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Lisa si alzò. «Dobbiamo dormire un po’. Presto si farà giorno.»

Painter gemette, ma annuì. Si alzò. Vacillò e lei dovette sostenerlo per un braccio.

«Sto bene», disse lui.

Alla faccia dell’onestà.

Lisa lo condusse fino al letto e tirò indietro le coperte.

«Posso dormire sul divano», propose lui, opponendo resistenza.

«Non essere ridicolo e mettiti a letto. Non è il momento di preoccuparsi del pudore. Siamo in una roccaforte nazista.»

«Ex nazista.»

«Già, questo sì che è confortante.»

Painter salì sul letto con un sospiro, con tanto di accappatoio addosso. Lei girò dall’altro lato e fece altrettanto, spegnendo le candele. Le ombre s’ispessirono, ma il fuoco morente continuava a diffondere una luce piacevole nella stanza. Lisa non era certa di poter sostenere un’oscurità completa.

Si sistemò sotto le coperte, tirandole su fino al mento. Lasciò uno spazio tra loro due, rivolgendo la schiena a Painter.

Lui percepì la sua paura e si voltò verso di lei. «Se moriremo, lo faremo assieme.»

Non erano esattamente le parole rassicuranti che si aspettava di sentire, ma allo stesso tempo le davano uno strano conforto. Nelle parole di Painter, nel suo tono di voce, c’era qualcosa: forse l’onestà, forse una promessa… In ogni caso, furono molto più efficaci di qualsiasi traballante rassicurazione sulla loro incolumità.

Lei gli credeva.

Accoccolandosi vicino a lui, gli prese la mano. Le loro dita s’intrecciarono. Nulla a che vedere col sesso, era solo il bisogno di un contatto fisico. Lei gli prese un braccio e se lo avvolse attorno.

Lui le strinse forte la mano, rassicurante. Allora lei gli si avvicinò ancora di più e Painter si voltò per abbracciarla meglio.

Lisa chiuse gli occhi, senza aspettarsi di dormire. Eppure, stretta tra le braccia di lui, alla fine si addormentò.

Copenhagen, Danimarca,

ore 22.39

Gray guardò l’orologio.

Erano nascosti da oltre due ore. Lui e Fiona si erano intrufolati nel condotto della Minen, la miniera. Era una vecchia attrazione animatronica, con vetture che passavano davanti ad animali di cartone simili a talpe che, vestite da minatori, lavoravano in una stravagante cava sotterranea. Lo stesso ritornello musicale si ripeteva di continuo, in una versione uditiva della tortura cinese dell’acqua.

Poco dopo essersi mischiati alla folla di Tivoli, Gray e Fiona erano saltati su una vettura, fingendo di essere padre e figlia. Alla prima curva non sorvegliata, però, erano scesi e si erano nascosti in una cabina di servizio, dietro una porta col simbolo di una scarica elettrica. Non essendo arrivato in fondo al percorso, Gray poteva soltanto immaginare come sarebbe andato a finire: con quelle creature simili a talpe felicemente ricoverate in ospedale, malate di antracosi.

O almeno così sperava.

Il brioso ritornello si ripeté per la millesima volta. Forse non era terribile quanto It’s a Small World di Disneyland, ma ci mancava poco.

Gray aveva la Bibbia di Darwin aperta in grembo. Ne stava esaminando le pagine con una penna luminosa, alla ricerca di indizi che ne giustificassero l’importanza. La testa gli pulsava di dolore a tempo di musica.

«Hai una pistola?» chiese Fiona, accovacciata in un angolino con le braccia conserte. «Se ce l’hai, sparami subito.»

Gray sospirò. «Manca solo un’altra ora.»

«Non ce la farò mai.»

Il piano era aspettare che il lunapark chiudesse. Gray era sicuro che ormai tutte le uscite fossero sotto sorveglianza, perciò la loro unica speranza era tentare la fuga durante l’esodo di massa dal parco, a mezzanotte. Aveva tentato di farsi confermare l’arrivo di Monk all’aeroporto di Copenhagen, ma il ferro e il rame del vecchio edificio disturbavano il campo del cellulare. Dovevano arrivare all’aeroporto.

«Hai scoperto qualcosa nella Bibbia?» chiese Fiona.

Gray scosse la testa. L’albero genealogico, o, meglio, evolutivo, della famiglia Darwin, raffigurato all’interno della copertina, era particolarmente affascinante. Ma per il resto, nelle pagine che aveva esaminato fino a quel momento, la carta fragile e delicata non conteneva nessun indizio. Aveva scoperto soltanto qualche scarabocchio. Lo stesso segno ripetuto all’infinito, in numerose posizioni diverse.

Gray diede un’occhiata al suo taccuino. Aveva annotato i simboli nell’ordine in cui li aveva trovati, scritti a margine della Bibbia. Non sapeva se li avesse fatti Darwin o il successivo proprietario del volume.

Spinse il taccuino verso Fiona.

«Ci vedi qualcosa di familiare?»

La ragazza sospirò e guardò di traverso i simboli.

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«Impronte di uccellini», commentò. «Non vale la pena di scervellarsi.»

Gray s’irritò, ma tacque. L’umore di Fiona era peggiorato. Gli piaceva di più quando era vendicativa e compiaciuta, oppure pazza di rabbia. Da quando erano imprigionati lì dentro, sembrava che si fosse chiusa in se stessa. Gray sospettava che avesse incanalato tutto il dolore e le energie in quello stratagemma per impadronirsi della Bibbia, quella piccola vendetta contro gli assassini di sua nonna; ma, mentre erano chiusi lì al buio, la realtà stava tornando a galla.

Che cosa poteva fare? Prese carta e penna, cercando un sistema per farla concentrare sul presente. Disegnò un altro simbolo: il piccolo tatuaggio che aveva visto sul dorso della mano del compratore.

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Le passò il taccuino. «Che ne dici di questo?»

Con un sospiro ancora più accentuato, lei si sporse in avanti a guardare un’altra volta. Scosse la testa. «Un quadrifoglio? Non so. Che cosa dovrebbe… Aspetta.» Prese il taccuino e guardò meglio. Sgranando gli occhi, esclamò: «Ma questo l’ho già visto!»

«Dove?»

«Su un biglietto da visita. Ma non era proprio così, aveva solo i contorni.» Prese la penna e cominciò a disegnare.

«Di chi era il biglietto da visita?»

«Di quello stronzo che è venuto a scartabellare nei nostri archivi mesi fa. Il tipo che ci ha fregato con la carta di credito falsa.» Fiona continuò a disegnare. «E, tu, dove l’hai visto?»

«Era tatuato sulla mano dell’uomo che ha comprato la Bibbia.»

«Lo sapevo! C’è sempre lo stesso bastardo dietro tutta questa storia. Prima cerca di rubarla, poi copre le sue tracce uccidendo Mutti e incendiando il negozio.»

«Ti ricordi il nome sul biglietto da visita?»

Fiona scosse la testa. «Soltanto il simbolo, perché l’avevo riconosciuto.»

Gli passò lo schizzo che aveva fatto. Era un disegno più dettagliato, che, rispetto al tatuaggio, rivelava meglio l’intreccio del simbolo.

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Gray picchiettò un dito sul foglio. «Hai riconosciuto questo simbolo?»

Fiona annuì. «Colleziono spille. Certo, con questi vestiti orribili non ho potuto metterne neanche una.»

Gray ricordò la felpa col cappuccio, quella che Fiona indossava quando l’aveva vista la prima volta, ornata di spille e distintivi di ogni forma e misura.

«Ho avuto una fase celtica. Ascoltavo solo quella musica e avevo un sacco di spille con disegni celtici.»

«E questo simbolo?»

«Si chiama Quadrato della Terra o Croce di San Giovanni. È una protezione, invoca i quattro angoli della terra per ottenere potere.» Indicò i cerchi simili a un quadrifoglio. «E per questo che a volte lo chiamano nodo-scudo. Serve a proteggerti.»

Gray si concentrò, ma non trovò nessun significato in quell’indizio.

«È per questo che ho detto a Mutti di fidarsi di quel tizio», aggiunse Fiona, afflosciandosi contro la parete. La sua voce divenne un sussurro, come se avesse paura di parlare. «A lei non piaceva quell’uomo. Era una reazione di pelle. Ma, quando io ho visto quel simbolo sul suo bigliettino, ho pensato che doveva essere un tipo a posto.»