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Scossi la testa e mi accomodai. Tre olofinestre mostravano solo luce bianca, ma quella alla mia sinistra presentava la stessa mappa tri-D del sistema di Hyperion che avevo tentato di decifrare nella Sala di Guerra. Ora mi parve che il rosso degli Ouster ricoprisse il sistema e vi s'infiltrasse come colore che si sciolga e si diffonda in una soluzione azzurra.

— Vorrei che mi raccontasse i suoi sogni — disse Gladstone.

— Vorrei che mi spiegasse perché li ha abbandonati — replicai, con voce piatta. — Perché ha lasciato morire padre Hoyt.

Gladstone non era certo avvezza a sentirsi apostrofare in questo modo, dopo quarantotto anni di Senato e quindici come Primo Funzionario Esecutivo; ma, come unica reazione, inarcò d'un millimetro il sopracciglio. — Allora sogna eventi reali — disse.

— Ne dubitava?

Gladstone posò il blocchetto per appunti, lo spense, scosse la testa. — A dire il vero, no. Ma è sempre una sorpresa sentir parlare di una cosa che non conosce nessun altro nella Rete.

— Perché non ha permesso ai pellegrini di usare la nave del Console?

Gladstone girò la poltroncina per guardare il display tattico che cambiava configurazione a mano a mano che gli aggiornamenti modificavano il flusso di linee rosse, la ritirata di linee blu, il movimento di pianeti e di lune; ma se per rispondermi intendeva prendere spunto dalla situazione militare, cambiò idea. Tornò a girarsi. — Perché dovrei spiegare una qualsiasi decisione esecutiva proprio a lei, signor Severn? Qual è il suo collegio elettorale? Chi rappresenta?

— Rappresento i cinque adulti e la bimba che lei ha abbandonato su Hyperion — risposi. — Era possibile salvare Hoyt.

Gladstone chiuse il pugno e con l'indice si tamburellò il labbro. — Forse — replicò. — E forse era già morto. Ma non era questo il punto, vero?

Mi appoggiai alla spalliera. Non mi ero preso la briga di portare un album da disegno e le dita mi prudevano per la voglia di stringere qualcosa. — Quale, allora?

— Ricorda la storia di padre Hoyt… la storia che raccontò nel corso del viaggio alle Tombe?

— Sì.

— A ogni pellegrino è concesso di chiedere allo Shrike una grazia. La tradizione dice che quell'essere esaudisce il desiderio di uno solo e uccide gli altri. Ricorda qual era il desiderio di Hoyt?

Esitai. Richiamare eventi del passato dei pellegrini era come cercare di ricordare particolari dei sogni della settimana prima. — Voleva che gli fossero tolti i crucimorfi — risposi. — Voleva la libertà per… l'anima, il DNA o cosa diavolo è… di padre Duré e per la propria.

— Non esattamente — disse Gladstone. — Padre Hoyt voleva morire.

Mi alzai, ribaltando quasi la poltrona, e mi accostai con decisione alla mappa. — Sciocchezze — dissi. — Anche se lo desiderava, gli altri avevano l'obbligo di salvarlo… e lei pure. Lei l'ha lasciato morire.

— Sì.

— E lascerà morire anche gli altri.

— Non necessariamente — disse il PFE Meina Gladstone. — Questa è la loro volontà… e quella dello Shrike, se una simile entità esiste davvero. A questo punto, so solo che il pellegrinaggio è troppo importante per fornire un mezzo di… di ritirata… al momento della decisione.

— Quale decisione? La loro? Come può, la vita di sei o sette individui… e di una neonata… influenzare il risultato di una società di centocinquanta miliardi di persone? — Conoscevo la risposta, ovviamente. La Commissione di Consulenza delle IA e i previsori meno intelligenti dell'Egemonia avevano scelto con molta cura i pellegrini. Ma per quale motivo? Imprevedibilità. Erano valori che pareggiavano l'enigma finale dell'intera equazione Hyperion. Gladstone lo sapeva, o sapeva solo quello che il consulente Albedo e le sue stesse spie le avevano detto? Con un sospiro tornai alla poltrona.

— Il sogno le ha detto qual è stata la sorte del colonnello Kassad? — chiese il PFE.

— No. Mi sono svegliato prima che tornassero alla Sfinge per ripararsi dalla tempesta.

Gladstone sorrise appena. — Lei capisce, signor Severn, che per i nostri scopi sarebbe più conveniente sottoporla a sedativi, adoperare la stessa droga usata dai suoi amici Philomel e collegarla a dei sub-vocalizzatori, in modo da avere un rapporto più continuo degli eventi su Hyperion.

Ricambiai il sorriso. — Sì — dissi. — Sarebbe più conveniente. Ma lo sarebbe meno, se mi ritraessi nel Nucleo, via sfera dati, lasciandomi alle spalle il corpo vuoto. Proprio quel che farò, se sarò sottoposto di nuovo a coercizione.

— Naturale. Farei così anch'io, in circostanze analoghe. Mi dica, signor Severn, che effetto fa, trovarsi nel Nucleo? In quel luogo remoto dove risiede realmente la sua consapevolezza.

— Sempre in movimento — risposi. — Oggi vuole vedermi per altro?

Gladstone sorrise di nuovo e intuii che quello era un sorriso vero, non l'arma da politico che adoperava con tanta abilità. — Sì — disse. — Ho altro in mente. Le piacerebbe andare su Hyperion? Il vero Hyperion?

— Il vero Hyperion? — ripetei scioccamente. Sentii un formicolio alle dita delle mani e dei piedi, mentre un senso d'eccitazione mi pervadeva. Forse la mia consapevolezza risiedeva nel Nucleo, ma il mio corpo e il mio cervello erano fin troppo umani, fin troppo suscettibili all'adrenalina e alle altre sostanze chimiche casuali.

Gladstone annuì. — Milioni di persone vogliono andarci. Teleportarsi in un posto nuovo. Osservare da vicino la guerra. — Con un sospiro spostò il blocco per appunti. — Che idioti. — Sollevò lo sguardo su di me, e gli occhi castani avevano un'espressione seria. — Ma io voglio che qualcuno vada lì e mi riferisca di persona. Stamane Leigh adopera uno dei nuovi terminali teleporter militari e ho pensato che potrebbe unirsi a lui. Forse non avrà il tempo di scendere su Hyperion, ma si troverà all'interno del sistema.

Delle diverse domande che mi vennero in mente, ne rivolsi una che mi imbarazzò. — Sarà pericoloso?

Gladstone non cambiò espressione né tono. — Può darsi. Anche se si troverà molto dietro le linee e Leigh ha ordini precisi di non esporsi, e di non esporre nemmeno lei, a rischi evidenti.

"Rischi evidenti" pensai. Ma quanti rischi non evidenti esistevano in una zona di guerra, nei dintorni di un mondo dove una creatura come lo Shrike vagava in libertà? — Sì — dissi. — Ci vado. Ma c'è una cosa…

— Sì?

— Devo sapere perché vuole che vada. Se il motivo riguarda solo il mio legame con i pellegrini, corre un rischio inutile, si direbbe, a mandarmi su Hyperion.

Gladstone annuì. — Signor Severn, è vero che il suo legame con i pellegrini, per quanto tenue, m'interessa. Ma è altrettanto vero che m'interessano le sue osservazioni e le sue valutazioni. Le sue.

— Ma per lei non sono niente — obiettai. — Non sa a chi altri potrei riferire, deliberatamente o meno. Sono una creatura del Tecno-Nucleo.

— Sì. Ma in questo momento potrebbe anche essere l'individuo più libero da legami politici di tutto Tau Ceti Centro e forse dell'intera Rete. Inoltre, le sue osservazioni sono quelle di un poeta esperto, di un uomo di cui rispetto la genialità.

Scoppiai a ridere. — Lui era un genio — replicai. — Io sono un simulacro. Un parassita. Una caricatura.

— Ne è sicuro? — domandò Meina Gladstone.

— Non ho scritto un verso, nei dieci mesi in cui sono stato vivo e cosciente di questa mia bizzarra vita dopo la morte — risposi. — Non penso in poesia. Non basta a dimostrare che questo progetto di ricupero del Nucleo è un'impostura? Perfino il mio falso nome è un insulto a un uomo di talento infinitamente superiore a quello che sarà mai il mio… Joseph Severn era un'ombra, a paragone del vero John Keats, ma io ne offusco il nome, usandolo.

— Potrebbe essere vero — disse Gladstone. — E potrebbe non esserlo. In un caso e nell'altro, le ho chiesto di partecipare col signor Hunt a questo breve viaggio su Hyperion. — Esitò. — Lei non ha… il dovere… di andare. In più di un senso, non è neppure cittadino dell'Egemonia. Ma sarei lieta che andasse.