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— D'accordo — dissi; mi parve di ascoltare da lontano la mia stessa voce.

— Benissimo. Avrà bisogno di abiti pesanti. Non indossi niente che si sciolga o le procuri imbarazzo in caduta libera, anche se è poco probabile che un'eventualità del genere si verifichi. Incontrerà il signor Hunt nel nesso primario teleporter della Casa del Governo… — diede un'occhiata al comlog — fra dodici minuti.

Con un cenno d'assenso mi girai per uscire.

— Ah, signor Severn…

Mi fermai accanto alla porta. A un tratto l'anziana signora alla scrivania parve piccola e stanchissima.

— Grazie, signor Severn — disse.

Era vero che milioni di persone volevano teleportarsi nella zona di guerra. La Totalità era piena di stridule petizioni, di ragioni addotte per lasciare che i civili si teleportassero su Hyperion, di richieste delle navi da crociera per fare brevi escursioni nella zona e di pretese che i politici piane tari e i rappresentanti dell'Egemonia avessero il permesso di fare il giro del sistema in "missioni di ricerca fatti". Ogni richiesta del genere era stata respinta. I cittadini della Rete, soprattutto se dotati di potere e d'influenza, non erano abituati a rinunciare a nuove esperienze, e la guerra totale era una delle poche esperienze che l'Egemonia non aveva ancora provato.

Ma l'ufficio del PFE e le autorità della FORCE restavano inamovibili: niente civili né teletrasporti non autorizzali nel sistema di Hyperion, niente servizi robocron non censurati. In un'epoca in cui nessuna informazione era inaccessibile, nessun viaggio era negato, una simile esclusione stuzzicava e faceva ammattire.

Incontrai il signor Hunt al nesso teleporter dell'esecutivo, dopo avere mostrato l'autorizzazione a non meno di dodici nodi di sicurezza. Hunt vestiva di lana nera, l'uniforme priva di decorazioni ma significativa della FORCE, onnipresente in quella sezione della Casa del Governo. Avevo avuto poco tempo per cambiarmi: ero tornato nel mio alloggio solo per prendere una comoda camicia munita di varie tasche per tenerci i materiali da disegno e una olocamera da 35 mm.

— Pronto? — disse Hunt. Il viso da basset-hound non sembrava felice di vedermi. Hunt portava una normale valigetta nera.

Risposi con un cenno d'assenso.

Hunt rivolse un gesto a un tecnico dei trasporti della FORCE e un portale monouso si materializzò tremolando. Sapevo che quell'affare era sintonizzato sulla nostra impronta DNA e non avrebbe lasciato passare nessun altro. Hunt trasse un sospiro e varcò il portale. Guardai la superficie argento vivo incresparsi dopo il suo passaggio, come un ruscello che torni calmo al cessare d'un lieve alito di vento; varcai anch'io il portale.

Correva voce che i prototipi originali di teleporter non dessero sensazioni durante il transito, e che le IA e i progettisti umani li avessero modificati per aggiungere un vago formicolio e un sentore di scariche di ozono per dare l'impressione di avere viaggiato davvero. Qualunque sia la verità, la mia pelle vibrò di tensione, quando mi spostai di un passo dal portale e mi guardai intorno.

È curioso, ma vero, che il naviglio per guerre spaziali sia stato raffigurato nelle opere di fantasia, nei film, negli olodrammi e negli stim-sim per più di ottocento anni; ancora prima che la razza umana lasciasse la Vecchia Terra in aeroplani convertiti per sfiorare l'atmosfera, i film bi-di avevano mostrato epiche battaglie spaziali, enormi incrociatori interstellari dotati di armamenti incredibili che si tuffavano nello spazio come città aerodinamiche. Perfino l'inondazione di recenti olodrammi di guerra, a seguito della Battaglia di Bressia, mostrava enormi flotte impegnate in battaglia a distanze che due fanti avrebbero trovato claustrofobiche, navi che speronavano e sparavano e bruciavano come triremi greche ammassate nello stretto d'Artemisio.

Non c'è da stupirsi, quindi, se il cuore mi batteva e il palmo delle mani mi sudava un poco, all'idea di teleportarmi a bordo dell'ammiraglia, aspettandomi di emergere sull'ampio ponte di una nave da guerra come quelle degli olodrammi, con schermi giganteschi che mostravano le navi nemiche, suoni di sirene, comandanti scolpiti nella roccia raccolti intorno a pannelli di comando tattico, mentre la nave sbandava prima a destra, poi a sinistra.

Hunt e io ci trovammo in quello che sarebbe potuto essere uno stretto corridoio di una centrale energetica. Da ogni parte s'intrecciavano tubazioni con colori in codice e c'erano di tanto in tanto delle maniglie; a intervalli regolari, portelli a tenuta stagna suggerivano che ci trovassimo davvero dentro un'astronave; diskey ultimo modello e pannelli interattivi mostravano che il corridoio serviva a scopi diversi dall'accesso chissà dove, ma l'effetto complessivo era quello di claustroiobia e di tecnologia primitiva. Quasi m'aspettai di vedere veri cavi passare da un nodo di circuito all'altro. Un pozzo verticale intersecava il corridoio; dai portelli si vedevano altri corridoi stretti e ingombri.

Hunt mi guardò e si strinse nelle spalle. Mi domandai se era possibile che ci fossimo teleportati alla destinazione sbagliata.

Prima che uno di noi due aprisse bocca, un giovane guardiamarina della FORCE:spazio, in divisa nera da combattimento, comparve da un corridoio laterale, salutò Hunt e disse: — Benvenuti a bordo della AE Ebridi, signori. L'ammiraglio Nashita vi porge i suoi saluti e vi invita al centro controllo combattimento. Seguitemi, prego. — Girò sui tacchi e s'infilò in uno stretto pozzo verticale.

Lo seguimmo meglio che potevamo: Hunt cercava di non lasciar cadere la valigetta, e io cercavo di non farmi pestare le mani da Hunt, mentre ci arrampicavamo. Solo dopo qualche metro mi accorsi che lì la gravità era molto inferiore a quella standard: a dire il vero, non era affatto gravità, ma sembrava una miriade di piccole mani che mi premessero verso il basso. Sapevo che certi navigli, per simulare la forza di gravità, usavano in tutto lo scafo un campo di contenimento classe-1, ma quella era la prima volta che lo sperimentavo di persona. Non era una sensazione piacevole: a causa della pressione costante, sembrava di procedere controvento e l'effetto accresceva il senso di claustrofobia prodotto dagli stretti corridoi, dai piccoli portelli e dalle paratie ingombre d'attrezzature.

La Ebridi era una nave C-3, Comunicazione-Controllo-Comando, e il centro di controllo combattimento ne era il cuore e il cervello… ma non un cuore e un cervello molto impressionanti. Il giovane guardiamarina ci guidò attraverso tre portelli a tenuta stagna, lungo un ultimo corridoio sorvegliato da marines di guardia, salutò e ci lasciò in una cabina di circa venti metri quadrati, ma così piena di rumore, di personale e di congegni che il primo istinto era quello di tornare indietro per prendere una boccata d'aria.

Non c'erano schermi giganti, ma decine di giovani ufficiali della FORCE:spazio erano chini sopra misteriosi display, sedevano collegati ad apparecchiature stim-sim, o stavano in piedi davanti a pulsanti lavagne di richiamo che sembravano protendersi da tutt'e sei le paratie. Uomini e donne erano legati alle poltrone e alle culle sensoriali, fatta eccezione per alcuni ufficiali (in gran parte con l'aspetto di burocrati infastiditi, più che di guerrieri scolpiti nella roccia) che andavano su e giù per gli stretti passaggi, davano manate d'incoraggiamento ai subordinati, ringhiavano per avere altri dati e si servivano del proprio impianto a spinotto per collegarsi ai pannelli di comando. Uno di questi ufficiali si avvicinò in fretta, ci guardò, mi salutò e disse: — Il signor Hunt?

Con un cenno indicai il mio compagno.

— Signor Hunt — disse il giovane capitano di fregata — l'ammiraglio Nashita la riceverà subito.

Il comandante di tutte le forze dell'Egemonia nel sistema di Hyperion era un ometto con capelli bianchi e corti, pelle molto più liscia di quanto l'età suggerisse e un fiero cipiglio che sembrava scolpito dalla nascita. L'ammiraglio Nashita indossava una divisa nera a collo alto, priva di insegne di grado, a parte il piccolo sole nano rosso sul colletto. Aveva mani tozze e robuste, ma con unghie curate di recente. Sedeva sopra una piccola predella circondata da attrezzature e da lavagne in stato di riposo. Il trambusto e l'efficiente confusione parevano fluire intorno a lui come un rapido torrente intorno a una roccia inattaccabile.