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Aveva passato da poco i vent’anni. Possedeva la grazia fisica e il portamento che ricordavo da migliaia di immagini della mia giovane amica. Ma in vita mia non avevo mai visto prima quella donna.

"Possibile che Aenea sia cambiata così tanto in cinque anni?" mi domandai. "Che si sia camuffata per nascondersi agli agenti della Pax? O mi sono semplicemente dimenticato del suo aspetto?"

L’ultima ipotesi pareva improbabile. Anzi, impossibile. La nave mi aveva assicurato che per Aenea sarebbero trascorsi cinque anni e alcuni mesi, se mi aspettava su quel pianeta; ma il mio intero viaggio, compresa la parte in crio-fuga, aveva richiesto solo quattro mesi. Ero invecchiato di alcune settimane appena. Non potevo aver dimenticato Aenea. Non l’avrei mai dimenticata.

«Ciao, Raul» disse la giovane donna dai capelli scuri.

«Ciao» risposi, incerto.

Lei venne avanti e mi tese la mano. Aveva una stretta decisa. «Sono Rachel. Aenea ti ha descritto perfettamente.» Si mise a ridere. «D’altra parte non ci aspettavamo nessun altro che venisse a farci visita in un’astronave come quella…» Mosse la mano nella direzione della nave sospesa come un pallone frenato che dondoli piano nel vento.

«Come sta Aenea?» domandai, con voce che suonò strana alle mie stesse orecchie. «Dov’è?»

«Oh, nel tempio. Sta lavorando. È nel bel mezzo del più impegnativo turno di lavoro. Non poteva allontanarsi. Mi ha chiesto di venirti a prendere e di aiutarti a liberarti della nave.»

"Non poteva allontanarsi" ripetei tra me. Che diavolo di storia era questa? Avevo attraversato letteralmente l’inferno, ero stato tormentato da calcoli renali, inseguito da agenti della Pax, scaricato in un pianeta senza terreno solido, inghiottito e rigurgitato da un mostro alieno, e lei non poteva allontanarsi, maledizione? Mi morsicai il labbro per resistere all’impulso di dire ciò che pensavo. Ammetto che in quel momento la mia emotività raggiungeva punte davvero alte.

«Cosa significa "liberarmi della nave"?» dissi invece. Mi guardai intorno. «Ci sarà pure un posto dove atterrare.»

«In realtà non c’è» disse la giovane donna di nome Rachel. La guardai meglio, nella vivida luce del sole: probabilmente era poco più anziana della Aenea attuale, sui venticinque anni forse. Aveva occhi castani, intelligenti, capelli castani tagliati corti senza tanti fronzoli, come Aenea, pelle abbronzata da lunghe ore all’aria aperta, mani indurite per il lavoro, la ragnatela di rughe intorno agli occhi tipica di chi ride spesso.

«Possiamo fare così» disse Rachel. «Prendi dalla nave ciò che ti occorre, un comlog o un apparecchio trasmittente per richiamarla quando ti servirà, due dermotute e due riciclo-respiratori della scorta in magazzino; poi ordina alla nave di saltare sulla terza luna, uno degli asteroidi catturati dal pianeta, il penultimo in grandezza. Lassù c’è un profondo cratere dove può stare nascosta. Quella luna ha un’orbita quasi geosincrona, rivolge a questo emisfero sempre la stessa faccia. Se chiami per radio, la nave è qui in pochi minuti.»

La guardai, sospettoso. «Perché le dermotute e i respiratori?» Nel magazzino della nave ce n’erano diversi. Erano progettati per ambienti di vuoto spinto non pericolosi, dove non era necessaria una vera corazza spaziale. «Qui l’aria mi sembra abbastanza ricca.»

«Hai ragione» convenne Rachel. «A questa altitudine l’atmosfera è sorprendentemente ricca di ossigeno. Ma Aenea mi ha detto di chiederti di portare le dermotute e i riciclo-respiratori.»

«Perché?»

«Non lo so, Raul» disse Rachel. Aveva uno sguardo sereno che pareva sincero e innocente.

«Perché la nave deve nascondersi? C’è la Pax sul pianeta?»

«Non ancora. Ma da circa sei mesi ne aspettiamo l’arrivo. Al momento non ci sono veicoli spaziali su T’ien Shan o in orbita, a parte la tua nave ora. E neppure aerei. Niente skimmer, VEM, ortotteri, elicotteri, solo parapendii, gli aviatori, e quelli non uscirebbero mai così lontano.»

Annuii, ma esitavo.

«I Dugpa hanno visto oggi una cosa che non avrebbero saputo spiegare» continuò Rachel. «Il puntino luminoso della tua nave contro il Chomo Lori, voglio dire. Ma alla fine riescono a spiegare tutto in termini di tendrel, perciò non sarà un problema.»

«Cosa sono i tendrel? E chi sono i Dugpa?»

«I tendrel sono portenti» disse Rachel. «Divinazioni nell’ambito della tradizione sciamanica buddhista prevalente in questa zona delle Montagne del cielo. I Dugpa sono… be’, se traduciamo la parola alla lettera, gli "altissimi". Le popolazioni che vivono alle altitudini superiori. Ci sono anche i Drukpa, le popolazioni delle valli, ossia delle gole più basse, e i Drungpa, gli abitanti delle valli boscose, soprattutto coloro che vivono nelle grandi foreste di felci e nei boschetti di bambù-bonsai delle zone occidentali della cresta Phari e più in là.»

«Così Aenea è al tempio?» dissi, testardo, restio a seguire il "suggerimento" di Rachel e nascondere la nave.

«Sì.»

«Quando posso vederla?»

«Appena ci arriviamo» sorrise Rachel.

«Da quanto tempo conosci Aenea?»

«Da quattro anni circa, Raul.»

«Sei originaria di questo pianeta?»

Rachel sorrise di nuovo, accettando con pazienza l’interrogatorio. «No. Quando incontrerai i Dugpa e gli altri, vedrai che non sono nativa di T’ien Shan. In questa zona i ceppi prevalenti della popolazione sono cinese, tibetano, centroasiatico.»

«Da dove provieni?» domandai seccamente, suonando scortese alle mie stesse orecchie.

«Sono nata sul mondo di Barnard» rispose Rachel. «Un arretrato pianeta agricolo. Campi di granturco, boschi, lunghe serate noiose, alcune buone università, ma poco d’altro.»

«Ne ho già sentito parlare.» Ero ancora più insospettito. Le "buone università", il fiore all’occhiello del mondo di Barnard durante l’Egemonia, erano state da tempo convertite in accademie e seminari cristiani. All’improvviso provai il forte desiderio di vedere il petto nudo di quella giovane donna, per scoprire se c’era il crucimorfo voglio dire. Sarebbe stato troppo facile per me mandare via la nave e cadere in una trappola della Pax. «Dove hai conosciuto Aenea? Qui?»

«No, non qui. Su Amritsar.»

«Amritsar? Mai sentito nominare.»

«Non c’è niente di strano. Amritsar è un pianeta classificato ai livelli più bassi della scala di Solmev. Si trova nell’estrema Periferia. Fu colonizzato solo un secolo fa, profughi di una guerra civile su Parvati. Alcune migliaia di Sikh e alcune migliaia di Sufi vi ricavano faticosamente di che vivere. Aenea fu assunta per progettare un centro comunitario nel deserto e io andai con lei per fare i rilevamenti e tenere in riga la manodopera. Da allora sono sempre stata con lei.»

Annuii, ma esitavo ancora. Provavo una sensazione che non era vero e proprio disappunto, che si gonfiava come collera ma non era altrettanto chiara, che confinava con la gelosia. Ma questo era assurdo.

«A. Bettik?» All’improvviso fui assalito dal presentimento che l’androide fosse morto negli scorsi cinque anni. «È…»

«È partito ieri per il nostro viaggio quindicinale al mercato Phari a fare provviste» disse Rachel. Mi toccò il braccio. «A. Bettik sta benissimo. Dovrebbe essere di ritorno stasera, al levarsi della luna. Su, vai a prendere la tua roba. Ordina alla nave di nascondersi sulla terza luna. Preferirai di sicuro ascoltare da Aenea tutta la storia.»

Andò a finire che dalla nave presi poco più di un cambio di vestiti, un buon paio di stivali, il piccolo binocolo, un coltello con fodero, le dermotute, i riciclo-respiratori e un diskey-diario/ricetrasmittente palmare. Cacciai tutto in un sacco da montagna, scesi la scaletta e dal prato dissi alla nave che cosa doveva fare. A furia di antropomorfizzare la nave, mi aspettai che mettesse il broncio all’idea di tornare in modo ibernazione, in una luna priva d’aria stavolta. Ma la nave confermò d’avere ricevuto l’ordine, mi suggerì di fare un controllo quotidiano via radio per assicurarmi che il trasmettitore funzionasse e poi se ne andò, rimpicciolì, divenne un puntino e scomparve come un pallone frenato al quale avessero tagliato il cavo.