Esk si sistemò tra la lana di pecora. Era un posticino caldo, odorava leggermente come il cottage della Nonnina e, cosa ancora più importante, le permetteva di essere indisturbata.

Cominciava a preoccuparsi un po’ della magia.

Che decisamente stava sfuggendo al suo controllo. Lei non faceva nulla di magico, ma la magia succedeva lo stesso intorno a lei. E capiva che se gli altri l’avessero saputo, probabilmente non ne sarebbero stati soddisfatti.

Per esempio, quando rigovernava, era obbligata a muovere rumorosamente le stoviglie e schizzare acqua dappertutto per nascondere il fatto che quelle si pulivano da sole. Se si metteva a rammendare, doveva farlo in un angolo riparato del ponte per nascondere il fatto che gli orli del buco si combaciavano perfettamente come per… come per magia. Poi, il secondo giorno del viaggio, svegliandosi aveva trovato che i bioccoli di lana intorno al posto dove aveva nascosto la verga durante la notte si erano pettinati, cardati e filati a formare ordinate matasse.

Scacciò dalla mente l’idea di accendere fuochi.

Trovava però altre compensazioni. A ogni pigra ansa del grande fiume brunastro si aprivano nuovi scenari. C’erano scure distese racchiuse tra fitte foreste, che la chiatta superava viaggiando al centro del fiume con gli uomini armati e le donne sotto coperta. A eccezione di Esk, che sedeva ad ascoltare attenta i fischi e le esclamazioni di disprezzo che li seguivano dal folto dei cespugli sulle sponde. C’erano dei tratti di terreno coltivato. C’erano diverse città più grandi di Ohulan. C’erano perfino delle montagne, sebbene fossero vecchie e piatte e non giovani e gaie come le sue montagne. Anche se non sentiva esattamente nostalgia di casa, qualche volta le sembrava di essere lei stessa una barca, trascinata all’estremità di una fune senza fine ma sempre attaccata a un’ancora.

Le chiatte si fermavano ad alcune di quelle città. Per tradizione, solo gli uomini scendevano a terra e il solo Amschat, in testa il suo cappello cerimoniale da Bugiardo, parlava con i non appartenenti agli Zoon. Di solito Esk lo accompagnava. Lui tentava di accennarle che avrebbe dovuto ubbidire alle leggi non scritte della vita degli Zoon e restare a bordo. Ma per Esk un semplice accenno equivaleva alla puntura di una zanzara per il rinoceronte. Lei, infatti, già cominciava a imparare che, se ignori le regole, quasi sempre gli altri le riscrivono così che esse non si applicano più a te.

Comunque, sembrava ad Amschat che quando era insieme a Esk, lui spuntava sempre un buon prezzo. C’era qualcosa in una ragazzina che li fissava decisa da dietro alle sue gambe, che induceva anche i mercanti più incalliti a concludere in fretta l’affare.

In realtà, la cosa cominciava a preoccuparlo. Quando, nella città di Zemphis cinta dalle mura, un sensale gli offrì un sacchetto di acquamarine in cambio di un centinaio di velli di pecora, una voce a livello della sua tasca disse: — Non sono acquamarine.

— Senti la ragazzina! — sogghignò il sensale.

Con aria solenne Amschat prese una delle pietre per esaminarla. — La ascolto — disse — e in effetti sembrano acquamarine. Ne hanno la lucentezza e lo scintillio.

Esk scosse la testa. — Sono soltanto imitazioni — affermò. Lo disse senza pensarci e subito lo rimpianse perché i due uomini si volsero a fissarla.

Amschat rigirò la pietra nel palmo della mano. Mettere delle pietre cangianti in una scatola con delle gemme vere in modo che sembrassero cambiare colore era un trucco tradizionale. Ma quelle avevano all’interno il fuoco azzurro genuino. Scrutò il volto del sensale. Amschat era stato ottimamente addestrato nell’arte della Bugia. Ora che ci pensava, ne riconosceva i segni sottili.

— Pare che ci sia un dubbio — disse — ma è presto risolto. Non c’è che da portarle dallo stimatore perché tutti sanno che queste imitazioni si dissolverebbero nel liquido epatico, sì o no?

Il sensale esitava. Amschat si era leggermente spostato e il suo atteggiamento suggeriva che bastava un improvviso movimento da parte sua per ritrovarsi steso nella polvere. E quella dannata ragazzina lo fissava come se potesse leggere i suoi più reconditi pensieri. Il coraggio lo abbandonò.

— Mi rincresce per questo sfortunato incidente — dichiarò. — Avevo accettato in buona fede le pietre come acquamarine. Ma, piuttosto che creare un disaccordo tra noi, ti chiederò di gradirle come… come un dono. E quanto alla lana, posso offrirti questa rosetta di prima scelta?

Estrasse da un sacchetto di velluto una piccola pietra rossa. Senza nemmeno guardarla, ma senza distogliere i suoi occhi dall’uomo, Amschat la passò a Esk. Lei fece cenno di sì.

Quando il mercante si fu allontanato, lo Zoon prese per mano la bambina e la trascinò al banco dello stimatore, poco più di una nicchia nel muro. Il vecchio prese la più piccola delle pietre azzurre, ascoltò le affrettate spiegazioni di Amschat, versò in una coppetta un po’ di fluido epatico e vi immerse la pietra. Che schiumeggiò e si dissolse.

— Molto interessante — disse. Prese con le pinzette un’altra pietra e la esaminò con la lente.

— Sono veramente delle imitazioni, ma molto ben fatte — concluse. — Non sono affatto senza valore e io, per esempio, sarei pronto a offrirti… Che cosa hanno gli occhi della bambina?

Lo Zoon diede una gomitata a Esk, che smise di sperimentare un altro Sguardo.

— Ti offrirei, diciamo, due zais d’argento?

— Diciamo cinque? — ribatté Amschat in tono amabile.

— E a me piacerebbe tenere una delle pietre — interloquì Esk.

Il vecchio alzò le mani. — Ma sono semplici curiosità! Di valore soltanto per un collezionista!

— Un collezionista potrebbe venderle a un ignaro acquirente come le migliori rosette o acquamarine — osservò Amschat — specialmente se lui fosse l’unico stimatore della città.

Dopo qualche protesta da parte del vecchio, finalmente si accordarono per tre zais e una delle pietre con una sottile catenina d’argento per Esk.

Quando non furono più a portata di voce, Amschat le porse le monetine d’argento, dicendole: — Queste sono tue. Te le sei guadagnate. Ma… — si chinò finché i suoi occhi furono all’altezza di quelli di lei — mi devi dire come sapevi che le pietre erano false.

Sembrava ansioso di saperlo, ma Esk capiva che in realtà non avrebbe gradito conoscere la verità. La magia metteva le persone a disagio. Non gli sarebbe piaciuto sentirsi rispondere semplicemente: "le imitazioni sono imitazioni e le acquamarine, acquamarine, e anche se per te sembrano le stesse, questo succede perché quasi tutti non usano i loro occhi nel modo giusto; nulla può nascondere del tutto la propria vera natura".

Invece disse: — I nani estraggono queste pietre vicino al villaggio dove sono nata e si impara presto a vedere come cambiano di colore secondo la luce.

Dopo averla fissata ancora per un po’, lo Zoon alzò le spalle.

— Okay. Bene. Ho ancora degli affari da concludere qui. Perché non ti compri degli abiti nuovi o qualche altra cosa? Ti metterei in guardia contro i commercianti senza scrupoli ma, non so, non credo che ti caccerai nei guai.

Esk annuì. L’altro si allontanò per la piazza del mercato. Al primo angolo si girò, la guardò pensieroso, quindi scomparve tra la folla.

"Be’" si disse la piccola "ecco la fine della mia navigazione. Lui non ne è proprio certo, ma sicuramente adesso mi sorveglierà e, prima che me ne accorga, mi porterà via la verga e ci saranno ogni sorta di guai. Perché tutti si fanno sconvolgere dalla magia?"

Con un sospiro pieno di filosofia, si diede a esplorare le possibilità della città.

Rimaneva, però, la questione della verga. Lei l’aveva conficcata bene tra le balle di lana che ancora non sarebbero state scaricate. Se tornava a cercarla, gli altri si sarebbero messi a fare domande, e lei non conosceva le risposte.

Trovato un vicolo che faceva al caso suo, lo percorse veloce finché non trovò un portone che le garantiva la privacy necessaria.