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— Mac, ti ha assunto Mosby per questo lavoro? Per farmi da angelo custode sulla nave?

— Eh? No, ho avuto quell’unico contatto con Mosby, e sotto mentite spoglie. Per questo incarico sono stato assunto da un reclutatore che lavora per l’attaché culturale dell’ambasciatore del Regno, a Ginevra. Ed è un incarico di cui non devo vergognarmi, sul serio. Ci stiamo prendendo cura di voi. La massima cura.

— Sarà noioso, senza stupri.

— Ahi!

— Che istruzioni hai su di me? E in quanti siete? Il capo sei tu, giusto?

Lui esitò. — Signorina Friday, mi state chiedendo di svelare i segreti del mio datore di lavoro. Nella nostra professione, non lo facciamo… Come senz’altro sapete.

— Balle. Da che sei entrato da quella porta sai che la tua vita dipende dal fatto di rispondere alle mie domande. Ripensa ai tizi che mi sono saltati addosso alla fattoria del dottor Baldwin. Pensa a quello che gli è successo. Poi parla.

— Ci ho pensato, molte volte. Sì, sono io il capo. A parte Tilly, forse.

— Chi è Tilly?

— Scusate. Shizuko. Un nome di battaglia. All’Ucla era Matilda Jackson. Abbiamo aspettato tutti allo Sky High Hotel quasi due mesi…

— Stai parlando al plurale. Nomi. I nomi che risultano dall’elenco passeggeri. E non cercare di fermarmi con le tue baggianate sul codice dei mercenari. Shizuko tornerà fra pochi minuti.

Mi diede i nomi. Nessuna sorpresa; li avevo individuati tutti. Inetti. Boss non lo avrebbe mai tollerato. — Avanti.

— Abbiamo aspettato e la Dirac è partita senza di noi e solo ventiquattro ore prima della partenza della Forward siamo stati messi in allarme. Poi ci hanno dato dei vostri olo a colori da studiare… E quando ho visto la vostra faccia, signorina Friday, per poco non svenivo.

— Gli olo erano così brutti? Andiamo.

— Eh? No, erano ottimi. Ma avete presente doye vi ho vista l’ultima volta? Credevo foste morta nell’incendio. Io, be’, si potrebbe dire che ho sofferto per voi. Almeno un po’.

— Grazie. Credo. Okay, sette, e tu sei il capo. Questo viaggio non costa due soldi, Mac. Perché mi occorrono sette custodi?

— Pensavo che voi poteste dirlo a me. Non che i motivi del vostro viaggio siano affari miei. Io posso dirvi solo le mie istruzioni. Dovete essere consegnata al Regno in condizioni perfette. Non un’unghia rotta, non una contusione, non un raffreddore. Quando arriviamo, un ufficiale della guardia di palazzo sale a bordo e voi diventate un problema suo. Ma non ci viene pagato il premio finché non vi avranno fatto un esame clinico. Dopo di che ci pagano e torniamo a casa.

Ci pensai. Collimava con le preoccupazioni del signor Sikmaa per «l’oggetto di maggior valore che sia mai stato affidato a un corriere», però c’era qualcosa che puzzava. Il vecchio principio delle precauzioni abbondanti, della cintura più le bretelle, era comprensibile… ma sette persone a tempo pieno solo per assicurarsi che io non cadessi e non mi rompessi l’osso del collo? Non mi quadrava.

— Mac, non mi ricordo altro da chiederti, e Shizuko, voglio dire Tilly, sta per tornare. Parleremo più avanti.

— Molto bene. Signorina Friday, perché mi chiamate Mac?

— È l’unico nome con cui ti abbia mai sentito chiamare. In società, intendo. A uno stupro di gruppo cui abbiamo partecipato tutti e due. Sono ragionevolmente certa che tu non sia Howard J. Bullfinch. Che nome preferisci?

— Oh. Sì, in quella missione ero Mac. Ma di solito mi chiamano Pete.

— Il tuo nome è Pete?

— Be’, non esattamente. È… Percival. Ma non lo usa nessuno.

Frenai il riso. — Non vedo perché, Pete. Uomini coraggiosi e degni d’onore hanno portato il nome Percival. Credo che alla porta ci sia Tilly, ansiosa di farmi il bagno e vestirmi. Un’ultima cosa. Lo sai perché respiri ancora? Perché non sei morto?

— No.

— Perché mi hai lasciato fare la pipì. Grazie di avermela lasciata fare prima di ammanettarmi a quel letto.

Lui fece una smorfia. — Per quello mi sono preso una lavata di testa.

— Sul serio? Perché?

— Il Maggiore voleva costringervi a bagnare il letto. Pensava che sarebbe servito a farvi crollare.

— Sì? Stupido dilettante. Pete, è stato a quel punto che ho deciso che tu non eri del tutto irrecuperabile.

30

Avamposto non è un granché. Il sole è una stella G8, il che le dà un posto piuttosto basso nella lista delle stelle simili a Sole, perché Sole è una G2. È notevolmente più fredda della stella del nostro sistema. Ma la stella in sé non importa, purché sia del tipo simile a Sole (tipo G). (Forse un giorno o l’altro sarà possibile colonizzare i pianeti di stelle d’altro tipo, ma per ora è ragionevole limitarsi a stelle con una dimensione spettrale adatta all’occhio umano e che non trasmettano troppe radiazioni letali; sto citando Jerry. In ogni caso, esistono oltre quattrocento stelle di tipo G non più lontane dalla Terra di quanto lo sia il Regno, o così dice Jaime Lopez, e quindi potremmo avere da fare per qualche anno.)

Ma prendiamo una stella di tipo G: c’è bisogno di un pianeta che si trovi alla distanza giusta dal sole; deve essere caldo, ma non troppo. Poi la gravità di superficie deve essere tanto forte da tenere al suo posto l’atmosfera. L’atmosfera deve aver avuto il tempo di cuocersi, parallelamente allo sviluppo della vita, per offrire un’aria adatta ai tipi di vita che conosciamo. (I tipi di vita che non conosciamo sono un argomento affascinante, ma non hanno nulla a che vedere con la colonizzazione terrestre. Non questa settimana. E non stiamo nemmeno parlando di colonie di creature artificiali o cyborg. Stiamo parlando di coloni che vengono da Dallas o Tashkent.)

Avamposto ha appena i requisiti minimi. È un posto da poveracci. La presenza d’ossigeno a livello del mare è così scarsa che bisogna camminare lentamente, come sulla vetta di una montagna. È talmente lontano dalla sua stella che ha solo due tipi di clima, freddo e gelo. Il suo asse è quasi privo d’inclinazione; le stagioni derivano da un’orbita eccentrica, per cui quando arriva l’inverno non trasferitevi a sud, perché l’inverno vi raggiungerà comunque. Esiste, più o meno, una bella stagione, nell’area di una ventina di gradi dall’equatore, ma l’inverno è molto più lungo dell’estate, ovviamente. Quell’«ovviamente» si riferisce alla legge di Keplero, quella che parla di raggi vettori e aree equivalenti. (Ho preso quasi tutta questa roba dal Forward Daily.) Quando il buon Dio ha distribuito i doni, Avamposto è rimasto dietro la porta.

Però io avevo una voglia frenetica di vederlo.

Perché? Perché, allontanandomi da casa, al massimo sono arrivata alla Luna; e la Luna è praticamente in casa. Avamposto dista più di quaranta anni luce dalla Terra. Lo sapete quanti chilometri sono? (Non lo sapevo nemmeno io.) Ecco qui:

300.000x40,7x31.557.600=385.318.296.000.000 di chilometri.

Arrotondiamo. Quattrocento milioni di milioni di chilometri.

I tempi della nave prevedevano il raggiungimento dell’orbita stazionaria (22,1 ore di periodo orbitale, perché è quella la lunghezza di un giorno di Avamposto) alle zero due e quarantasette; la scialuppa di dritta sarebbe partita alle prime ore del mattino (il «mattino» della nave), alle tre e zero zero in punto. Non molti chiesero di partecipare al volo (niente di più, perché nessun passeggero avrebbe messo piede a terra): il secondo turno di guardia non è un orario troppo popolare fra la maggioranza dei passeggeri.

Ma io mi sarei persa più volentieri Armageddon. Lasciai un bel party e andai a letto alle ventidue, per farmi diverse ore di sonno prima di alzarmi e ripulirmi. Mi svegliai alle due e scivolai in bagno, chiudendo a chiave la porta. Se non la chiudo, Shizuko entra subito dopo di me; l’ho scoperto il primo giorno sulla nave. Quando mi svegliai, lei era già in piedi e vestita.Chiusi la porta alle mie spalle e immediatamente vomitai.