non salite, vi fate dare un posto, e io risolverò la cosa dopo aver controllato tutti gli altri?

Non obiettò al fatto che Shizuko mi seguisse. Procedemmo in un passaggio lunghissimo (anche le scialuppe della Forward sono enormi), seguendo frecce che dicevano DA QUESTA PARTE PER IL PONTE, e arrivammo in una sala abbastanza grande, qualcosa come l’interno di un Vma omnibus: doppi comandi sul davanti, sedili per i passeggeri dietro, un grande parabrezza; e per la prima volta da che avevamo lasciato la Terra, rividi la «luce del sole». La luce del sole di Avamposto che delineava la curva bianca, bianchissima, di un pianeta, e dietro il cielo nero. La stella non si vedeva. Shizuko e io trovammo due sedili e allacciammo le cinture, del tipo quintuplo usato sugli Sb. Sapendo che avremmo volato con l’antiG, pensavo di limitarmi alla cintura che gira attorno alla vita; ma la mia piccola custode mi armeggiò attorno e allacciò tutto.Dopo un po’ il signor Woo venne a cercarmi, e alla fine mi trovò. Si chinò sull’uomo fra me e il corridoio centrale e disse: — Signorina Friday, mi spiace ma continuate a non essere sull’elenco.

— Davvero? Cosa ha detto il capitano?

— Non sono riuscito a trovarlo.

— Allora decidete voi. Io resto qui.

— Mi spiace. No.

— Sul serio? Da che parte mi prendete? E chi vi aiuterà a portarmi via? Perché dovrete trascinarmi a forza mentre scalcerò e strillerò, e vi assicuro che in fatto di calci e strilli non scherzo.

— Signorina Friday, non è possibile.

Il passeggero al mio fianco disse: — Giovanotto, non state facendo la figura del cretino? La signorina è una passeggera di prima classe. L’ho notata nel salone da pranzo, al tavolo del capitano. Adesso toglietemi quella stupida cartella dalla faccia e trovatevi qualcosa di meglio da fare.

Preoccupato (i giovani vice commissari di bordo sono sempre preoccupati) il signor Woo se ne andò. Dopo un po’ si accese la spia rossa, la sirena ululò, e una voce forte disse: — Lasciamo l’orbita! Preparatevi a un aumento di peso.

Fu una giornata infame.

Tre ore di discesa fino alla superficie, due ore a terra, tre ore per tornare all’orbita stazionaria. All’andata, musica interrotta da un discorsetto sorprendentemente noioso su Avamposto; al ritorno, solo musica, e fu un po’ meglio. Le due ore a terra potevano anche essere okay, se ci avessero permesso di scendere dalla scialuppa. Ma dovemmo restare a bordo. Ci concessero di slacciare le cinture e passare a prua, in quello che veniva definito salone ma era solo uno spazio con un bar che serviva caffè e panini a un lato e portelli trasparenti sul lato opposto. Dai portelli si vedevano gli emigranti salire sul ponte sotto, e lo scarico delle merci.

Colline basse coperte di neve… una vegetazione rachitica a poca distanza da noi… vicino alla nave, edifici bassi collegati fra loro da tettoie di neve. I coloni erano imbottiti come panini giganti, ma non perdevano tempo nel correre verso gli edifici. Le merci finivano su una serie di camion a rimorchio, con motori che erano strane macchine che sbuffavano fuori nubi di fumo nero: esattamente il tipo di cose che si trovano disegnate sui libri di storia per bambini! Però quello non era un disegno.

Sentii una donna dire al suo compagno: — Ma perché qualcuno decide di vivere qui?

Il compagno uscì in una pia risposta, qualcosa sulla «volontà del Signore», e io mi allontanai. Come si può arrivare a settant’anni (tanti ne doveva avere la signora) senza sapere che nessuno «decide» di stabilirsi su Avamposto… se non nel limitatissimo senso che si «decide» di accettare l’emigrazione lì per sfuggire alla morte o al carcere a vita?

Il mio stomaco era ancora sottosopra, per cui non rischiai i panini; ma pensai che una tazza di caffè potesse farmi bene, finché non ne sentii l’odore. Dopo di che corsi ai bagni, a dritta del salone, e lì vinsi il titolo di «Friday MascellediFerro». Lo vinsi a pieno diritto, anche se io fui l’unica a saperlo: trovai i cubicoli tutti occupati e dovetti aspettare; e aspettai, a mascelle irrigidite. Dopo un secolo o due, un cubicolo si liberò e io schizzai dentro e vomitai di nuovo. Acidi e succhi gastrici, più che altro. Non avrei dovuto sentire l’odore del caffè.

Il viaggio di ritorno fu interminabile.

Sulla Forward chiamai il mio amico Jerry Madsen, l’ufficiale medico giovane, e chiesi una visita professionale. In base al regolamento, l’ambulatorio di bordo apre alle nove e zero zero ogni giorno, e dopo la chiusura accetta solo casi d’emergenza. Ma sapevo che Jerry era pronto a vedermi con qualunque scusa. Gli dissi che non era niente di serio; volevo solo un po’ delle pillole che prescriveva alle care vecchie signore con lo stomaco delicato, le pillole per il mal d’aria. Lui mi rispose di presentarmi al suo studio. Invece di farmi trovare le pillole pronte, mi guidò in una stanza interna e chiuse la porta. — Signorina Friday, devo chiamare un’infermiera? O preferite un medico di sesso femminile? Potrei chiamare la dottorerssa Garcia, ma mi spiacerebbe disturbarla. È rimasta in piedi tutta la notte.

Io dissi: — Jerry, cosa c’è? Quand’è che ho smesso di essere Marj per te? E perché questa etichetta inutile? Voglio solo una manciata di pillole. Quelle rosa.

— Siediti, per favore. Signorina Friday… okay, Marj… non prescriviamo quel medicinale o i suoi derivati alle giovani signore… per essere più precisi, alle giovani signore in età fertile… senza accertarci che non siano gravide. Può provocare danni al bambino.

— Oh. Calmati pure, dolcezza. Nessuno mi ha combinato lo scherzo.

— Siamo qui per scoprirlo, Marj. Se tu fossi incinta o lo diventassi, abbiamo altri medicinali adatti al tuo caso.