Esk aprì gli occhi e rimase a lungo a fissare il soffitto. Durante i lunghi mesi trascorsi, le erano diventati familiari ogni bozza e ogni crepa dell’intonaco: creavano un fantastico paesaggio capovolto che lei aveva popolato di una complessa civiltà tutta sua.

Nella sua mente i sogni si affollavano. Tirò fuori un braccio dalle lenzuola e lo contemplò, chiedendosi perché non era coperto di penne. Era tutto molto sconcertante.

Spinse via le coperte, si mise seduta sulla sponda del letto, distese le ali nel vento e planò fuori nel mondo…

Il tonfo sul pavimento della camera da letto fece correre la Nonnina su per la scala, le fece prendere la piccola nelle braccia e tenerla stretta per calmare il suo terrore. Si dondolava avanti e indietro sui calcagni e intanto emetteva dei suoni vaghi per tranquillizzarla.

Esk, il viso sconvolto dalla paura, alzò gli occhi su di lei.

— Mi sentivo svanire.

— Sì, sì. Ora va meglio — mormorò la vecchia.

— Tu non capisci! Non riuscivo nemmeno a ricordare il mio nome! — gridò la bambina.

— Ma adesso te lo ricordi.

Esk esitò per pensarci. — Sì. Sì, certo — rispose — Adesso.

— Perciò va tutto bene.

— Ma…

La Nonnina sospirò. — Hai imparato una cosa. — Ritenne opportuno far trapelare nella sua voce un tono severo: — Si dice che un po’ di conoscenza sia una cosa pericolosa, ma è niente a paragone di tanta ignoranza.

— Ma che cosa è successo?

— Hai pensato che il Prestito non bastasse. Hai pensato che sarebbe stato bello impadronirti del corpo di un’altra creatura. Ma devi sapere che un corpo è come… come uno stampo di gelatina. Che imprime una forma sul suo contenuto, capisci? Non puoi avere la mente di una bambina nel corpo di un’aquila. Non per lungo tempo, a ogni modo.

— Io sono diventata un’aquila?

— Sì.

— Non ero più io?

La Nonnina ci rifletté per un po’. Doveva sempre fermarsi quando la conversazione con Esk la portava oltre le possibilità del vocabolario di una persona di modesta levatura.

— No — rispose dopo un po’ — non nel modo che intendi. Soltanto un’aquila che forse a volte aveva degli strani sogni. Per esempio, quando sogniamo di volare, forse ricordiamo di camminare e di parlare.

— Urgh.

— Ma ora è tutto finito — disse la vecchia con un debole sorriso. — Tu sei tornata a essere te stessa e l’aquila è rientrata in possesso della sua mente. In questo momento si trova sul grande faggio vicino al gabinetto. Vorrei che le portassi fuori del cibo.

Seduta sui calcagni, Esk fissava un punto dietro la testa della Nonnina.

— C’erano delle cose strane — disse in tono discorsivo. La vecchia si girò di scatto.

— Voglio dire, vedevo delle cose in una specie di sogno — aggiunse la bambina. Lo shock della strega era così visibile che lei esitò, nel timore di avere detto qualcosa di sbagliato.

— Che genere di cose?

— Creature grandi, forme di tutti i generi. Che se ne stavano sedute.

— Era buio? Voglio dire, queste Cose erano nell’oscurità?

— C’erano le stelle, credo. Nonnina?

Nonnina Weatherwax fissava la parete.

— Nonnina? — ripeté Esk.

— Eh? Sì? Oh! — La vecchia si riscosse. — Sì. Capisco. Adesso vorrei che tu scendessi a prendere del lardo nella dispensa e lo mettessi fuori per l’uccello, hai capito? Sarebbe anche una buona idea ringraziarlo. Non si sa mai.

Al suo ritorno, Esk trovò la Nonnina che spalmava del burro sul pane. Tirò lo sgabello vicino al tavolo, ma la vecchia le fece cenno con il coltello che teneva in mano.

— Prima mettiamo in chiaro una cosa. Resta in piedi. Guardami.

Esk ubbidì, perplessa. La Nonnina conficcò il coltello nel tagliere e scosse la testa.

— Accidenti! — esclamò senza rivolgersi a nessuno in particolare. — Io non so come loro si comportano, se conosco i maghi dovrebbe esserci una specie di cerimonia, quelli devono sempre complicare le cose…

— Che vuoi dire?

La Nonnina non le badò, ma andò all’angolo scuro presso la dispensa.

— Probabilmente dovresti mettere un piede in un secchio di porridge freddo e un guanto sulla mano e tutto quel genere di roba — continuò. — lo non volevo farlo, ma Loro mi stanno forzando la mano.

— Di che parli, Nonnina?

La vecchia strega tirò con violenza la verga fuori dall’ombra e l’agitò vagamente in direzione di Esk.

— Ecco. È tua. Prendila. Spero soltanto che sia la cosa giusta da farsi.

In effetti la presentazione di una verga a un apprendista stregone è di solito una cerimonia molto importante, specie se la verga è stata ereditata da un mago più anziano. Per antica tradizione ha luogo una iniziazione lunga e paurosa, con maschere e cappucci e spade e tremendi giuramenti a proposito di lingua tagliata alla gente, le loro budella strappate da uccelli selvatici e le ceneri disperse ai quattro venti e così via. Dopo qualche ora di questo tipo di procedura, l’apprendista può essere ammesso nella confraternita dei Saggi e degli Illuminati.

Si pronuncia anche un lungo discorso. Per pura coincidenza, la Nonnina ne riassunse l’essenza in poche parole.

Esk prese in mano la verga e la osservò.

— È molto graziosa — disse incerta. — Gli intagli sono carini. A che serve?

— Siediti ora. E ascolta attentamente per una volta. Il giorno che sei nata…

— …e questo è quanto.

Esk esaminò la verga, poi si rivolse alla Nonnina.

— Devo essere un mago?

— Sì. No. Non lo so.

— La tua non è una vera risposta, Nonnina — la rimproverò la piccola. — Lo sono o non lo sono?

— Le donne non possono essere maghi — sbottò la vecchia. — È contro natura. Tanto varrebbe avere un fabbro donna.

— A dire la verità, ho osservato papà al lavoro e non vedo perché…

— Ascolta — ribatté in fretta la Nonnina. — Non può esserci un mago femmina come non può esserci una strega maschio, perché…

— Io ho sentito di streghe maschi — osservò tranquillamente Esk.

— Stregoni.

— Credo di sì.

— Voglio dire che non ci sono streghe maschi, soltanto uomini stupidi — ribatté la vecchia con veemenza. — Se gli uomini fossero streghe, sarebbero maghi. Si riduce tutto a — si batté la mano sulla fronte — alla "menteologia". A come funziona la tua mente. Quelle degli uomini funzionano diversamente dalle nostre, capisci. La loro magia consiste tutta di numeri e angoli e spigoli e ciò che fanno le stelle, come se ciò avesse davvero importanza. È tutto potere. È tutta… — la Nonnina s’interruppe e ripescò il suo termine preferito per descrivere quanto lei disprezzava nell’arte dei maghi — giommetria.

— Tutto a posto, allora — disse sollevata Esk. — Rimarrò qui a imparare l’arte delle streghe.

— Ah — esclamò cupa la vecchia — tu parli bene. Io non credo che sarà così facile.

— Ma hai detto che gli uomini possono essere maghi e le donne streghe e che non può essere viceversa.

— Giusto.

— Benissimo, allora — esclamò Esk trionfante — è tutto risolto, no? Io non posso essere altro che una strega.

La Nonnina additò la verga e la bambina si strinse nelle spalle.

— È solo un vecchio bastone.

La donna scosse la testa. Esk batté le palpebre. — No?

— No.

— E non posso essere una strega?

— Non so cosa puoi essere. Prendi la verga.

— Che?

— Prendi la verga. Guarda, ho preparato la legna nel focolare. Accendi il fuoco.

— La scatola con l’esca e l’acciarino è… — cominciò la piccola.

— Una volta mi hai detto che c’erano modi migliori per accendere il fuoco. Provamelo.

La vecchia si alzò. Nella penombra della cucina sembrò crescere fino a riempirla d’incerte ombre ondeggianti, vagamente minacciose.

Guardò Esk con occhi fiammeggianti e le ordinò con voce gelida: — Provamelo.

— Ma… — volle obiettare Esk, stringendo a sé con forza la pesante verga e facendo capovolgere il suo sgabello nella fretta d’indietreggiare.