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— Non andartene — dice Sileno. — Sembra di essere in uno di quei merdosi olodrammi antichi dell'orrore, dove spariscono uno alla volta… ehi! — Il poeta tace. L'ingresso della tenda è un triangolo di luce e di rumore. Fedmahn Kassad è scomparso.

La tenda inizia a crollare, i paletti e i cavi d'ancoraggio cedono mentre la sabbia si muove all'intorno. Rannicchiati, gridando per farsi udire sopra il frastuono del vento, il Console e Lamia avvolgono nel mantello il corpo di Hoyt. Le spie del medipac continuano a palpitare di luce rossa. Il sangue ha smesso di colare dalla sutura provvisoria. Sol Weintraub depone la figlia di quattro giorni nel porta-neonati appeso al petto, la copre col mantello e si acquatta all'ingresso della tenda. — Nessun segno del colonnello! — grida. Mentre guarda, un fulmine colpisce l'ala tesa della Sfinge.

Brawne Lamia si sposta all'ingresso e solleva il corpo del prete. Si stupisce di quant'è leggero. — Portiamo padre Hoyt sulla nave e affidiamolo all'attrezzatura chirurgica. Poi torneremo a cercare Kassad.

Il Console si cala sugli occhi il tricorno e si alza il colletto. — La nave ha radar di profondità e sensori di movimento. Ci dirà dov'è finito il colonnello.

— E lo Shrike — dice Sileno. — Non dimentichiamo il nostro anfitrione.

— Andiamo — dice Lamia. Si alza. Deve chinarsi contro il vento per avanzare. I lembi del mantello di Hoyt svolazzano e la colpiscono, il suo stesso mantello forma una coda ondeggiante. Alla luce intermittente dei fulmini trova il sentiero e si dirige all'imboccatura della valle; solo una volta si lancia alle spalle un'occhiata per vedere se gli altri la seguono.

Martin Sileno si allontana dalla tenda, prende il cubo di Moebius appartenuto a Het Masteen; il vento gli strappa il berretto viola e lo porta in alto. Sileno rimane lì a imprecare violentemente, fermandosi solo quando la bocca gli si riempie di sabbia.

— Vieni — grida Weintraub, toccandogli la spalla. La sabbia gli colpisce il viso, gli penetra nella barbetta. Con l'altra mano Sol si copre il petto, come per proteggere qualcosa d'infinitamente prezioso. — Perderemo di vista Brawne, se non ci sbrighiamo. — I due si aiutano a vicenda per avanzare controvento. La pelliccia di Sileno svolazza da tutte le parti, quando il poeta fa una deviazione per ricuperare il berretto caduto al riparo di una duna.

Il Console è l'ultimo a lasciare la tenda, portando il proprio zaino e quello di Kassad. Ha lasciato il piccolo riparo da un solo minuto, quando i paletti cedono, la tela si strappa, la tenda vola nella notte, circondata da un alone d'elettricità statica. Il Console percorre barcollando i trecento metri di sentiero, di tanto in tanto scorge fuggevolmente i due che lo precedono, più spesso perde la pista e deve camminare in cerchio finché non la ritrova. Dietro di lui, le Tombe del Tempo sono visibili, quando la tempesta di sabbia si calma un po' e i fulmini si susseguono a breve intervallo. Il Console vede la Sfinge che risplende ancora per le ripetute scariche elettriche, più in là la Tomba di Giada con le pareti luminose e a distanza maggiore l'Obelisco, che invece non risplende e sembra una striscia verticale di nero assoluto contro le pareti della valle. E poi il Monolito di Cristallo. Non c'è segno di Kassad, anche se le dune mutevoli, le folate di sabbia e i lampi improvvisi danno l'impressione che molte cose siano in movimento.

Il Console alza lo sguardo, ora vede l'ampia imboccatura della valle e le nuvole che corrono più in alto; quasi s'aspetta di scorgere il bagliore azzurro della scia di fusione della nave che scende tra le nubi. La tempesta è terrificante, ma la nave è atterrata in condizioni peggiori. Il Console si domanda se sia già scesa e se più avanti gli altri aspettino che lui arrivi.

Ma quando raggiunge la sella fra le pareti rocciose all'imboccatura della valle, mentre il vento rinnova gli assalti, vede che gli altri quattro se ne stanno rannicchiati all'inizio della vasta pianura: la nave non c'è.

— A quest'ora non dovrebbe essere già scesa? — grida Lamia, mentre il Console si avvicina al gruppetto.

Lui annuisce e si acquatta per togliere dallo zaino il comlog. Weintraub e Sileno si mettono dietro di lui e si piegano per dargli un certo riparo dalla sabbia. Il Console estrae il comlog ed esita, guardandosi intorno. La tempesta dà l'impressione che il gruppetto si trovi in una folle stanza con pareti e soffitto che cambiano da un istante all'altro, un momento si chiudono su di loro a qualche metro di distanza, l'attimo dopo si allontanano, mentre il soffitto si libra verso l'alto, come la scena il cui la stanza e l'albero di Natale si espandono per Clara, nello Schiaccianoci di Ciaikovskij.

Il Console tocca il diskey, mormora nel riquadro fonico. L'antico strumento gli risponde in un bisbiglio, parole appena percettìbili sopra il fruscio della sabbia. Il Console si raddrizza, si gira verso gli altri. — La nave non ha avuto il permesso di partire.

Segue una confusione di proteste. — Cosa significa, non ha avuto il permesso? — domanda Lamia, quando torna il silenzio.

Il Console alza le spalle e guarda il cielo, come se una coda di fiamma azzurra, potesse ancora annunciare l'arrivo della nave. — Allo spazioporto di Keats non hanno dato il nullaosta.

— Ma non avevi detto che i documenti erano firmati dalla pidocchiosa regina? — grida Martin Sileno. — Dalla Vecchia Crostona in persona?

— Il permesso di Gladstone era nella memoria della nave — dice il Console. — La FORCE e le autorità portuali lo sapevano.

— Allora che diavolo è accaduto? — Lamia si pulisce il viso. Le lacrime versate nella tenda hanno lasciato minuscoli rivoli di fango nello strato di sabbia che le copre le guance.

Il Console si stringe nelle spalle. — Gladstone ha annullato il documento originale. Qui c'è un suo messaggio. Volete ascoltarlo?

Per un minuto nessuno risponde. Dopo una settimana di viaggio, il pensiero di essere in contatto con una persona esterna al gruppo è così incongruo da non fare subito presa: come se il mondo al di fuori del pellegrinaggio abbia smesso d'esistere, a parte le esplosioni nel cielo notturno. — Sì — dice Sol Weintraub. — Ascoltiamolo. — Un improvviso attimo di calma nella tempesta fa sembrare che le parole siano state pronunciate a voce altissima.

Si raccolgono intorno all'antico comlog, tenendo al centro del cerchio padre Hoyt. Nel minuto in cui non gli hanno badato, una piccola duna ha cominciato a formarsi intorno al corpo del prete. Ora le spie luminose sono tutte rosse, a parte quelle dei monitor d'estrema misura, che brillano di luce ambrata. Lamia inserisce nella fessura un'altra cartuccia di plasma e controlla che la maschera a osmosi sia ben sistemata su bocca e naso di Hoyt, lasci passare ossigeno puro e trattenga la sabbia. — D'accordo — dice.

Il Console aziona il diskey.

Il messaggio è una raffica tachionica astrotel, registrata dalla nave una decina di minuti prima. L'aria si annebbia con le colonne dati e il colloide a immagine sferica che caratterizza i comlog risalenti all'Egira. L'immagine di Gladstone sfarfalla: il viso è bizzarramente distorto, quasi comico, mentre milioni di granelli di sabbia lo attraversano e lacerano l'immagine. Anche a tutto volume, la voce quasi si perde nella tempesta.

«Sono spiacente» dice la ben nota immagine «ma al momento non posso permettere che la nave si avvicini alle Tombe. La tentazione di abbandonare la zona sarebbe troppo grande e l'importanza della missione deve passare sopra ogni altro fattore. Cercate di capire che da voi dipende forse la sorte dei mondi della Rete. Le mie speranze e le mie preghiere sono con voi. Gladstone. Fine.»

L'immagine si ripiega su se stessa e svanisce. Il Console, Weintraub e Lamia continuano a fissare in silenzio il vuoto. Martin Sileno si alza, tira un pugno di sabbia all'aria dove un attimo prima c'era il viso di Gladstone e urla: — Brutta stronza incestuosa d'una puttana paraplegica! — Prende a calci la sabbia. Gli altri spostano lo sguardo su di lui.