Изменить стиль страницы

Alle sue spalle il sentiero si biforcava. Lui avrebbe dovuto decidere quale sentiero prendere, lo sapeva. Però prima doveva fare una cosa. Infilò una mano nella tasca dei jeans e con sollievo sentì il peso familiare della moneta. La tirò fuori tenendola tra indice e pollice: un dollaro con la testa della Libertà d’argento. «Questa è tua.»

In quel momento ricordò che in realtà i suoi indumenti si trovavano ai piedi dell’albero; le donne li avevano infilati nel sacco di juta da cui avevano preso le corde, poi l’avevano chiuso e la più alta ci aveva appoggiato sopra una grossa pietra perché non volasse via. E così Shadow sapeva che in realtà il dollaro della Libertà si trovava nella tasca dentro a quel sacco con sopra la pietra. Eppure l’aveva in mano, pesante, all’ingresso dell’aldilà.

Lei glielo prese con le sue dita affusolate.

«Grazie. Ti ha aiutato due volte a ritrovare la libertà» disse. «E adesso illuminerà il tuo cammino nei luoghi bui.»

Chiuse la mano intorno al dollaro, poi si allungò, l’appoggiò nell’aria, il più in alto possibile e lo lasciò andare. Invece di cadere, la moneta fluttuò fino a trovarsi a quasi mezzo metro sopra la testa di Shadow. Non era più una moneta d’argento. La Signora Libertà e la sua corona a spuntoni erano scomparse. Adesso la faccia che vedeva era quella liscia della luna in un cielo estivo.

Shadow non riusciva a capire se stesse guardando una luna delle dimensioni di un dollaro a circa mezzo metro dalla sua testa, o una luna grande come l’Oceano Pacifico a molte migliaia di chilometri. E non sapeva nemmeno se ci fosse qualche differenza tra le due cose. Forse era solo questione di punti di vista.

Guardò il sentiero che si biforcava davanti a lui.

«Quale devo prendere?» chiese. «Qual è il più sicuro?»

«Uno esclude l’altro» rispose lei, «nessuno dei due è sicuro. Quale strada preferisci imboccare: la via delle crude verità o delle menzogne consolatorie?»

«La via delle verità» rispose lui. «Ne ho passate troppe, non ne posso più di menzogne.»

Lei lo guardò con tristezza. «Ci sarà un prezzo da pagare.»

«Lo pagherò. Qual è?»

«Il tuo nome» disse lei. «Il tuo vero nome. Dovrai darlo a me.»

«Come?»

«Così.» Allungò una mano verso la sua testa. Lui sentì le dita che gli sfioravano la pelle e la penetravano, entravano nel cranio, le sentì rovistare nella testa. Qualcosa lo solleticò nel cranio e lungo la spina dorsale, poi lei tirò fuori la mano. Una fiamma come quella di una candela ma luminosa e bianca come luce al magnesio, tremolava sulla punta del suo indice.

«È il mio nome?» domandò lui.

Lei chiuse la mano e la luce scomparve. «Lo era.» Tese la mano e indicò il sentiero sulla destra. «Da questa parte. Per il momento.»

Senza nome, Shadow percorse il sentiero sulla destra illuminato dalla luna. Quando si voltò per ringraziare Polunochnaja Zarja vide soltanto tenebre. Gli sembrava di essere molto in profondità sotto terra ma quando guardò in alto nel buio vide che la minuscola luna brillava ancora.

Imboccò una curva.

Se questo era l’aldilà, pensò, assomigliava molto alla House on the Rock: in bilico tra diorama e incubo.

Stava osservando se stesso con indosso la divisa della prigione, nell’ufficio del direttore, mentre questi gli comunicava che Laura era morta in un incidente di macchina. Vedeva l’espressione sulla sua faccia, quella di un uomo abbandonato dal mondo. Lo ferì vedersi così, vedere quella vulnerabilità e la paura. Proseguì attraverso l’ufficio grigio del direttore e si ritrovò a guardare dalla vetrina del negozio di riparazioni video alla periferia di Eagle Point.

Tre anni prima. Sì.

Dentro il negozio, lo sapeva, c’era lui che stava picchiando a sangue Larry Powers e B.J. West, ammaccandosi le nocche, nel farlo: tra poco sarebbe uscito di lì con un sacchetto del supermercato pieno di banconote da venti dollari. Denaro che non avrebbero mai potuto accusarlo di avere rubato: era la sua parte, più un’aggiunta, perché non avrebbero dovuto cercare di fregarli così, lui e Laura. Lui era soltanto l’autista, però aveva fatto la sua parte, nella rapina. Aveva fatto tutto quello che gli aveva chiesto lei…

Al processo nessuno parlò della rapina, anche se tutti avrebbero voluto. Non potevano provare niente, se nessuno confessava. E nessuno confessò. L’accusa fu costretta ad accontentarsi delle lesioni personali ai danni di Powers e West. Mostrò le fotografie dei due uomini al loro arrivo nell’ospedale cittadino e Shadow non si difese, perché era più semplice. Né Powers né West sembravano in grado di ricordare quale fosse stato il motivo scatenante della rissa, però furono concordi nel riconoscere l’aggressore.

Nessuno parlò dei soldi.

Nessuno fece il minimo accenno a Laura, esattamente come voleva Shadow.

Si domandò se il sentiero delle bugie confortevoli sarebbe stato migliore. Si allontanò dalla strada di Eagle Point e seguendo il sentiero roccioso entrò in una stanza d’ospedale, un ospedale pubblico di Chicago, e sentì in bocca il sapore della bile. Si fermò. Non voleva vedere. Non voleva proseguire.

Nel letto d’ospedale sua madre stava morendo un’altra volta, com’era morta quando lui aveva sedici anni, infatti sì, eccolo lì, un sedicenne alto e goffo con la pelle color caffelatte deturpata dall’acne, seduto ai piedi del letto, incapace di guardarla, assorto nella lettura di un grosso tascabile. Shadow si domandò che libro fosse e fece il giro del letto per leggere il titolo. Si fermò tra letto e sedia guardando da uno all’altro, il ragazzone sprofondato nella sedia, il naso infilato nell’Arcobaleno della gravità, deciso a restare immerso in quella storia ambientata a Londra durante la Seconda guerra mondiale per sfuggire alla morte di sua madre. L’inventiva follia del romanzo non aveva rappresentato né una via di scampo né una scusa.

Gli occhi di sua madre erano chiusi nel sonno indotto dalla morfina: aveva creduto che si trattasse di un altro abbassamento di eritrociti, un altro periodo di dolore da sopportare, e invece avevano scoperto, troppo tardi, che si trattava di un linfoma. La sua pelle aveva una tonalità grigio-giallastra. A poco più di trent’anni sembrava molto vecchia.

Shadow avrebbe voluto riscuotersi, riscuotere quel ragazzo impacciato che era stato un tempo, costringerlo a prenderle una mano, a parlarle, a fare qualcosa prima che se ne andasse per sempre. Non poteva toccare se stesso. Continuò a leggere e sua madre morì con lui seduto accanto al letto, immerso nella lettura di un romanzone.

Dopo di allora aveva smesso di leggere. Non ci si può fidare dei libri. A che cosa servono, se non riescono a proteggerti da una cosa simile?

Shadow si allontanò dalla stanza d’ospedale, percorse il corridoio serpeggiante e si inoltrò nelle viscere della terra.

Riconosce subito sua madre e non riesce a credere quanto sia giovane, deve avere meno di venticinque anni, prima che il governo la congedasse per problemi di salute. Sono in casa, un altro appartamento dell’ambasciata da qualche parte nel Nord Europa. Lui si guarda intorno in cerca di un indizio e vede se stesso: un bambino piccolo con grandi òcchi grigio chiaro e i capelli scuri. Stanno litigando. Shadow non ha bisogno di sentire le parole per capire di che cosa discutono: era l’unico argomento su cui litigavano, dopotutto.

Parlami di mio padre.

È morto. Non farmi domande.

Chi era?

Dimenticalo. È morto e sepolto e non ci hai perso niente.

Voglio vedere una sua fotografia.

Non ho nessuna foto, dice lei a voce bassa e crudele e lui sa che se continuerà a fare domande lei si metterà a gridare o magari lo picchierà e siccome sa di non poter smettere con le domande si allontana lungo la galleria.

Il sentiero che stava seguendo curvò e serpeggiò ritornando su se stesso, come una pelle di serpente, viscere ritorte, tortuose radici di un albero, radici molto molto profonde. C’era una pozza d’acqua alla sua sinistra, sentiva lo sgocciolio da qualche parte in fondo alla galleria, gocce che increspavano appena la superficie specchiante. Si inginocchiò e bevve usando una mano per portare l’acqua alla bocca, poi proseguì finendo sotto le luci caleidoscopiche da discoteca di una sfera coperta di specchietti. Era come trovarsi nel centro esatto dell’universo, con tutte le stelle e i pianeti che giravano intorno, senza riuscire a sentire niente, né la musica né le conversazioni urlate sopra la musica, ed eccolo a fissare una donna che era esattamente come non era mai stata sua madre da quando l’aveva conosciuta lui, poco più di una bambina…