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Singh si toccò la barbetta. — Vuole sapere se era una trappola, signora?

— Sì.

L'ammiraglio lanciò un'occhiata ai colleghi, poi guardò Gladstone. — Credo di no. Pensiamo… io, almeno… che gli Ouster, nel vedere l'elevato numero di forze da noi impiegate, abbiano risposto di conseguenza. Significa tuttavia che sono fermamente decisi a prendere il sistema di Hyperion.

— Possono riuscirci? — domandò Gladstone, continuando a fissare il vortice di relitti in alto sulla parete. Il cadavere di un giovane, metà dentro la tuta spaziale e metà fuori, rotolò verso la telecamera. Si vedevano chiaramente gli occhi e i polmoni scoppiati.

— No — disse l'ammiraglio Singh. — Possono coprirci di sangue. Possono costringerci ad arretrare fino a un perimetro totalmente difensivo intorno a Hyperion stesso. Ma non possono sconfiggerci né mandarci via.

— Né distruggere il teleporter? — La voce della senatrice Richeau era tesa.

— Né distruggere il teleporter — confermò Singh.

— Ha ragione — disse il generale Morpurgo. — Mi ci gioco la carriera.

Gladstone sorrise e si alzò. Gli altri, me compreso, si affrettarono a imitarla. — Se la gioca — disse piano Gladstone a Morpurgo. — Se la gioca. — Si guardò intorno. — Ci ritroviamo qui appena gli eventi lo giustificano. Il signor Hunt sarà il mio collegamento con voi. Per ora, signori, il lavoro del governo continuerà come al solito. Buongiorno.

Mentre gli altri uscivano, tornai a sedermi e alla fine rimasi da solo nella sala. Il volume degli altoparlanti aumentò di nuovo. Su una banda, un uomo piangeva. Tra le statiche si udivano risa di follia. Sopra di me, dietro di me, ai due lati, i campi di stelle si muovevano lentamente contro l'oscurità e la luce degli astri si rifletteva, gelida, sui relitti.

La Casa del Governo aveva la forma di una stella di David; nel centro della stella, schermato da muretti e da alberi piantati in posizione strategica, c'era un giardino: più piccolo degli acri a classiche aiuole fiorite del Parco dei Cervi, ma non meno bello. Vi passeggiavo mentre calava la sera, con il vivido biancazzurro di Tau Ceti che svaniva nell'oro, quando Meina Gladstone mi si avvicinò.

Per un poco passeggiammo insieme, in silenzio. Notai che aveva cambiato abito e indossava ora una lunga veste come quelle delle nobildonne di Patawpha; l'ampia veste, ricamata a intricati disegni blu scuro e oro che quasi emulavano il cielo al crepuscolo, si gonfiava al vento. Le mani non si vedevano, infilate in tasche nascoste; le ampie maniche si agitavano alla brezza; l'orlo della veste frusciava sulle pietre bianco latte del sentiero.

— Ha lasciato che mi interrogassero — dissi. — Sono curioso di sapere perché.

La voce di Gladstone era stanca. — Non trasmettevano. Non c'era pericolo che le informazioni fossero riferite ad altri.

Sorrisi. — Tuttavia, ha lasciato che subissi l'interrogatorio.

— Il servizio di sicurezza voleva scoprire su di loro tutto il possibile.

— A spese di un… piccolo fastidio… da parte mia.

— Si.

— E il servizio di sicurezza sa per chi lavoravano?

— L'uomo ha fatto il nome di Harbrit. Il servizio è abbastanza sicuro che si tratti di Emlem Harbrit.

— La mediatrice di materie prime di Asquith?

— Sì. Lei e Diana Philomel hanno legami con le vecchie fazioni realiste di Glennon-Height

— Erano dilettanti — dissi. Hermund si era lasciato sfuggire il nome di Harbrit e Diana mi aveva interrogato in modo assai confuso.

— Mi sembra chiaro.

— I realisti sono collegati a un gruppo serio?

— Solo alla Chiesa Shrike — disse Gladstone. Si soffermò nel punto dove il sentiero attraversava un ruscello, mediante un ponte di pietra. Raccolse la veste e si sedette su una panchina di ferro battuto. — Nessuno dei loro vescovi è ancora uscito dal nascondiglio, sa?

— Considerando le sommosse e le reazioni violente, non li biasimo — risposi. Restai in piedi. In vista non c'erano guardie del corpo né monitor, ma sapevo che, se avessi fatto un gesto di minaccia verso Gladstone, mi sarei svegliato in una cella dell'EsecSicur. In alto, le nuvole perdettero le ultime sfumature dorate e cominciarono a brillare dell'argenteo riflesso delle innumerevoli città torre di TC2. — Cosa ne ha fatto, la sicurezza, di Diana e del marito? — domandai.

— Sono stati interrogati a fondo. Al momento sono… trattenuti.

Annuii. Interrogati a fondo significava che ora il loro cervello galleggiava in vasche di shunt totale. Il corpo sarebbe stato mantenuto in crio-deposito finché un processo segreto non avesse stabilito se le loro azioni erano da considerare alto tradimento. Dopo il processo, i corpi sarebbero stati distrutti e Diana e Hermund sarebbero rimasti "trattenuti", mediante il distacco di ogni canale sensorio e di comunicazione. Da secoli l'Egemonia non usava la pena di morte, ma l'alternativa non era piacevole. Mi sedetti sulla panchina, a due metri da Gladstone.

— Scrive ancora poesie?

La domanda mi sorprese. Lasciai vagare lo sguardo lungo il sentiero, dove lanterne giapponesi e fotoglobi nascosti si erano appena accesi. — In pratica, no — risposi. — A volte, sogno in versi. O solevo farlo…

Meina Gladstone piegò in grembo le mani e rimase a fissarle. — Se per caso scrivesse degli eventi attuali — disse — che genere di poema creerebbe?

Scoppiai a ridere. — Già due volte l'ho iniziato e l'ho lasciato perdere… o meglio, è stato lui. Parlava della morte degli dèi e della loro difficoltà ad accettare la rimozione. Parlava di mutamento e sofferenza e ingiustizia. E parlava soprattutto del poeta… che lui riteneva avesse sofferto, più di ogni altro, di simile ingiustizia.

Gladstone mi guardò. Nella luce fioca, il viso era una massa di linee e di ombre. — E questa volta quali dèi sono rimossi, signor Severn? È l'umanità, o sono i falsi dèi da noi creati, a deporci?

— Come diavolo faccio, a saperlo? — replicai, brusco. Mi girai a guardare il ruscello.

— Lei fa parte di tutt'e due i mondi, no? Dell'Umanità e del Tecno-Nucleo.

Scoppiai a ridere di nuovo. — Non faccio parte né dell'una, né dell'altro. Qui sono un mostro, un cìbrido; là, un progetto di ricerca.

— Sì, ma ricerca di chi? E a quale scopo?

Mi strinsi nelle spalle.

Gladstone si alzò e io la imitai. Superammo il ruscello e ascoltammo l'acqua scorrere sulle pietre. Il sentiero serpeggiava tra massi alti e coperti di eleganti licheni che brillavano alla luce delle lanterne.

Gladstone si soffermò in cima a una breve rampa di gradini di pietra. — Ritiene che i Finali, nel Nucleo, riusciranno a costruire quella che chiamano l'Intelligenza Finale, signor Severn?

— Costruiranno Dio? — replicai. — Ci sono IA che non vogliono costruire Dio. Dall'esperienza umana hanno imparato che costruire il passo seguente della coscienza è un invito alla schiavitù, se non l'estinzione vera e propria.

— Ma un vero Dio estinguerebbe le proprie creature?

— Nel caso del Nucleo e dell'ipotetica IF — dissi — Dio è la creatura, non il creatore. Forse un dio deve creare gli esseri inferiori a contatto con se stesso, per sentirsi responsabile verso di loro.

— Eppure sembra che il Nucleo si sia assunto la responsabilità degli esseri umani, nei secoli a partire dalla Secessione delle IA — disse Gladstone. Mi fissava intensamente, come se valutasse qualcosa basandosi sulla mia espressione.

Guardai il giardino. Il sentiero brillava, bianco, quasi irreale nel buio. — Il Nucleo opera secondo fini propri — dissi, pur sapendo che nessun essere umano conosceva questo fatto meglio del PFE Meina Gladstone.

— E lei ritiene che l'umanità non rappresenti più un mezzo verso questi fini?

Mossi la destra in un gesto sprezzante. — Sono una creatura che non appartiene a queste due culture — dissi. — E neppure graziata dall'innocenza dei creatori involontari, né maledetta dalla terribile consapevolezza delle proprie creature.