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Poi guardò l’uomo appeso e sorrise ironica. «Nudi non sono poi così interessanti» disse. «Metà del divertimento consiste nello spogliarli. Come quando si aprono i regali e si sgusciano le uova.»

L’uomo con la testa di falco che camminava accanto a lei si guardò il pene e sembrò rendersi improvvisamente conto di essere nudo. Disse: «Io posso guardare il sole senza battere le palpebre».

«Ma che bravo» lo rassicurò Easter. «Dai, tiriamolo giù di lì.»

Le funi bagnate che tenevano Shadow legato all’albero erano ormai marce e cedettero al primo strattone. Il corpo scivolò verso le radici. I due lo afferrarono in caduta e lo trasportarono facilmente, benché fosse grande e grosso, e lo adagiarono sul prato grigio.

Il corpo era freddo, e non respirava. Sul fianco aveva una ferita con del sangue coagulato, come se fosse stato trafitto da una lancia.

«E adesso?»

«Adesso» rispose lei «lo riscaldiamo. Sai quello che devi fare.»

«Lo so. Non posso.»

«Se non eri disposto a dare una mano non avresti dovuto farmi venire fin qua.»

Easter allungò una mano candida e sfiorò i capelli corvini di Horus. Lui la guardò con grande concentrazione, poi cominciò a scintillare come la foschia provocata da un calore intenso.

Gli occhi di falco che la guardavano erano luminosi, color arancione, come se vi fosse stata ravvivata una fiamma estinta da tempo.

Il falco si alzò in volo salendo a spirale, volando intorno al prato tra le nuvole grige dove era nascosto il sole, e mentre saliva diventava una macchia, poi un puntino e poi più niente di visibile a occhio nudo, qualcosa che poteva soltanto essere immaginato. Le nubi cominciarono a sfaldarsi e a evaporare liberando una striscia di cielo azzurro attraverso la quale spuntò il sole. Il primo raggio che riuscì a penetrare le nubi e inondare il prato era bellissimo, ma la perfezione si dissolse, man mano che le nuvole scomparivano. Di lì a poco brillava sul prato un sole estivo di mezzogiorno che trasformava il vapore acqueo in umidità, e l’umidità in niente.

Inondò il corpo sdraiato sul prato con il radioso calore dei suoi raggi d’oro, lo accarezzò con sfumature rosa e di un caldo marrone.

La donna fece scorrere delicatamente le dita della mano destra sul petto del cadavere. Le sembrò di sentire un fremito, non proprio un battito, però… Lasciò la mano appoggiata sul cuore.

Piegò la testa, avvicinò la bocca alla bocca di Shadow e cominciò a respirare ritmicamente, poi il respiro diventò un bacio. Un bacio gentile che aveva il sapore delle piogge primaverili e dei fiori di campo.

La ferita nel fianco riprese a sanguinare, gocce di sangue liquido e scarlatto che rotolavano come rubini nella luce, e poi smise.

Lei baciò Shadow su una guancia e sulla fronte. «Alzati. È ora di alzarsi. È il momento decisivo. Non te lo vorrai perdere.»

Shadow batté le palpebre e poi aprì gli occhi: avevano il colore grigio della sera. La guardò.

Easter sorrise e ritrasse la mano.

«Mi hai riportato indietro» le disse. Lentamente, come se avesse dimenticato come si fa a parlare, e con un tono addolorato e stupito.

«Sì.»

«Ero spacciato. Già giudicato. Tutto finito. Mi hai riportato indietro. Come hai osato?»

«Mi dispiace.»

«Sì.»

Lui si alzò lentamente e trasalì, toccandosi il fianco con un’aria ancora più sconcertata: c’era qualche goccia di sangue fresco, ma nessuna ferita.

Shadow allungò una mano e per sostenerlo lei gli infilò un braccio sotto le ascelle. Lui guardò verso il prato come sforzandosi di ricordare i nomi delle cose che vedeva: i fiori nell’erba alta, le rovine della fattoria, i germogli, quasi una peluria sui rami dell’enorme albero argenteo.

«Ti ricordi?» chiese lei. «Ricordi quello che hai imparato?»

«Ho perduto il mio nome, e il cuore. Tu mi hai riportato indietro.»

«Mi dispiace» ripeté Easter. «Stanno per cominciare a combattere: i vecchi dèi e quelli nuovi.»

«Vuoi che combatta per voi? Hai perso il tuo tempo, allora.»

«Ti ho riportato indietro perché dovevo» rispose lei. «Adesso farai quello che devi. Tocca a te. Io ho fatto la mia parte.»

All’improvviso Easter divenne consapevole della nudità di Shadow, arrossì violentemente e distolse lo sguardo.

Protette dalla pioggia e dalle nuvole, le ombre si muovevano sul fianco della montagna, lungo i sentieri rocciosi.

Volpi bianche procedevano in compagnia di uomini dai capelli rossi, vestiti di verde. C’era un minotauro che avanzava accanto a uno pterodattilo con gli artigli di metallo. Un maiale, una scimmia e un essere demoniaco dai denti aguzzi salivano in compagnia di un uomo dalla pelle azzurra che teneva in mano un arco fiammeggiante, un orso con i fiori intrecciati nella pelliccia e un uomo con una corazza a maglia d’oro che aveva una spada fatta di occhi.

Il bellissimo Antinoo, amante di Adriano, saliva sulla montagna in testa a un manipolo di omosessuali vestiti di cuoio con i muscoli perfettamente scolpiti dagli steroidi.

Un ciclope dalla pelle grigia con un enorme smeraldo al posto dell’occhio avanzava a passo rigido precedendo alcuni uomini tozzi dalla carnagione scura, i volti impassibili e regolari come nelle incisioni azteche: uomini che conoscevano i segreti inghiottiti dalla giungla.

Un cecchino appostato sulla vetta prese la mira con calma e sparò sulla volpe bianca. Ci fu un’esplosione, una nuvoletta di cordite, l’odore della polvere da sparo si diffuse nell’aria umida. Il cadavere era quello di una giovane donna giapponese con la pancia sventrata, la faccia tutta coperta di sangue. Piano piano il cadavere svanì.

La gente continuava ad arrampicarsi sulla montagna a due zampe, a quattro zampe, senza zampe.

Il viaggio attraverso il territorio montagnoso del Tennessee era stato bello da mozzare il fiato quando non c’era il temporale e sfinente quando la pioggia scrosciava violenta. Town e Laura avevano chiacchierato per tutto il tragitto. Lui era incredibilmente felice di averla incontrata. Era come aver ritrovato un’amica, una vecchia amica molto amata e non più incontrata da anni. Avevano parlato di storia, di cinema, di musica, e si era scoperto che Laura era l’unica oltre a lui ad aver visto un film straniero degli anni Settanta (Town era sicuro che fosse spagnolo, mentre lei diceva polacco) intitolato Il manoscritto trovato a Saragozza, un film che Town cominciava a credere di aver sognato.

Quando Laura indicò il primo fienile con la scritta VISITATE ROCK CITY lui ridacchiò e ammise di essere diretto proprio lì. Lei disse: fantastico, aveva tanto desiderato visitare uno di quei posti, non ne aveva mai avuto il tempo e se n’era sempre rammaricata. Per questo adesso era in viaggio, per vivere un’avventura.

Lavorava in un’agenzia di viaggi, gli raccontò, era separata dal marito. Ammise di ritenere che non sarebbero più tornati assieme, e aggiunse che la colpa era sua.

«Non posso crederci.»

Lei sospirò. «È vero, Mack, non sono più la donna che aveva sposato.»

Be’, le disse lui, la gente cambia, e prima di rendersi conto che le stava ormai raccontando proprio tutto della sua vita, attaccò a parlare di Woody e Stone, di come insieme venivano chiamavati i tre moschettieri, e che gli altri due erano stati uccisi. Uno penserebbe che lavorando per il governo ci si dovrebbe abituare ai morti ammazzati, invece non ci si abitua mai.

E lei allungò una mano — talmente fredda che Town alzò il riscaldamento — e gli strinse forte la sua.

All’ora di pranzo si fermarono a mangiare del cattivo cibo giapponese mentre il temporale incombeva pesante su Knoxville, e a Town non dispiacque per niente che il servizio fosse lentissimo, la zuppa di miso fredda, il sushi tiepido.

Era felice che Laura avesse deciso di vivere la sua avventura proprio con lui.