— Accidenti — esclamò, ma senza troppa convinzione. Si alzò, si spazzolò l’abito e, borbottando, issò a fatica sulla spalla il corpo inerte della bambina.

Alta sulle montagne, nell’aria cristallina del tramonto, l’aquila-Esk salì ancora più su, ebbra della pura vitalità del volo.

Sulla strada di casa la Nonnina s’imbatté in un orso affamato. La schiena le faceva un gran male e non era d’umore di sentirsi grugnire contro. Borbottò qualche parola sottovoce e l’orso, con suo enorme ma fugace stupore, andò a sbattere pesantemente contro un albero e non riprese i sensi per parecchie ore.

Giunta al cottage, la Nonnina mise il corpo di Esk a letto e accese il fuoco. Riportò dentro le capre, le munse e sbrigò le faccende serali.

Si assicurò che tutte le finestre fossero aperte e, quando cominciò a fare buio, accese una lanterna e la poggiò sul davanzale.

Di regola, Nonnina Weatherwax dormiva solo poche ore per notte e si svegliò di nuovo a mezzanotte. La stanza non era cambiata, anche se la lanterna aveva il suo personale piccolo sistema solare di stupidissime falene.

Quando si risvegliò di nuovo all’alba, la candela si era spenta da un pezzo ed Esk dormiva ancora del sonno leggero, impossibile a risvegliarsi, di colui che prende a Prestito.

Quando la vecchia portò fuori le capre nel loro recinto, scrutò con attenzione il cielo.

Venne il mezzogiorno, e a poco a poco la luce si ritirò da un’altra giornata. La Nonnina andava su e giù per la cucina senza scopo. Di tanto in tanto era presa da accessi frenetici di lavori domestici: vecchie incrostazioni furono tirate fuori senza tante cerimonie dalle fessure nelle pietre del pavimento, la fuliggine accumulatasi durante l’inverno fu grattata via dalla parete del camino e la superficie ricoperta da uno strato di grafite, un nido di topi dietro la dispensa venne espulso delicatamente ma gettato con fermezza nel recinto delle capre.

Scese il crepuscolo.

Nel mondo-Disco la luce era antica e lenta e greve. La Nonnina, in piedi sulla porta del suo cottage, la osservò dileguarsi dalle montagne e fluire come un fiume dorato attraverso la foresta, e il suo riverbero indugiare qua e là, finché non impallidì e scomparve.

Tamburellando con le dita sullo stipite della porta, la vecchia canticchiava un motivetto triste.

Venne l’alba e il cottage era vuoto, eccetto che per il corpo di Esk sempre silenzioso e immobile sul letto.

Mentre la luce dorata scorreva lenta sul mondo-Disco, simile alla prima onda di marea sulla sabbia, l’aquila volava più alta nel cielo, battendo l’aria con il ritmo lento e possente delle sue ali.

Il mondo intero si dispiegava sotto Esk… tutti i continenti, tutte le isole, tutti i fiumi e specialmente il grande anello dell’Oceano Circolare.

A quelle altezze niente altro esisteva, nemmeno il suono.

Inebriata da quella sensazione, Esk voleva costringere i muscoli stanchi a uno sforzo ancora maggiore. Ma qualcosa non andava. Le sembrava che i suoi pensieri divagassero e sparissero, senza che lei riuscisse a controllarli. Dolore euforia stanchezza le fluivano nella mente eppure, al tempo stesso, altre sensazioni ne sfuggivano. I ricordi si disperdevano nell’aria. Non appena le riusciva di afferrare un pensiero, questo evaporava e lasciava il vuoto dietro a sé.

Stava perdendo grossi brandelli di se stessa e le era impossibile ricordare che cosa stava perdendo. Fu presa dal panico e si mise a pensare alle cose di cui era sicura…

"Io sono Esk, e mi sono impadronita del corpo di un’aquila e della sensazione del vento tra le penne, della fame, della ricerca di qualcosa che non è il cielo giù in basso…"

Provò di nuovo. "Io sono Esk e sto cercando la corrente del vento, il dolore dei muscoli, la sferza dell’aria, il suo gelo…"

"Io sono Esk in alto sull’aria-umida-bagnata-bianca, al di sopra di tutto, il cielo è sottile…"

"Io sono Io sono."

La Nonnina era in giardino, tra gli alveari, le gonne svolazzanti al vento del primo mattino. Passava da un alveare all’altro e batteva sui tetti. Poi, ritta tra i cespugli di borraggine e di menta da lei stessa piantati lì intorno, stese le braccia e prese a cantare in toni ultracuti, non percettibili da una persona normale.

Ma dagli alveari si levò un forte ronzio e a un tratto l’aria si fece densa per il fitto sciame delle grosse api, che presero a svolazzarle intorno alla testa e unirono il loro basso ronzio al suo canto.

Poi se ne andarono volando nella luce che si alzava sopra la radura e sciamarono sopra gli alberi.

È risaputo (o almeno lo è per le streghe) che tutte le colonie di api sono, per così dire, solo parte della creatura chiamata lo Sciame. Allo stesso modo che le singole api compongono le cellule dell’alveare. La Nonnina non mescolava molto spesso i suoi pensieri con le api. In parte perché le menti degli insetti erano cose strane e aliene che sapevano di stagno, ma soprattutto perché sospettava che lo Sciame fosse molto più intelligente di lei.

Sapeva che le sue creature sì sarebbero presto unite alle colonie delle api selvatiche nel folto della foresta e che, tra poche ore, ogni angolo delle praterie montane sarebbe stato attentamente sorvegliato. Non le restava che attendere.

A mezzodì le api tornarono e la Nonnina lesse nei loro pensieri che non vi era traccia di Esk.

Rientrò nella frescura del cottage e sedette nella poltrona a dondolo, lo sguardo fisso alla porta.

Sapeva qual era il prossimo passo da farsi. Ma la sola idea la rivoltava. Tuttavia, andò a cercare una scala, si arrampicò a fatica sul tetto e tirò fuori la verga dal suo nascondiglio nella paglia.

Era fredda gelata ed emanava vapore.

— Al di sopra del limite delle nevi perenni, allora — disse la Nonnina.

Ridiscese e piantò la verga in una aiola di fiori. La fulminò con gli occhi e provò la sgradevole sensazione di essere ricambiata.

— Non credere di avere vinto, perché non è vero — scattò. — È solo che non ho il tempo di mettermi a fare i trucchetti. Tu devi sapere dove si trova. Ti ordino di portarmi da lei!

La verga la guardò ottusamente.

— Per… — la Nonnina fece una pausa, le sue invocazioni erano un tantino arrugginite — … per le erbe e per la pietra, te lo ordino!

Attività, movimento, vivacità… tali parole sarebbero una descrizione del tutto inesatta della reazione della verga.

La Nonnina si grattò il mento. Si rammentò della lezioncina che si insegna a tutti i bambini: qual è la parola magica?

— Per piacere! — si corresse.

La verga tremò, si alzò alquanto dal terreno e si girò in aria fino a restare sospesa con aria invitante all’altezza della cintola.

La vecchia aveva sentito dire che le scope erano tornate molto di moda tra le streghe più giovani, ma a lei la cosa non garbava. Come poteva un corpo presentare un aspetto rispettabile mentre tagliava l’aria sospeso su un arnese domestico? Un simile procedimento, inoltre ti esponeva a un sacco di correnti d’aria.

Ma non era quello il momento di pensare alla rispettabilità. Si fermò soltanto per afferrare il cappello dal gancio dietro la porta, si arrampicò sulla verga e si sistemò come meglio poté, naturalmente all’amazzone e con le gonne ben strette tra le ginocchia.

— Bene — disse. — E adesso, viaaaa…

Nella foresta gli animali scapparono e si dispersero sotto l’ombra che gli passava sopra, urlante e imprecante. La Nonnina si reggeva con tanta forza da averne le nocche sbiancate e scalciava furiosamente mentre, alta al di sopra delle cime degli alberi, apprendeva un’importante lezione sui centri di gravità e la turbolenza atmosferica. La verga sfrecciava in avanti, senza curarsi delle sue grida.

Uscita dalla foresta e arrivata sulle praterie montane, la vecchia era riuscita ormai in qualche modo a farsene una ragione. Il che voleva dire che si teneva stretta con le ginocchia e con le mani, purché non le importasse di essere a testa in giù. Meno male che il suo cappello, essendo di forma aerodinamica, si rivelava utile.