Gli occhi di Esk brillavano. La piazza era un mosaico di rumori, colori, odori. Su un lato si ergevano i templi delle più importanti deità del Disco e da essi filtravano profumi arcani che, uniti agli odori delle merci, formavano un miscuglio complesso di fragranze. C’erano bancarelle piene di seducenti curiosità che lei moriva dalla voglia di esaminare.

La Nonnina lasciò che venissero trascinate dalla folla. Anche lei era incuriosita dalle bancarelle. Si mise a gironzolare qua e là, senza mai allentare nemmeno per un minuto la vigilanza contro borsaioli, terremoti e trafficanti del sesso, finché non scorse qualcosa di vagamente familiare.

C’era un piccolo banco coperto, drappeggiato di nero e polveroso, incastrato tra due case. Insignificante com’era, sembrava tuttavia che facesse ottimi affari. Le clienti erano per lo più donne di ogni età, ma tra loro la vecchia notò anche qualche uomo. Tutti, però, avevano una cosa in comune. Nessuno ci si avvicinava direttamente. Ci passavano davanti con aria indifferente, per poi infilarsi d’improvviso nell’ombra del tendone. Un momento ne ergevano, togliendo rapidi come un fulmine la mano dalla borsa o dalla tasca, in gara per il titolo dell’Andatura Più Disinvolta, con tanta bravura che un osservatore avrebbe dubitato di ciò che lui o lei aveva appena visto.

Era straordinario come uno stand, ignoto alla maggior parte della gente, fosse così popolare.

— Che c’è lì dentro? — domandò Esk. — Cosa comprano tutti?

— Medicine — affermò la Nonnina.

— Nelle città ci debbono essere un sacco di malati — osservò la bambina con aria grave.

Dentro, la botteguccia era una massa di ombre e l’odore delle erbe era tanto denso da poterlo imbottigliare. La Nonnina tastò con dita esperte qualche balla di foglie secche. Esk si scostò da lei per cercare di leggere le etichette sulle bottiglie che aveva di fronte. Lei conosceva bene quasi tutti i preparati della Nonnina, ma lì non ne riconobbe nessuno. I nomi erano divertenti: Olio di Tigre, Preghiera della Fanciulla, Ausilio dei Mariti. Uno o due dei tappi avevano il medesimo odore del retrocucina dopo che la vecchia strega aveva terminato certe sue distillazioni segrete.

Un’ombra si mosse nei recessi semibui del locale e una mano dalla pelle scura e grinzosa si posò leggera sulle sue.

— Posso aiutarti, signorina? — La voce, gracchiante, aveva i toni di uno sciroppo di fichi. — Vuoi conoscere il tuo futuro a forse è il tuo futuro che vuoi cambiare?

— Lei sta con me — sibilò la Nonnina, girandosi di scatto — e i tuoi occhi ti tradiscono, Hilta Trovacapra, se non sei capace di vedere che età ha.

L’ombra davanti a Esk si chinò in avanti.

— Esme Weatherwax? — chiese.

— In persona. Ancora a vendere gocce miracolose e piccoli amuleti, Hilta? Come te la passi?

— Meglio del solito perché ti rivedo — rispose l’ombra. — Cosa ti porta giù dalle montagne, Esme? E questa piccola… è forse la tua assistente?

— Per piacere, che cosa vendi? — domandò Esk.

L’ombra rise. — Oh, delle cose per impedirne altre che non dovrebbero succedere e aiutare quelle che dovrebbero, tesoro. Aspettate un attimo che io chiuda, mie care, e sarò subito da voi.

L’ombra passò accanto a Esk in una scia di fragranze e chiuse le tende davanti al chiosco. Poi tirò su i drappeggi sul retro facendo entrare la luce pomeridiana.

— Non posso sopportare l’oscurità e respirare quest’aria — dichiarò Hilta Trovacapra — ma è quello che si aspettano i clienti. Tu sai com’è.

— Sì — annuì saggiamente Esk. — "Menteologia".

Hilta, una donnetta grassa con un enorme cappello ornato di frutti, guardò prima lei e poi la Nonnina e ridacchiò.

— È così che vanno le cose — affermò. — Gradireste del tè?

Si sedettero su balle di erbe sconosciute nel cantuccio privato ricavato tra i muri ad angolo delle due case, e bevvero un liquido verde e fragrante in lazze sorprendentemente delicate. Al contrario della Nonnina, che si vestiva come un rispettabile corvo, Hilta Trovacapra era tutta merletti e scialli e colori e orecchini e talmente tanti braccialetti che un semplice movimento delle sue braccia risuonava come un insieme di strumenti a percussione che cadessero da un promontorio. Ma Esk vedeva ugualmente la somiglianza tra le due donne.

Difficile descriverla. Ma era impossibile immaginarle inchinarsi davanti a chicchessia.

— Allora, come va la vita? — chiese la Nonnina.

L’altra strega alzò le spalle e con il suo gesto fece perdere la presa al capotamburo proprio quando era quasi riuscito a tornare in cima.

— Come l’amante frettoloso, viene e se ne… — cominciò e si arrestò vedendo l’occhiata significativa che l’amica lanciava a Esk.

— Non male, non male — rimediò in fretta. — Il consiglio ha provato una volta o due a buttarmi fuori, sai, ma hanno tutti moglie e in qualche modo non riesce mai. Dicono che non sono il tipo giusto, ma io dico che in questa città più di una famiglia sarebbe più numerosa e più povera se non fosse per i Preservativi Mentaperenne di Madame Trovacapra. So chi viene nella mia bottega, io. Ricordo chi compra le mie gocce e il mio unguento speciali, io. La vita non è male. E come va nel tuo villaggio con quel nome buffo?

— Cattivo Somaro — disse pronta Esk. Prese da uno scaffale un vasetto di coccio e ne odorò il contenuto.

— Va abbastanza bene — concesse la Nonnina. — I rimedi naturali sono sempre richiesti.

Esk annusò ancora la polvere; le sembrò mentaperenne con una base che non le riuscì d’identificare, e richiuse con cura il coperchio. Mentre le due donne chiacchieravano in una specie di codice femminile, pieno di occhiate e di sottintesi, lei esaminò le altre pozioni esotiche esposte. O non proprio esposte. Stranamente sembravano essere seminascoste ad arte, come se Hilta non avesse veramente voglia di venderle.

— Non ne riconosco nessuna — disse, rivolgendosi più che altro a se stessa. — Cosa danno alle persone?

— Libertà — dichiarò Hilta, che aveva un udito fine. Poi, rivolta di nuovo alla Nonnina: — Quanto le hai insegnato?

— Non tanto. Lei ha potere, ma di quale genere non sono sicura. Potrebbe essere quello di un mago.

Hilta si girò lentamente e squadrò Esk da capo a piedi.

— Ah! — esclamò. — Questo spiega la verga. Mi chiedevo di che parlassero le api. Bene, bene. Dammi una mano, piccola.

Esk le tese una mano. Le dita di Hilta erano così piene di anelli che era come pescare in un sacchetto di noci.

La Nonnina si raddrizzò in atteggiamento di disapprovazione quando vide l’amica mettersi a ispezionare il palmo della bambina.

— Non credo che questo sia necessario — disse severamente. — Non tra di noi.

Esk interloquì: — Tu lo fai, Nonnina, al villaggio. Ti ho vista. E le tazze dei tè. E le carte.

La Nonnina si agitò imbarazzata. — Be’, sì. È una specie di accordo. Tu gli tieni la mano e quelli si predicono la fortuna da sé. Ma non c’è bisogno di andare in giro a crederci. Ci troveremmo tutti nei guai se andassimo in giro a credere ogni cosa.

— I Poteri Che Esistono hanno molte strane qualità e intriganti e vari sono i modi in cui manifestano i loro voleri in questo cerchio di luce che noi chiamiamo il mondo fisico — dichiarò solennemente Hilta. E strizzò l’occhio a Esk.

— Be’, suvvia! — s’impazientì la Nonnina.

— No, calmati. È vero — ribatté Hilta.

— Uhm.

— Vedo che siete all’inizio di un lungo viaggio — osservò l’amica.

— Incontrerò uno sconosciuto alto e bruno? — chiese Esk, esaminandosi il palmo. — La Nonnina lo dice sempre alle donne, dice…

La vecchia sbuffò e Hilta rispose: — No. Ma sarà un viaggio molto strano. Andrete assai lontano pur restando nello stesso posto. E la vostra sarà una direzione strana. Sarà un’esplorazione.

— Puoi dire tutto questo dalla mia mano?

— Be’, principalmente sto solo indovinando. — Hilta si appoggiò all’indietro e allungò una mano per prendere la teiera (il capotamburo, che era risalito a mezza strada, ricadde sui cembalisti arrancanti). La donna fissò attentamente Esk e aggiunse: — Un mago femmina, eh?