Mentre cala la sera, Kee, de Soya e io ci ritiriamo nella stanza privata del prete, un locale spartano comunicante con il retro della chiesa. Padre de Soya prende una bottiglia di vino e versa un bicchiere per ciascuno di noi.
«Ecco uno dei pochi vantaggi del crollo della civiltà come la conosciamo» dice. «Dovunque si scavi, si trovano cantine private piene di ottimi vini d’annata. Non è furto, è ritrovamento archeologico.»
Kee alza il bicchiere come per fare un brindisi, esita. «A Aenea?» propone.
«A Aenea» diciamo padre de Soya e io. Vuotiamo i bicchieri e de Soya versa altro vino.
«Quanto tempo sono stato fuori gioco?» domando. Il vino, come sempre, mi fa diventare rosso. Aenea mi prendeva in giro, per questo.
«Tredici mesi standard dal Momento Condiviso» risponde de Soya.
Scuoto la testa. Ho trascorso tutto quel tempo a scrivere la mia storia e ad aspettare la morte, in sessioni di lavoro di trenta ore o più, intervallate da qualche ora di sonno, e poi altre trenta o quaranta ore filate. Quella che gli scienziati del sonno chiamano corsa libera: perdita di ogni collegamento col ritmo circadiale.
«Avete contatti con altri pianeti?» domando. Guardo Kee e rispondo da solo alla mia domanda: «Sì, certo. Bassin mi parlava della reazione al Momento Condiviso su altri pianeti e del ritorno a casa dei miliardi di persone rapite».
«Alcune navi fanno scalo qui» dice de Soya. «Ma con la scomparsa delle Arcangelo, il viaggio interstellare richiede tempo. Templari e Ouster usano le navi-albero per trasportare a casa i profughi, ma agli altri non piace usare la propulsione Hawking, ora che sappiamo quanto sia dannosa al Vuoto che lega. E per quanto tutti si impegnino, pochissimi hanno imparato a udire la musica delle sfere tanto da muovere quel primo passo.»
«Non è così difficile» dico. Sorseggio il vino e ridacchio tra me. «È terribilmente difficile» mi correggo. «Scusi, padre.»
De Soya mi scusa con un cenno. «È molto difficile. Ci sono andato vicino un centinaio di volte, ma all’ultimo momento perdo sempre la concentrazione.»
Guardo il prete. «Lei è rimasto cattolico» dico alla fine.
Padre de Soya sorseggia il vino, da un antico bicchiere. «Non mi sono limitato a restare cattolico, Raul. Ho anche riscoperto cosa significa essere cattolico. Essere cristiano. Essere credente.»
«Anche dopo il Momento Condiviso di Aenea?» mi rendo conto che il caporale Kee, all’altro capo del tavolo, ci osserva. Le lampade a olio fanno danzare ombre sulle calde, rustiche pareti.
De Soya annuisce. «Avevo già riconosciuto la corruzione della Chiesa nel suo patto con il Nucleo» dice a voce molto bassa. «Le condivise intuizioni di Aenea hanno solo messo in risalto cosa significava per me essere umano e figlio di Cristo.»
Medito ancora su queste parole quando, un minuto più tardi, padre de Soya soggiunge: «Si parla di nominarmi vescovo, ma cerco di scoraggiare queste proposte. Ecco perché sono rimasto in questa regione di Pacem, anche se le comunità autosufficienti per la maggior parte si tengono lontano dalle vecchie aree urbane. Un’occhiata alle rovine della nostra bella tradizione al di là del fiume mi ricorda la follia di puntare troppo sulla struttura gerarchica».
«Allora non c’è nessun papa? Nessun Santo Padre?»
De Soya scrolla le spalle e ci versa altro vino. Dopo tredici mesi di cibo riciclato e niente alcolici, il vino mi va direttamente alla testa. «Monsignor Luca Oddi, sfuggito sia alla rivoluzione sia all’attacco del Nucleo, ha stabilito su Madhya il papato in esilio» dice padre de Soya, in tono brusco. «Non credo che nessuno nella defunta Pax, tranne i suoi immediati difensori e seguaci in quel sistema, lo onori come vero papa.» Sorseggia il vino. «Non è la prima volta che la Madre Chiesa ha avuto un antipapa.»
«E papa Urbano XVI?» domando. «È morto di attacco cardiaco?»
«Sì» dice Kee. Appoggia sul tavolo le braccia.
«Ed è stato risuscitato?»
«Non esattamente» dice Kee.
Guardo l’ex caporale e aspetto una spiegazione, ma Kee rimane in silenzio.
«Ho informato del tuo arrivo la gente che sta dall’altra parte del fiume» dice padre de Soya. «La risposta di Bassin dovrebbe risultare comprensibile da un momento all’altro.»
Infatti dopo qualche minuto la tenda all’ingresso della piccola dimora di de Soya si apre. Entra un uomo alto, in tonaca nera. Non è Lenar Hoyt. È una persona che non ho mai conosciuto, ma che ho l’impressione di conoscere bene: mani eleganti, viso allungato, occhi grandi e tristi, fronte alta, radi capelli grigi. Mi alzo per stringergli la mano, rivolgergli un inchino, baciargli l’anello, non so neanch’io cosa.
«Raul, ragazzo mio, ragazzo mio» dice padre Paul Duré. «Che piacere incontrarti. Siamo tutti emozionati per il tuo ritorno.»
L’anziano prete mi stringe la mano, una stretta decisa, e mi abbraccia per buona misura; poi va alla credenza di de Soya, come se fosse di casa, prende un boccale, pompa acqua nel lavello, sciacqua il boccale, si versa del vino e si siede di fronte a Kee, all’altro capo del tavolo.
«Stiamo aggiornando Raul su ciò che è accaduto nella sua assenza di un anno e un mese» dice padre de Soya.
«Mi sembra un secolo» dico. I miei occhi sono a fuoco su qualcosa molto al di là del tavolo e della stanza.
«Per me è stato altro che un secolo» dice il gesuita più anziano, padre Duré. Il suo modo di parlare è bizzarro, ha un certo fascino… un pianeta della Periferia, di lingua francese, forse? «Quasi tre secoli, per la precisione.»
«Ho visto cosa le facevano quando la risuscitavano» dico, con la sfrontatezza del vino nella voce. «Lourdusamy e Albedo la uccidevano, in modo che Hoyt rinascesse dal crucimorfo che spartivate.»
Padre Duré non ha ancora assaggiato il vino, ma guarda nel bicchiere come in attesa della transustanziazione. «Ancora e ancora» dice, in tono che pare più malinconico che altro. «Una vita davvero bizzarra, nascere solo per essere assassinato.»
«Aenea sarebbe d’accordo» dico. So che quei tre uomini sono amici e brave persone, ma non mi sento particolarmente ben disposto verso la Chiesa in generale.
«Sì» dice Paul Duré e alza il bicchiere in un brindisi silenzioso. Beve qualche sorso.
Bassin Kee riempie l’improvviso silenzio. «La maggior parte dei fedeli rimasti su Pacem vorrebbe avere padre Duré come nostro vero papa.»
Guardo l’anziano gesuita. Ne ho già viste di tutti i colori, perciò non mi esalto per la presenza di una leggenda, di un personaggio chiave dei Canti. Come sempre accade quando ci si trova davanti alla persona, uomo o donna, che ha raggiunto la celebrità o dato origine alla leggenda, noto un qualcosa di umano che rende la realtà un po’ inferiore al mito. In questo caso, i ciuffi di peli grigi che spuntano dalle grandi orecchie del prete.
«Papa Teilhard II?» dico. Ricordo che padre Duré, papa Teilhard I, è stato secondo l’opinione generale un ottimo pontefice, 279 anni fa, per un breve periodo, prima di essere assassinato per la prima volta.
Duré accetta altro vino da padre de Soya e scuote la testa. Ha negli occhi la stessa tristezza che vedo in quelli di de Soya, guadagnata e sentita, non ostentata per entrare nei panni del personaggio.
«Basta papato, per me» dice l’anziano gesuita. «Trascorrerò il resto dei miei anni nel tentativo di imparare gli insegnamenti di Aenea, ascoltare con grande impegno le voci dei morti e dei vivi, e intanto familiarizzarmi di nuovo con le lezioni di umiltà di Nostro Signore. Per anni ho fatto l’archeologo e l’intellettuale. È tempo di riscoprirmi come semplice prete di parrocchia.»
«Amen» dice de Soya. Fruga nella credenza, trova un’altra bottiglia. L’ex capitano d’astronave della Pax pare un po’ alticcio.
«Non portate più il crucimorfo?» domando, rivolgendomi a tutti e tre gli uomini, ma guardando Duré.
Tutti e tre paiono attoniti. Duré dice: «Solo i pazzi e i cinici irrecuperabili portano ancora quel parassita, Raul. Pochissimi, su Pacem. Pochissimi, su ognuno dei pianeti dove è stato udito il Momento Condiviso di Aenea». Si tocca il petto, come ricordando. «Per me non è stata una scelta, a dire il vero. Sono rinato, al culmine degli scontri, in una delle culle di risurrezione del Vaticano. Ho aspettato che Lourdusamy e Albedo venissero a trovarmi come sempre, per uccidermi come sempre. Invece è giunto quest’uomo» indica Kee, che china la testa e si versa altro vino «aprendosi la strada, con i ribelli, in tuta da combattimento e con antichi fucili. Mi ha portato un calice di vino. Sapevo cos’era. Avevo condiviso il Momento.»