— La mia nonnina mi ha insegnato dei rimedi contro la febbre da fieno. Potremmo provarli — offrì Esk.

Lui scosse la testa, dando l’impressione che gli si potesse staccare dal collo.

— Provato di tutto — disse. — Che bel mmm-mago sarei, eh, incapace perfino di pronunciare la pppp… il nome.

— Potrei vedere dove sarebbe il problema — dichiarò lei. Rimase per un po’ a guardare il paesaggio e a seguire il filo dei suoi pensieri.

Alla fine chiese: — Ehm, è possibile per una donna essere… sai, un mago?

Simon la guardò sorpreso e lei gli ricambiò lo sguardo con aria di sfida.

La gola del ragazzo si serrò, nello sforzo di trovare una frase che iniziasse con una consonante facile da pronunciare. Alla fine fu costretto a scendere a un compromesso.

— Un’idea curiosa — disse. Ci pensò su per un po’ e poi scoppiò a ridere finché non vide l’espressione della bambina.

— Alquanto buffa, davvero — aggiunse. Ma il suo viso si fece serio. Era chiaramente perplesso. — Non ci avevo mm-mai pp-pensato prima.

— Allora? È possibile? — La voce di Esk era tagliente come un rasoio.

— Certo che non è possibile. È una cosa lampante, piccola. Simon, rimettiti a studiare.

Treatle scostò la tenda che separava la parte posteriore del vagone e si arrampicò sul sedile.

La solita espressione di lieve panico tornò sulla faccia di Simon. Treatle gli tolse le redini dalle mani e lui lanciò un’occhiata supplichevole a Esk. Ma la bambina lo ignorò.

— Perché no? Perché è così lampante?

Treatle si voltò a guardarla. Fino a quel momento non le aveva mai prestato molta attenzione; per lui la piccola era semplicemente un’altra figura intorno ai fuochi da campo.

Quale Vice-Cancelliere dell’Università Invisibile, era abituato a vedere delle vaghe figure darsi da fare per servirgli i pasti e tenergli in ordine le stanze. Certo, era uno stupido, in quel particolarissimo modo in cui possono esserlo persone molto intelligenti. E forse aveva il tatto di una valanga ed era egocentrico come un tornado. Ma non gli sarebbe mai passato per la testa che i bambini fossero abbastanza importanti per comportarsi sgarbatamente con loro.

Dai lunghi capelli bianchi alla punta rivolta all’insù degli stivali, Treatle era l’immagine stessa di un mago. Ne aveva, come d’uso, le sopracciglia cespugliose, la tunica scintillante e la barba patriarcale, appena rovinata dalle macchie gialle della nicotina (i maghi, sebbene celibatari, godono a fumarsi un buon sigaro).

— Ti sarà tutto chiaro quando sarai cresciuta — le rispose. — Certo, l’idea è divertente, un bel giochino di parole. Un mago femmina! Tanto varrebbe inventarti una strega maschio!

— Stregoni — disse Esk.

— Prego?

— La mia nonnina afferma che gli uomini non possono essere streghe. Dice che se gli uomini tentassero di essere delle streghe sarebbero dei maghi.

— Mi sembra una donna molto saggia — osservò Treatle.

— Lei dice che le donne dovrebbero attenersi a ciò che sanno fare bene — continuò la bambina.

— Molto ragionevole da parte sua.

— Dice che se le donne fossero brave come gli uomini, sarebbero assai meglio.

Treatle rise.

— Lei è una strega — dichiarò Esk e in mente sua aggiunse: "Prendi questa, che ne pensi, signor cosiddetto grandemago".

— Mia cara signorina, dovrei esserne scioccato? Provo un grande rispetto per le streghe.

Esk si accigliò. Non era quello che si aspettava di sentire da lui.

— Davvero?

— Sì, certo. A mio parere, le arti di una strega sono una bella carriera per una donna. Una vocazione nobilissima.

— Davvero? Cioè, è così?

— Oh, sì. Molto utile nelle zone rurali per… per le persone che… fanno figli e così via. Comunque, le streghe non sono maghi. La loro arte è il modo di cui si serve la Natura per permettere alle donne l’accesso ai flussi magici. Ma devi ricordare che non è la grande magia.

— Capisco. Non è grande magia — ripeté la bambina in tono tutt’altro che soddisfatto.

— Oh, no. Naturalmente, è un’arte assai valida per aiutare la gente nel cammino della vita, ma…

— Suppongo che le donne non siano abbastanza razionali per essere dei maghi — aggiunse Esk. — Suppongo che sia questo.

— Non ho che il massimo rispetto per le donne — affermò il mago, che non aveva notato il nuovo tono che vibrava nella voce della piccola. — Sono impareggiabili quando, quando…

— Si tratta di avere dei figli, eccetera?

— Sì, infatti — concesse generosamente il mago. — Ma a volte possono creare un certo disturbo. Un po’ troppo eccitabili. La grande magia richiede una grande lucidità di spirito, capisci, e i talenti femminili non si esercitano in quella direzione. Il loro cervello tende a surriscaldarsi. Mi rincresce dire che c’è una sola porta per accedere all’arte di un mago. Ed è la porta principale dell’Università Invisibile: nessuna donna l’ha mai passata.

— Spiegami esattamente a che cosa serve la grande magia.

Treatle le sorrise.

— Bambina mia, essa può darci tutto ciò che vogliamo.

— Oh!

— Quindi scaccia dalla tua mente tutta questa sciocchezza di un mago femmina, va bene? — Treatle le sorrise benevolo. — Come ti chiami, piccola?

— Eskarina.

— E perché vai ad Ankh, mia cara?

— Pensavo che avrei potuto cercare fortuna — borbottò lei. — Ma credo che forse per le fanciulle non ci sia una fortuna da cercare. Sei sicuro che i maghi danno alla gente ciò che vuole?

— Naturale. La grande magia è fatta per questo.

— Capisco.

La grande carovana avanzava poco più che a passo d’uomo. Esk saltò giù. tirò fuori la verga dal suo nascondiglio tra le bisacce e i secchi appesi sul fianco del vagone, e partì di corsa fino a trovarsi in coda alla fila di carri e di animali. Scorse attraverso le lacrime Simon che si sporgeva a guardarla dal vagone, un libro aperto in mano. Il ragazzo le rivolse un sorriso perplesso e fece per dirle qualcosa, ma lei continuò a correre e cambiò direzione lasciando la pista.

Si arrampicò su una scarpata di argilla, con le gambe graffiate dai cespugli spinosi delia ginestra, e poi sì ritrovò a correre libera su un nudo altopiano racchiuso tra dirupi giallastri. Non si fermò finché non le mancò il fiato, ma si sentiva ancora ardere dalla collera. Altre volte era stata arrabbiata, ma mai in quel modo. Di solito la collera era simile alla fiamma delia fucina appena accesa, splendente e sprizzante faville. Ma quella che provava in quel momento era diversa. Come attizzata dal mantice, si era ridotta alla fiammella di un azzurro così intenso da scolorare nel bianco, capace di tagliare il ferro.

Le faceva formicolare tutto il corpo. Doveva fare qualcosa o scoppiare.

Come mai, quando ascoltava la Nonnina dilungarsi sull’arte delle streghe, lei non desiderava altro che quella più possente dei maghi; ma, ogni volta che sentiva parlare Treatle con la sua voce acuta, avrebbe difeso la prima con tutte le sue forze? Lei avrebbe avuto entrambe o nessuna. E più gli altri volevano fermarla, più lei era decisa.

Sarebbe stata una strega e anche un mago. Gliela avrebbe fatta vedere a tutti.

Si sedette sotto un folto cespuglio di ginepro ai piedi di un ripido pendio, la mente ribollente di collera e di piani. Sentiva porte che si richiudevano ancor prima che lei provasse ad aprirle. Treatle aveva ragione: non l’avrebbero lasciata entrare nell’Università. Possedere una verga non bastava per diventare un mago, occorreva anche ricevere una formazione e a lei nessuno l’avrebbe data.

Il sole di mezzogiorno picchiava e intorno a Esk l’aria cominciò a sapere di ginepro e di api. Lei si sdraiò, fissando la volta rossastra del cielo tra le foglie, e alla fine scivolò nel sonno.

Un effetto collaterale di chi pratica la magia è che si tendono a fare sogni realistici inquietanti. Una ragione c’è, ma il solo pensarci è sufficiente per far venire gli incubi a un mago.