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E per tutto quel tempo, invece, Painter era rimasto così calmo. Anche in quel momento la rassicurava sentirlo mentre aggiungeva un altro pezzo di legno al fuoco, un atto semplice per procurare sollievo e ristoro a tutti e due. Doveva essere esausto. Lui aveva già fatto il bagno, non tanto per motivi igienici, quanto come rimedio contro un principio di congelamento. Lisa aveva notato le chiazze bianche che aveva alle estremità delle orecchie e aveva insistito perché usasse la vasca per primo.

A lei era andata meglio, perché aveva vestiti più pesanti. Comunque s’immerse completamente nella vasca, sprofondando sott’acqua anche con la testa. Il calore le pervase il corpo, riscaldando tutti i tessuti. Le si acuirono i sensi. Non doveva fare altro che inspirare, lasciarsi annegare. Un attimo di panico, poi sarebbe finito tutto: la paura, la tensione. Avrebbe ripreso il controllo del proprio destino, si sarebbe riappropriata di ciò che i suoi carcerieri tenevano in ostaggio.

Solo un respiro…

«Hai quasi finito?» Il suono di quelle parole, smorzato dall’acqua, le sembrava molto distante. «Ci hanno portato uno spuntino.»

Lisa riemerse dall’acqua e dal vapore, i capelli e il viso gocciolanti. «Sì… Esco tra un minuto.»

«Fai con comodo», replicò Painter dall’altra stanza.

Lo sentì aggiungere altra legna al fuoco.

Dove trovava la forza di muoversi? Prima costretto a letto per tre giorni, poi la lotta nel seminterrato, infine quel viaggio al gelo… Eppure andava avanti imperterrito. Forse era soltanto la disperazione, ma percepiva in lui una sorgente di forza che andava oltre la resistenza fisica.

Mentre pensava a quell’uomo, smise finalmente di tremare. Uscì dalla vasca con la pelle fumante e si tamponò con un asciugamano. Appeso a un gancio c’era un morbido accappatoio. Lo lasciò lì ancora per un istante. Accanto a un antico lavabo c’era uno specchio che arrivava fino al pavimento. La superficie era appannata, ma rifletteva comunque la sua figura nuda. Ruotò una gamba, non per un vezzo narcisistico, ma per esaminare la mappa dei lividi sparpagliati sull’arto. I polpacci doloranti le ricordarono una cosa essenziale.

Era ancora viva.

Diede un’occhiata alla vasca.

Non avrebbe concesso loro quella soddisfazione. Sarebbe andata sino in fondo.

S’infilò l’accappatoio. Dopo aver stretto la cintura attorno alla vita, uscì dal bagno. L’altra stanza era più calda. Arrivando, avevano trovato una temperatura accettabile, grazie a una ventola di riscaldamento, ma il fuoco acceso nel camino l’aveva resa molto più accogliente. Il piccolo focolare crepitava allegramente, diffondendo una luce calda e tremolante. L’unica altra illuminazione, una serie di candele accese accanto al letto, contribuiva all’atmosfera intima.

Non c’era elettricità.

Anna Sporrenberg aveva spiegato orgogliosamente che il castello era alimentato quasi interamente a energia geotermica, grazie a un progetto centenario di Rudolf Diesel, l’ingegnere tedesco dai natali francesi che avrebbe in seguito inventato il motore diesel. In ogni caso, l’elettricità non doveva essere sprecata ed era quindi disponibile solo in alcune aree selezionate del castello, tra le quali non rientrava la loro stanza.

Painter si voltò a guardarla, quando entrò. Lei notò che, coi capelli arruffati, lui aveva un’aria sbarazzina. A piedi nudi e avvolto in un accappatoio identico al suo, riempì due tazze di coccio con una bevanda fumante.

«Tè al gelsomino», spiegò, facendole cenno di accomodarsi su un piccolo divano davanti al fuoco. Su un tavolino era poggiato un vassoio con vari formaggi, un pane nero, roast beef a fette e una scodella di more con un piccolo bricco di panna.

«La nostra ultima cena?» chiese Lisa, cercando di suonare disinvolta, ma senza riuscirci.

Painter batté con la mano il posto accanto a lui mentre si sedeva.

Lei lo raggiunse.

Mentre lui tagliava il pane, Lisa prese un pezzetto di cheddar stagionato. Lo annusò e lo rimise sul vassoio. Non aveva appetito.

«Dovresti mangiare», le consigliò Painter.

«Perché? Per essere più forte quando ci riempiranno di farmaci?»

Painter arrotolò una fetta di roast beef e se la infilò in bocca. Continuò a parlare mentre masticava: «Nulla è certo. Se c’è una cosa che ho imparato nella vita è proprio questa».

Poco convinta, lei scosse la testa. «Che vuoi dire, quindi? Speriamo che tutto vada per il meglio?»

«Personalmente preferisco avere un piano.»

«Ce l’hai?»

«Uno molto semplice. Senza raffiche di mitra e pioggia di granate.»

«E allora?»

Lui ingoiò il roast beef e si voltò verso di lei. «Una cosa che, sorprendentemente, funziona un sacco di volte.»

Lei aspettava una risposta. «E cioè?»

«L’onestà.»

Lisa si accasciò sul divano, lasciando cascare le spalle. «Grandioso.»

Painter raccolse una fetta di pane, ci spalmò uno spesso strato di senape, aggiunse una fetta di roast beef e, per finire, un pezzo di cheddar. Poi porse il tutto a Lisa. «Mangia.»

Sospirando, lei prese la sua creazione, solo per fargli piacere.

Painter ne preparò un’altra per sé. «Per esempio, io sono il direttore di una divisione della DARPA che si chiama Sigma. Siamo specializzati nelle indagini sulle minacce contro gli Stati Uniti. Insomma, siamo il braccio armato della DARPA.»

Lisa rosicchiò la crosta del pane, sentendo il sapore intenso della senape fresca. «Possiamo aspettarci un’azione di soccorso da parte dei tuoi colleghi?»

«Ne dubito. Non nei tempi che abbiamo a disposizione. Ci vorranno giorni perché scoprano che il mio cadavere non è sepolto sotto le macerie del monastero.»

«Allora non capisco…»

Painter sollevò una mano, sgranocchiò un boccone di panino e continuò a parlare con la bocca piena. «Sto parlando di onestà. Dire le cose come stanno, apertamente, e vedere che cosa succede. Qualcosa ha attirato l’attenzione della Sigma, da queste parti. Storie di strane malattie. Dopo così tanti anni di operazioni condotte nell’ombra, perché tutti questi passi falsi negli ultimi mesi? Io non sono uno che crede molto alle coincidenze. Ho sentito Anna parlare col soldato assassino. Ha accennato a un problema, qualcosa che li lascia sconcertati. Forse i nostri obiettivi non sono tanto diversi. Forse c’è spazio per una cooperazione.»

«E ci lascerebbero in vita?» chiese lei, con un tono a metà tra lo scherno e la speranza. Poi morse il panino, per non sentirsi troppo sciocca.

«Non lo so», rispose lui, onestamente. «Finché ci dimostriamo utili, forse sì. E, se riuscissimo a guadagnare un paio di giorni, aumenterebbero le possibilità di essere salvati oppure di un cambiamento delle circostanze.»

Lisa masticò il cibo, riflettendo. Senza neanche rendersene conto, si ritrovò a mani vuote. E aveva ancora fame. Divisero la scodella di more, versandoci sopra la panna.

Guardò Painter da una nuova prospettiva. Non era soltanto forte e caparbio. Dietro quegli occhi blu si nascondevano anche una vivace intelligenza e una buona dose di buon senso. Sentendosi osservato, lui le lanciò un’occhiata. Lisa ritornò immediatamente a studiare il vassoio.

Finirono di mangiare in silenzio, sorseggiando il tè. Con lo stomaco pieno, la stanchezza si fece sentire. Anche parlare era una fatica. In più, a Lisa piaceva stare seduta in silenzio accanto a lui. Sentiva il suo respiro e il profumo della sua pelle appena lavata.

Mentre finiva di bere il tè addolcito col miele, notò che Painter si sfregava la tempia destra, strabuzzando gli occhi. La cefalea stava ritornando. Non voleva giocare a fare la dottoressa e preoccuparlo con un atteggiamento clinico, ma lo osservò con la coda dell’occhio. Gli tremavano le dita dell’altra mano. Notò la leggera vibrazione delle sue pupille, mentre guardava il fuoco che si spegneva lentamente.

Painter aveva parlato di onestà, ma voleva sapere la verità sulle sue condizioni di salute? Gli attacchi sembravano più frequenti e una parte di lei era abbastanza egoista da aver paura, non per la salute di Painter, ma per la esigua speranza di sopravvivere che lui le aveva infuso. Aveva bisogno di lui.