— Che cosa posso fare? — chiese. — Sogno ogni sorta di cose!

— Be’, tanto per cominciare, andiamo dritte all’Università — decise la Nonnina. — Devono essere abituati agli apprendisti incapaci di controllare la magia e che fanno sogni del genere. Altrimenti, quel posto sarebbe stato distrutto dalle fiamme già da anni.

Lanciò prima un’occhiata verso l’Orlo e poi alla scopa accanto a lei.

Tralasceremo il correre su e giù, gli sforzi per rendere più stretti i nodi che legavano la scopa, le imprecazioni borbottate contro i nani, i brevi attimi di speranza quando la magia brillava intermittente, la disperazione quando si spegneva, e ancora gli sforzi per stringere i nodi e ancora le corse, l’avvio improvviso dell’incantesimo, l’arrampicarsi a bordo, le grida, il decollo…

Con una mano Esk si teneva aggrappata alla Nonnina e con l’altra reggeva la verga mentre si spostavano a fatica a qualche metro dal suolo. Qualche uccello le affiancava, interessato a quel nuovo albero volante.

— Andatevene via, accidenti! — urlò la Nonnina che, toltasi il cappello, lo agitava minacciosa.

— Non andiamo molto veloci, Nonnina — osservò Esk.

— Per me è abbastanza!

Esk si guardò intorno. Dietro a loro l’Orlo era una vampa dorata, attraversata dalle nuvole.

— Credo che dovremmo abbassarci, Nonnina — disse ansiosa la piccola. — Hai detto che la scopa non può volare con i raggi del sole. — Guardò il paesaggio sottostante. Era ripido e inospitale. E sembrava in attesa.

— So quello che faccio, signorina — disse burbera la vecchia, che strinse più forte la scopa e cercò di farsi la più leggera possibile.

Abbiamo già rivelato che nel mondo-Disco la luce si spande, lentamente, per effetto del suo passaggio attraverso il vasto e antico campo magico del Disco.

Così l’alba non sorge rapida come negli altri mondi. Invece di erompere, il nuovo giorno avanza adagio attraverso il paesaggio addormentato come fa la marea che striscia sulla spiaggia e fa crollare i castelli di sabbia della notte. Quando incontra le montagne, ci gira intorno. E se gli alberi si levano fitti, emerge dai boschi in nastri di luce, tagliati dalle ombre.

Un osservatore piazzato in alto in un punto adatto (prendiamo, tanto per dire, un cirrostrato al limite dello spazio) noterebbe con quanto amore la luce si spande sulla terra, come balza in avanti sulle distese pianeggianti e rallenta quando incontra le alture, con quanta bellezza essa…

Ora, ci sono degli osservatori i quali, davanti a tanta bellezza, si lamenteranno che la luce dal lento fluire non può esistere e che, in caso contrario, non saremmo capaci di vederla. Al che si può soltanto rispondere: allora, com’è che state su una nuvola?

Ma basta con il cinismo. Giù sul Disco la scopa avanzava veloce verso l’alba piena, lasciandosi indietro l’ombra della notte.

— Nonnina!

Il giorno esplose su di loro. Davanti, le rocce, inondate di luce, parevano fiammeggiare.

La vecchia avvertì lo scarto del bastone e contemplò affascinata ma con terrore la piccola ombra barcollante sotto di loro.

— Che succederà quando ci abbatteremo al suolo?

— Dipende se riesco a trovare delle rocce morbide — rispose la Nonnina con voce preoccupata.

— La scopa sta per precipitare! Non possiamo fare qualche cosa?

— Be’, suppongo che potremmo scendere.

— Nonnina — disse Esk nel tono di voce esasperato e notevolmente adulto che i bambini adoperano per rimproverare i loro parenti ostinati — non mi sembra che tu capisca bene. Io non voglio sbattere sul terreno. Non mi ha mai fatto niente.

La Nonnina stava cercando di escogitare un incantesimo appropriato e rimpiangeva che la "menteologia" non funzionasse con le rocce. Se si fosse accorta della nota che vibrava nella voce della bambina, forse non avrebbe risposto: — Allora, dillo alla scopa.

E sarebbero precipitate di sicuro. Ma si ricordò a un tratto di afferrare il cappello e di farsi forza. La scopa diede uno scossone, s’inclinò.

…e il paesaggio divenne confuso.

In realtà si trattò di un tragitto molto breve, ma tale che la Nonnina avrebbe poi sempre ricordato, in genere intorno alle tre del mattino dopo un pasto succulento. Avrebbe ricordato i colori dell’arcobaleno vividi nell’aria turbinosa, quell’orribile sensazione di pesantezza, l’impressione che qualcosa molto grossa e pesante sedesse sull’universo.

Avrebbe ricordato la risata di Esk. Avrebbe ricordato, a dispetto di tutti i suoi sforzi, la velocità con cui il terreno scorreva sotto di loro e come intere catene montuose le superassero sfrecciando con un odioso rumore sibilante.

Più di tutto, avrebbe ricordato come avevano raggiunto la notte.

Essa apparì davanti ai suoi occhi, una linea buia e frastagliata che precedeva il mattino. Guardò, con affascinato terrore, la linea divenire una macchia, una chiazza, un intero continente di tenebra che correva a precipizio verso di loro.

Per un istante rimasero ferme sulla cresta dell’alba che si rovesciava sulla terra in un tuono silenzioso. Mai nessun surfista cavalcò una simile onda. Ma la scopa attraversò rapida la luce tumultuosa e penetrò senza sforzo nella frescura dietro di essa.

La Nonnina riprese a respirare.

L’oscurità si portò via un po’ del terrore del volo. Ma implicava pure che, se Esk se ne disinteressava, la scopa avrebbe dovuto essere in grado di volare solo grazie alla sua magia alquanto arrugginita.

— … — cercò di dire la Nonnina e si schiarì la gola secca per riprovarci: — Esk?

— È divertente, non è vero? Mi chiedo come riesco a farlo accadere.

— Già, divertente — asserì debolmente la vecchia. — Ma posso guidare io il bastone, per piacere? Non voglio che oltrepassiamo il Bordo. Per piacere?

— È vero che intorno al bordo del mondo c’è una gigantesca cascata e che uno può guardare giù e vedere le stelle?

— Sì. Possiamo rallentare adesso?

— Mi piacerebbe vederla.

— No! Cioè, no, non ora.

La scopa rallentò. La bolla color dell’arcobaleno che la circondava svanì con uno schiocco. Senza uno scossone, senza un fremito, la Nonnina si ritrovò a volare di nuovo a una velocità moderata.

Lei si era fatta una solida reputazione grazie al fatto di avere sempre una risposta a tutto. Portarla ad ammettere la propria ignoranza, perfino di fronte a se stessa, era un’impresa strabiliante. Ma era rosa dalla curiosità.

Alla fine si decise a chiedere: — Come hai fatto?

Dopo una pausa di riflessione, Esk rispose: — Non lo so. Semplicemente era necessario, e l’avevo in testa. Come quando ci ricordiamo una cosa che avevamo dimenticato.

— Sì, ma come?

— Io… io non lo so. Avevo il quadro di come volevo che andassero le cose e, e… è come se fossi entrata in quel quadro.

La Nonnina aveva lo sguardo fisso nella notte. Non aveva mai sentito parlare di una magia simile, ma doveva essere terribilmente possente e probabilmente letale. Era entrata nel quadro! Certo, la magia cambiava in qualche modo il mondo. Per i maghi era quello il suo solo uso. A loro non andava a genio l’idea di lasciare il mondo com’era e cambiare la gente. Ma questa era un’altra faccenda, era più concreta. Occorreva rifletterci. Seriamente.

Per la prima volta in vita sua la Nonnina si chiese se potesse esserci qualcosa d’importante in tutti quei libri che la gente oggigiorno teneva in gran conto. Lei, però, era contraria ai libri per ragioni strettamente morali: infatti aveva sentito che molti erano scritti da persone morte e quindi era logico supporre che leggerli equivaleva alla negromanzia. Tra le molte cose di un universo infinitamente vario che la Nonnina disapprovava era parlare con i morti. I quali, a quanto si dice, hanno già abbastanza guai per conto loro.

Ma, era incline a credere, non quanti ne aveva lei. Abbassò lo sguardo, confusa, e si chiese vagamente perché le stelle lucevano sotto di lei.