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"Dati? Quali dati?" Nelle mie intenzioni era solo un pensiero, ma la trasmittente della tuta diffuse la mia voce.

Aenea mi prese la mano. "Sarà divertente, Raul. Gli unici minuti liberi che avremo oggi, credo. O per un bel pezzo."

In quel momento, in equilibrio sulla balaustra, sull’orlo di una terrificante caduta verticale nelle fiamme di fusione e nel vuoto, non capii esattamente il significato delle sue parole.

"Venite" disse Palou Koror e saltò dalla ringhiera.

Aenea e io saltammo insieme, tenendoci per mano.

Aenea mi lasciò la mano e ruotammo lontano l’uno dall’altra. Il campo di contenimento si aprì e ci proiettò a distanza di sicurezza; il motore a fusione si spense, mentre noi cinque roteavamo lontano dalla nave, e poi si riaccese: la nave parve precipitare verso l’alto e lontano da noi, per la diversa velocità di decelerazione; e continuammo a cadere, una sensazione opprimente, cinque sagome argentee, a braccia e gambe larghe, che si separavano sempre più in fretta l’una dall’altra, che precipitavano insieme verso il traliccio dell’Albero Stella ancora parecchie migliaia di chilometri più indietro. Poi le ali si aprirono.

"Per i nostri scopi di oggi, bastano ali-luce larghe un chilometro" disse nel mio orecchio la voce di Palou Koror. "Se dovessimo viaggiare più lontano o a velocità maggiore, sarebbero molto più estese… anche parecchie centinaia di chilometri."

Quando alzai le braccia, i pannelli di energia estrusi dalla dermotuta si srotolarono come ali di farfalla. Sentii davvero l’improvvisa spinta della luce del sole.

"Sentiamo soprattutto la corrente della linea del campo magnetico primario che seguiamo" disse Palou Koror. "Se posso intervenire sulla vostra tuta per un secondo… ecco fatto."

La visione mutò. Guardai a sinistra, dove Aenea era in caduta libera, già distante vari chilometri, una lucente crisalide argentea contro ali dorate in espansione. Gli altri brillavano dietro di lei. Vedevo davvero il vento solare, la particelle cariche e le correnti di plasma che fluivano a spirale verso l’esterno lungo la geometria infinitamente complessa della eliosfera: rosse linee di campo magnetico distorto, disposte a spire, come dipinte sulla superficie interna della conchiglia di un nautilo in continuo mutamento; e tutto quel ritorto, multistrato, variegato fremito di fiumi di plasma rifluiva verso un sole che non pareva più una pallida stella, ma il punto focale di milioni di linee di campo convergenti, distese di plasma espulse a 400 chilometri al secondo e attratte in quelle forme dai pulsanti campi magnetici negli equatori nord e sud. I festoni viola delle linee magnetiche sfrecciavano verso l’interno, si intrecciavano con il rosso cremisi delle correnti di campo che esplodevano verso l’esterno. Vedevo i vortici azzurri dell’onda d’urto eliosferica intorno ai margini esterni dell’Albero Stella, le lune e le comete che tagliavano il plasma come navi che solcassero di notte le onde fosforescenti di un oceano, e vedevo le nostre ali dorate interagire con quell’ambiente di plasma e di correnti magnetiche, afferrare fotoni come miliardi di lucciole nelle nostre reti: vele che si gonfiavano alle correnti di plasma, i nostri corpi argentei che acceleravano lungo le grandi pieghe scintillanti e le geometrie magnetiche a spirale della matrice eliosferica.

In aggiunta a questa visione accresciuta, sul quadro visivo della tuta si sovrapponevano dati di traiettoria e di calcolo che per me non avevano significato, ma che per quegli Ouster spazio-adattati rappresentavano senza dubbio la differenza fra la vita e la morte. Equazioni e funzioni passavano in un lampo, parevano galleggiare lontano nel punto focale critico; ne ricordo solo qualche esempio:

Il risveglio di Endymion pic_1.jpg

Non capii nessuna di quelle equazioni, ma capii che ci avvicinavamo all’Albero Stella a velocità troppo elevata. In aggiunta alla velocità della nave, avevamo ricevuto la spinta del vento solare e del fiume di plasma. Cominciavo a capire che quelle ali di energia potevano spingere lontano da una stella, anche a velocità impressionante; ma come ci si fermava in uno spazio che pareva inferiore a mille chilometri?

"È fantastico." La voce di Lhomo. "Stupefacente."

Ruotai la testa e vidi il nostro amico aviatore di T’ien Shan, molto lontano a sinistra e vari chilometri più in basso. Lhomo era già entrato nella zona delle foglie, planava e risaliva proprio sopra la confusa macchia azzurrina del campo di contenimento che circondava come membrana osmotica i rami e gli spazi fra i rami.

"Come diavolo ci riesce?" mi stupii.

Anche stavolta, senza accorgermene, subvocalizzai il pensiero, perché udii la profonda, caratteristica risata di Lhomo e subito dopo ricevetti: "Usa le ali, Raul. E collabora con l’albero e con gli erg!".

Collabora con l’albero e con gli erg? Il mio amico aveva di sicuro perduto la ragione.

Poi vidi Aenea estendere le ali, manovrarle sia col pensiero sia col movimento delle braccia. Più avanti rispetto a lei, il mondo di rami si avvicinava a velocità terrificante. Allora cominciai a capire il trucco.

"Così va bene." La voce di Drivenj Nicaagat. "Prendi il vento repulsore. Bene."

Vidi i due Ouster svolazzare come farfalle e il torrente di plasma che si alzava dall’Albero Stella a circondarli; all’improvviso li sorpassai a grande velocità, come se loro avessero aperto il paracadute e io fossi ancora in caduta libera.

Ansimando nel campo della dermotuta, col cuore che batteva forte, allargai braccia e gambe e ordinai mentalmente alle ali di diventare più grandi. Le pieghe di energia baluginarono e si espansero di almeno due chilometri. Sotto di me, una distesa di foglie si spostò, si girò con lentezza diretta a uno scopo ben preciso, come in un documentario al rallentatore di fiori che cerchino la luce; le foglie si piegarono e si sovrapposero, formarono un liscio disco parabolico del diametro di almeno cinque chilometri e divennero perfettamente riflettenti.

La luce del sole mi colpì col suo splendore. Se avessi guardato senza protezione agli occhi, sarei stato accecato all’istante. Invece i visori della tuta si polarizzarono. Io udii la luce del sole colpire la dermotuta e le ali, con un forte picchiettio come di pioggia contro un tetto di lamiera. Distesi le ali per cogliere l’ardente folata di luce nello stesso istante in cui gli erg sull’Albero Stella più in basso chiudevano la matrice dell’eliosfera, ripiegavano contro di noi il torrente di plasma, facevano decelerare rapidamente ma non dolorosamente Aenea e me. Battemmo le ali e passammo nei pergolati di rami esterni dell’Albero Stella, mentre i visori della dermotuta continuavano a far balenare dati davanti ai miei occhi:

Il risveglio di Endymion pic_2.jpg

La qual cosa in qualche modo mi assicurò che l’albero forniva il giusto quantitativo di luce solare basato sulla sua massa e luminosità, mentre l’erg forniva la giusta quantità di plasma eliosferico e di ritorno magnetico per portarci a un delta-v prossimo a zero prima che colpissimo uno degli enormi rami principali o incrociassimo il campo di contenimento.

Aenea e io seguimmo gli Ouster, usando le ali come loro usavano le proprie, risalendo e poi battendole, frenando e poi espandendole per catturare la luce del sole per una nuova accelerata, calando a precipizio fra i rami esterni, risalendo sopra il frondoso strato esterno dell’Albero Stella, poi tuffandoci di nuovo in profondità fra i rami, ripiegando le ali per passare fra capsule o ponti coperti, al di là dei campi di contenimento, precipitando intorno ad affaccendati calamari celesti i cui tentacoli erano dieci volte più lunghi della nave del console che ora decelerava con prudenza nel livello delle foglie, poi riaprendo le ali per saettare al di là di banchi di migliaia di piastrine Akerataeli di un azzurro pulsante che parvero salutarci al nostro passaggio.