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Tese la mano a Hunt. — Signor Hunt? Sono Theo Lane.

Hunt gliela strinse e con la testa indicò me. — Lieto di conoscerla, governatore generale. Le presento Joseph Severn.

Strinsi la mano di Lane e al tocco provai una scossa di riconoscimento. Ricordavo Theo Lane, attraverso le nebbie di déjà vu della memoria del Console, dagli anni in cui Lane era viceconsole; e anche dal breve incontro di una settimana prima, quando Lane aveva salutato i pellegrini, prima che risalissero il fiume a bordo della chiatta a levitazione Benares. Sembrava più vecchio di quanto era apparso solo sei giorni prima. Ma il ciuffo ribelle sulla fronte era lo stesso e non erano cambiati gli antiquati occhiali che portava e la stretta di mano forte e decisa.

— Mi fa piacere che abbia trovato il tempo di scendere sul pianeta — disse a Hunt il governatore generale Lane. — Dovrei comunicare al PFE diverse cose.

— Siamo qui per questo — rispose Hunt. Diede un'occhiata al cielo, sotto la pioggerella. — Abbiamo circa un'ora. C'è un posto dove andare ad asciugarci?

Il governatore generale mostrò un sorriso giovanile. — Lo spazioporto è una gabbia di matti, anche alle 5,20 del mattino, e il consolato è sotto assedio. Ma conosco un posto. — Indicò lo skimmer.

Mentre decollavamo, notai due skimmer dei marines procedere di pari passo col nostro, ma rimasi ugualmente sorpreso che il governatore generale di un mondo del Protettorato volasse nel proprio veicolo e non fosse sempre circondato di guardie del corpo. Poi ricordai come l'aveva descritto il Console — efficiente e riservato — e capii che quel modo di fare era in carattere con lo stile del diplomatico.

Il sole spuntò mentre viravamo verso la città. Nuvole basse mandarono vividi riflessi, illuminate da sotto; le montagne a nord brillarono di un verde intenso, di viola, di rosso fulvo e la striscia di cielo al di sotto delle nuvole a est assunse quello sconvolgente color verde e blu lapislazzuli che conoscevo dai sogni. "Hyperion" pensai e provai una forte tensione, sentii in gola un groppo d'entusiasmo.

Appoggiai la testa contro il tettuccio rigato di pioggia: parte del senso di vertigine e di confusione che provavo in quel momento derivava dalla riduzione del contatto di fondo con la sfera dati. Il legame non era cessato, grazie soprattutto ai canali microonda e astrotcl, ma era più tenue di quanto non avessi mai provato… se la sfera dati fosse stata il mare in cui nuotavo, adesso mi trovavo davvero in acque basse, forse in una pozzanghera di marea, per usare una similitudine migliore, e l'acqua diventava sempre più scarsa, mentre lasciavamo l'involucro dello spazioporto e la sua rozza microsfera. Mi costrinsi a prestare attenzione ai discorsi di Hunt e del governatore generale Lane.

— Guardi le baracche e le catapecchie — disse Lane, virando di qualche grado per offrirci una vista migliore delle montagne e delle vallate che separavano lo spazioporto dalla periferia della capitale.

Baracche e catapecchie erano termini troppo raffinati per la miserabile accozzaglia di pannelli di fibroplastica, di pezzi di tela, di casse da imballaggio, di schegge di flussoschiuma, che copriva le montagne e i profondi canaloni. Quella che un tempo era stata chiaramente una strada panoramica di dieci chilometri fra montagne boscose, dalla città allo spazioporto, ora mostrava terreni diboscati per costruire ricoveri e avere legna da ardere, prati trasformati in spianate di terra battuta ridotta a fanghiglia, e una città di ottocentomila profughi sparsi su ogni tratto visibile di terra in piano. Il fumo di migliaia di fuochi per la colazione si alzava verso le nuvole; scorgevo movimento dappertutto, bambini che correvano scalzi, donne che portavano acqua da torrenti senza dubbio orribilmente inquinati, uomini accosciati nei campi aperti o in coda davanti a latrine di fortuna. Alti reticolati di fil di ferro tagliente e barriere di campi di contenimento violacei erano diposti ai lati della strada; ogni ottocento metri si vedevano posti di controllo militari. Lunghe file di veicoli mimetici terrestri della FORCE e di skimmer si muovevano nei due sensi lungo la strada e le corsie di volo a bassa quota.

— … per la maggior parte i profughi sono indigeni — diceva in quel momento il governatore generale Lane — anche se ci sono migliaia di ex proprietari terrieri fuggiti dalle città meridionali e dalle grandi piantagioni di fibroplastica di Aquila.

— Si sono rifugiati qui perché ritengono probabile l'invasione Ouster? — domandò Hunt.

Theo Lane diede un'occhiata all'aiutante di Gladstone. — All'inizio c'è stata un'ondata di panico al pensiero dell'apertura delle Tombe del Tempo — rispose. — Tutti erano convinti che lo Shrike venisse a prenderli.

— E avevano ragione? — domandai.

Il giovane funzionario cambiò posizione per guardarmi. — La Terza Legione della Forza di Autodifesa è andata a nord, sette mesi fa — disse. — Non è tornato nessuno.

— Ha detto che all'inizio fuggivano dallo Shrike — disse Hunt. — E dopo?

— Aspettano l'evacuazione. Tutti sanno quello che gli Ouster… e i soldati dell'Egemonia… hanno fatto su Bressia. Non vogliono trovarsi qui, quando accadrà anche su Hyperion.

— Si rende conto che per la FORCE l'evacuazione è l'ultimissima risorsa?

— Sì. Ma ai profughi non lo diciamo. Ci sono già state sommosse terribili. Il Tempio Shrike è stato distrutto… la folla l'ha assediato e qualcuno ha usato cariche sagomate al plasma, rubate dalle miniere nel continente Ursa. La settimana scorsa ci sono stati attacchi al consolato e allo spazioporto, oltre ai tumulti a Jacktown.

Hunt annuì e guardò la città avvicinarsi. Gli edifici erano bassi, quattro o cinque piani, e le pareti bianche o color pastello brillavano vivamente ai raggi obliqui del sole mattutino. Guardai da sopra la spalla di Hunt e vidi la bassa montagna scolpita con le fattezze di re Billy il Triste incombere sulla vallata. Il fiume Hoolie girava intorno al centro della città vecchia e si raddrizzava prima di puntare a nordest verso l'invisibile Briglia, poi piegava e scompariva nelle paludi di legno weir a sudest, dove sapevo che si allargava a formare il delta lungo la Grande Criniera. La città pareva poco affollata e tranquilla, dopo la penosa confusione dei baraccamenti di profughi; ma quando iniziammo a scendere verso il fiume, notai il traffico militare, i carri armati, i veicoli corazzati per trasporto truppe e le autoblindo agli incroci e nei parcheggi, con il polimero mimetico disattivato per avere un aspetto più minaccioso. Poi vidi i profughi nella città: tende di fortuna nelle piazze e nei viali, migliaia di figure addormentate lungo i marciapiedi, simili a innumerevoli pacchi da lavanderia di colore smorto in attesa di essere raccolti.

— Due anni fa Keats aveva una popolazione di duecentomila anime — disse il governatore generale Lane. — Adesso, calcolando le baraccopoli, ci avviciniamo ai tre milioni e mezzo.

— Pensavo che su tutto il pianeta ci fossero meno di cinque milioni d'abitanti — disse Hunt. — Indigeni compresi.

— Infatti. Ora capisce perché tutto va a rotoli. Il resto dei profughi si è raccolto nelle altre due maggiori città, Port Romance ed Endymion. In Aquila le piantagioni di fibroplastica sono abbandonate, invase dalla giungla e dalle foreste di fuoco; la cintura di fattorie lungo la Criniera e le Nove Code non produce più niente… o, se produce, non può mettere sul mercato i prodotti agricoli a causa del crollo del sistema di trasporti civili.

Hunt guardò il fiume farsi più vicino. — Cosa fa, il governo?

Theo Lane sorrise. — Vuol dire, cosa faccio io? Be', la crisi fermenta da quasi tre anni. Come primo passo, ho sciolto il Consiglio Autonomo e fatto entrare ufficialmente Hyperion nel Protettorato. Ottenuti i poteri esecutivi, ho nazionalizzato le ultime compagnie di trasporto e le linee di dirigibili… ora qui solo i militari usano gli skimmer… e ho soppresso la Forza di Autodifesa.