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«Faremo così» disse il templare. Tornò nella torre a preparare gli erg alla partenza.

Ci sistemammo sul tappeto. Con le braccia circondavo Aenea. Non avevo intenzione di lasciarla andare via per un bel mucchio di tempo. Un anno terrestre, undici mesi, sette giorni e sei ore possono essere un’eternità, se si fa in modo che lo siano. Anche un giorno. Un’ora.

Padre de Soya ci diede la benedizione. «Cosa posso fare per voi, nei prossimi mesi? Volete che faccia mandare delle provviste sulla Terra?»

Scossi la testa. «No, grazie, padre. Con l’attrezzatura per il campeggio, il medikit della nave, la zattera gonfiabile e questo fucile, dovrebbe essere tutto a posto. Non per nulla su Hyperion facevo la guida di cacciatori.»

«Una cosa ci sarebbe» disse Aenea e notai la piccola contrazione del muscolo all’angolo della bocca, infallibile segnale dell’imminenza di una birichinata.

«Qualsiasi cosa» disse padre de Soya.

«Se può tornare fra circa un anno» disse Aenea «forse mi farebbe comodo una buona levatrice. Intanto avrebbe il tempo di documentarsi al proposito.»

Padre de Soya sbiancò, aprì bocca, ci ripensò e annuì torvamente.

Aenea scoppiò a ridere e gli toccò la mano. «Scherzavo» disse. «La Dorje Phamo e Dem Loa sono già d’accordo di teleportarsi qui, se occorre.» Guardò me. «E occorrerà di sicuro.»

Padre de Soya emise il fiato, pose la mano sulla testa di Aenea per un’ultima benedizione e lentamente risalì sulla fetta di città e poi su per la rampa fino alla torre. Lo guardammo fondersi con le ombre.

«Cosa accadrà alla sua Chiesa?» domandai piano a Aenea.

Lei scosse la testa. «Qualsiasi cosa accada, ha la possibilità di cominciare da capo, di riscoprire la propria anima.» Mi sorrise da sopra la spalla. «Come noi.»

Il cuore mi batteva forte per il nervosismo, ma dissi ugualmente: «Ragazzina?».

Aenea girò la guancia contro il mio petto e mi guardò.

«Maschio o femmina? Non te l’ho mai domandato.»

«Cosa?» disse Aenea perplessa.

«Il motivo per cui fra circa un anno ci sarà bisogno della Dorje Phamo e di Dem Loa. Sarà maschio o femmina?»

«Ahhh» disse Aenea. Finalmente aveva capito. Girò di nuovo il viso, si sistemò contro di me, mise la testa contro la mia mascella. Potei sentire le parole per conduzione ossea, quando parlò. «Non lo so, Raul. Davvero, non lo so. Questa è una parte della mia vita dove ho sempre evitato di scrutare. Ogni cosa che accadrà d’ora in poi sarà nuova. Oh so, da alcuni stralci di visione, che avremo un figlio in buona salute e che lasciare mio figlio e te sarà la cosa più dura che mi toccherà mai fare, più dura di quando dovrò lasciarmi catturare in San Pietro e portare davanti agli inquisitori della Pax. Ma so anche che, quando sono di nuovo con te su T’ien Shan, nel mio futuro e tuo passato, soffrendo perché non posso dirti niente di tutto questo, so anche che sarò consolata poiché nostro figlio starà bene e che tu lo alleverai. E non lascerai mai che dimentichi chi ero e quanto vi ho amati.»

Trasse un respiro profondo. «Ma se sarà maschio o femmina, o come lo chiameremo, non so. Ho scelto di non guardare in questo periodo di tempo, il nostro tempo, ma di viverlo con te giorno per giorno. Riguardo a questo futuro, sono cieca tanto quanto te.»

Alzai le braccia sul suo petto e la strinsi contro di me.

Ci fu un imbarazzato colpo di tosse. Alzammo gli occhi e ci rendemmo conto che A. Bettik era sempre fermo accanto al tappeto Hawking.

«Vecchio amico» disse Aenea, stringendogli la mano, mentre continuavo a tenerla contro di me. «Che parole ci sono?»

L’androide scosse la testa, ma poi disse: «Ha mai letto, signora Aenea, il sonetto di suo padre intitolato A Omero.

La mia amata rifletté, corrugò la fronte. «Credo d’averlo letto, ma non lo ricordo.»

«Forse alcuni versi rispondono alla domanda del signor Endymion sul futuro della Chiesa di padre de Soya» disse l’androide. «E anche ad altre cose. Posso?»

«Prego» disse Aenea. Capivo, dai suoi muscoli della schiena contro il mio petto e dalla stretta della sua mano sulla mia coscia, che era ansiosa quanto me di andare via e trovare un posto per accamparci. Mi augurai che A. Bettik fosse breve. L’androide recitò:

«Sulle spiagge di tenebra c’è luce
e precipizi mostran verde intatto;
sboccia un domani nella mezzanotte;
c’è tripla vista in cecità assoluta…»

«Grazie» disse Aenea. «Grazie, amico mio.» Si liberò quanto bastava per baciare l’androide per l’ultima volta.

«Ehi!» dissi, giocando al bambino escluso.

Aenea mi baciò a lungo. Molto più a lungo. Veramente a lungo.

Agitammo il braccio in un ultimo addio. Toccai i fili di volo. Il tappeto vecchio di secoli si alzò a cinquanta metri, volò sopra la vagabonda fetta di città e la torre di pietra, girò intorno alla nave spaziale del console, nera come ebano, e ci portò lontano, a ponente. Già fiduciosi nella stella Polare come guida, discutendo a bassa voce di un possibile posto per accamparci su terreno rialzato alcuni chilometri più a ovest, sorvolammo la tomba del vecchio poeta dove il silenzioso Shrike stava di sentinella, passammo sopra il fiume dove le increspature e i mulinelli luccicavano agli ultimi raggi del tramonto e prendemmo quota, guardando in basso i prati rigogliosi e le meravigliose foreste del nostro nuovo terreno di gioco, il nostro antico mondo, il nostro nuovo mondo, il nostro mondo primo e futuro e più bello di tutti.

RINGRAZIAMENTI

L’autore desidera ringraziare le seguenti persone: Kevin Kelly, per il resoconto dell’evoluzione della vita artificiale da creature a 80 byte nel suo libro Out of Control, Jean-Daniel Brèque e Monique Labailly, per averlo accompagnato in una personale visita guidata alle catacombe di Parigi; Jeff Orr, cibercowboy extraordinaire, per il suo ardito ingresso nel ciberspazio a ricuperare le quaranta e passa pagine di questa storia sequestrate dal TecnoNucleo; e il mio editor, Tom Dupree, per la pazienza, l’entusiasmo e il buon gusto dimostrato nell’apprezzare il mio Mystery Science Theater 3000.

FINE