Il fatto è che la mente dei maghi è in grado di dare forma ai pensieri. Le streghe lavorano con ciò che esiste realmente nel mondo ma, se è bravo, un mago può dare corpo alla propria immaginazione. La cosa in sé non sarebbe grave se non fosse per il fatto che il piccolo cerchio di luce di candela, impropriamente chiamato "l’universo del tempo e dello spazio", scivola in cose molto più spiacevoli e imprevedibili. Strani Esseri si aggirano e grugniscono fuori delle fragili barriere della normalità. Dai profondi crepacci al confine del Tempo si levano sibili e ululi misteriosi. Ci sono esseri così orribili che perfino l’oscurità ne ha paura.

La maggior parte di noi non lo sa e ciò è un bene, perché il mondo non potrebbe funzionare come si deve se ognuno se ne stesse a letto con le lenzuola tirate sopra la testa. Ed è quello che accadrebbe se sapessimo quali orrori sono in agguato.

Il problema è che coloro che s’interessano di magia e di misticismo trascorrono, per così dire, molto tempo proprio al limite della luce. Il che fa sì che vengano notati dalle creature delle Dimensioni Sotterranee, le quali allora cercano di servirsene nei loro incessanti sforzi di penetrare in questa particolare Realtà.

La maggior parte di noi è capace di opporre resistenza, ma i continui tentativi di quegli Esseri si fanno più forti quando il soggetto è addormentato.

Bel-Shamharoth, Chulagen, Colui che è addentro… gli orridi e bui dei del Necrotelicomnicon (il libro conosciuto da certi folli adepti con il suo vero nome di Liber Paginarum Fulvarum) sono sempre pronti a introdursi in una mente addormentata. Gli incubi sono spesso vividi e sempre sgradevoli.

Esk ci aveva fatto l’abitudine fin da quel primo sogno dopo il suo primo Prestito e la familiarità era quasi subentrata al terrore. Quando si ritrovava seduta nel mezzo di una pianura di polvere scintillante sotto stelle ignote, sapeva che era arrivato il momento di un altro incubo.

— Al diavolo — esclamò. — Va bene, vieni avanti. Forza con i mostri. Spero soltanto che non sia quello con la chiocciola di mare sul viso.

Questa volta, però, l’incubo era diverso. Esk si guardò intorno e vide, erto dietro di lei, un alto castello nero. Le sue torri scomparivano tra le stelle. Dai merli venivano giù luci e fuochi d’artificio e una musica strana. La grande porta a doppio battente era spalancata con aria invitante. Sembrava che all’interno si svolgesse una festa molto animata.

Lei si alzò, si spazzolò via dall’abito la polvere argentea e si diresse alla porta.

L’aveva quasi raggiunta quando i battenti si richiusero. Ma senza muoversi. Semplicemente, un attimo prima erano spalancati e subito dopo erano serrati con un clangore che scosse gli orizzonti.

Esk tese la mano per toccarli. Erano neri e così freddi che sopra cominciava a formarsi il ghiaccio.

Qualcosa si mosse alle sue spalle. Si voltò e vide la verga, non più camuffata da scopa, piantata ritta nella sabbia. Sul legno polito guizzavano delle scintille come pure intorno alle incisioni che a nessuno era mai riuscito di decifrare.

Esk la prese e la batté con violenza contro la porta. L’urto produsse una pioggia di scintille di ottarino ma non intaccò minimamente il nero metallo.

La bambina socchiuse gli occhi. Tenendo la verga a braccio teso, si concentrò finché una piccola lingua di fuoco sprizzò dal legno ed esplose sul battente. Il ghiaccio si tramutò in vapore ma la tenebra (adesso lei era sicura che non si trattava di metallo) assorbì il potere senza rivelare nemmeno il più piccolo bagliore. Esk allora raddoppiò l’energia, così che tutta la magia racchiusa nella verga si riversò in un raggio talmente brillante da obbligarla a chiudere gli occhi (pur continuando a vederlo nella sua mente).

Poi si spense.

Lei lasciò passare qualche secondo, poi si avvicinò di più e toccò con cautela la porta. Il gelo quasi le fece cadere le dita.

Dall’alto dei merli sentì il suono di risa beffarde. Quel suono era peggio di una risata, specie una riecheggiante risata demoniaca. Invece era soltanto… una sghignazzata.

Che andò avanti a lungo. Uno dei suoni più sgradevoli che Esk avesse mai udito.

Si svegliò con un brivido. Mezzanotte era passata da un pezzo e le stelle spandevano una luce umida e fredda. L’aria era piena del silenzio notturno, un silenzio attivo, creato da centinaia di piccoli esseri pelosi che si spostano con grande cautela nella speranza di trovarsi una cena ed evitare al tempo stesso di fornire la portata principale.

Si era alzato uno spicchio di luna e una tenue luce grigia verso l’orlo del mondo indicava che, contro ogni probabilità, si preparava un altro giorno.

Qualcuno aveva avvolto la bambina in una coperta.

— So che sei sveglia — disse la voce di Nonnina Weatherwax. — Potresti renderti utile e accendere il fuoco. Da queste parti c’è fin troppa abbondanza di legna.

Esk si mise seduta e si afferrò al cespuglio di ginepro. Si sentiva così leggera da temere di volare via da un momento all’altro.

— Fuoco? — borbottò.

— Già. Sai. Puntare un dito ed ecco fatto. — La voce della vecchia aveva un tono acido. Seduta su una roccia, cercava di trovare una posizione che non desse fastidio alla sua artrite.

— Io… io non credo di esserne capace.

— Senti, senti! — fu il commento enigmatico della Nonnina.

La vecchia strega si chinò in avanti e posò una mano sulla fronte della bambina. Era come essere carezzata da una calzetta piena di dadini caldi.

— Hai anche un po’ di febbre. — E aggiunse: — Troppo sole e terreno freddo. Ti sta bene.

Esk si lasciò andare fino a poggiare la testa in grembo alla Nonnina, con il suo odore familiare misto di canfora, erbe varie e un sentore di capra. La Nonnina le diede dei colpetti sui capelli che, nella sua intenzione, dovevano avere un effetto calmante.

Dopo un po’ Esk disse a voce bassa: — Non mi permetteranno di entrare all’Università. Me l’ha detto un mago e io l’ho sognato, uno di quei sogni che dicono la verità. Sai, come mi hai detto tu, una mete-nonsoche.

— Mettarfora — disse calma la vecchia.

— Una di quelle.

— Credevi che sarebbe stato facile? Pensavi di passare la loro porta agitando la tua verga? Eccomi qua, voglio essere un mago, grazie mille?

— Mi ha detto che le donne non sono permesse nell’Università!

— Lui si sbaglia.

— No, capivo che diceva la verità. Sai, Nonnina, si capisce…

— Sciocchina. Tu capivi soltanto che lui era convinto di dire la verità. Non sempre il mondo è quale la gente lo vede.

— Non capisco — protestò la bambina.

— Imparerai. Adesso dimmi. Questo sogno. Non ti lasciavano entrare nella loro università, giusto?

— Sì, e ridevano.

— E allora hai cercato di abbattere la porta con il fuoco?

Esk girò la testa e la guardò sospettosa.

— Come facevi a saperlo?

La Nonnina sorrise, ma come sorriderebbe una lucertola.

— Ero lontana chilometri — rispose. — Stavo cercando di raggiungerti con la mente e a un tratto mi sembrava di vederti dovunque. Risplendevi con un piccolo segnale, così facevi. Quanto al fuoco… guardati intorno.

Nella semiluce dell’alba, il pianoro era un ammasso di argilla bruciata. Il pendio davanti a Esk era vetroso e doveva essere colato come pece liquida sotto l’impatto violento, attraversato qua e là da grandi spaccature dalle quali erano sgorgate roccia fusa e scorie. Ascoltando attentamente, Esk riusciva a udire il debole battito della roccia che si andava raffreddando.

— Oh, sono io che ho fatto questo? — esclamò.

— Così sembrerebbe — affermò la Nonnina.

— Ma dormivo! Stavo solo sognando!

— È la magia. Che cerca di trovare una via d’uscita. La magia di una strega e quella di un mago, non so, è come se si alimentassero a vicenda. Credo.

Esk si morse un labbro.