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«No» disse Shadow. «Va bene. Tocca a me.»

«Dunque?» ruggì Anubi.

«Adesso voglio riposare. Riposare e basta. Nient’altro. Né Paradiso, né Inferno. Niente. Solo che abbia fine.»

«Ne sei sicuro?» chiese Thoth.

«Sì» rispose Shadow.

Il signor Jacquel aprì l’ultima porta, dietro alla quale non c’era niente. Né tenebre. Né oblio. Soltanto il nulla.

Shadow l’accettò senza riserve, e varcò la soglia entrando nel nulla con una gioia strana e violenta.

17

In questo paese tutto è su larga scala. I fiumi sono immensi, il clima estremo, le possibilità sconfinate, i tuoni e i fulmini terrificanti. I disordini fanno tremare le istituzioni del paese. Errori, cattiva condotta, perdite, disgrazie, rovina, tutto è su larga scala.

LORD CARLISLE a George Selwyn, 1778

Il luogo più importante del Sudest degli Stati Uniti d’America viene pubblicizzato su centinaia di vecchi fienili in tutta la Georgia e il Tennessee su fino al Kentucky. Mentre percorre una strada che attraversa serpeggiando la foresta, può capitare che un viaggiatore passi davanti a un fatiscente fienile rosso e veda dipinte sul tetto le parole

VISITATE ROCK CITY
L’OTTAVA MERAVIGLIA DEL MONDO

e sul tetto di un diroccato mungitoio poco distante, dipinto a lettere cubitali bianche

AMMIRATE I SETTE STATI A ROCK CITY
LA MERAVIGLIA DEL MONDO

Il viaggiatore potrebbe immaginare che Rock City sia proprio dietro l’angolo, quando invece si trova a una giornata di viaggio, sulla Lookout Mountain, a un tiro di schioppo dal confine, in Georgia, appena a sudovest di Chattanooga, nel Tennessee.

Lookout Mountain non è una grande montagna, somiglia piuttosto a una collina imponente. I chickamauga, un ramo dei cherokee, vivevano qui, quando arrivarono gli uomini bianchi; chiamavano la montagna Chattanoogee, che significa la montagna che finisce a punta.

Negli anni Trenta del diciannovesimo secolo, l’Indian Relocation Act di Andrew Jackson li esiliò dalla loro terra — i choctaw e i chickamauga e i cherokee e i chickasaw — e le truppe statunitensi costrinsero tutti quelli che riuscirono a trovare a percorrere più di mille e cento chilometri fino ai cosiddetti nuovi Territori Indiani, che un giorno sarebbero diventati l’Oklahoma, lungo la cosiddetta pista del pianto: un caso di genocidio spontaneo. Migliaia di uomini, donne e bambini morirono sulla pista. Del resto se sei il vincitore fai quello che vuoi e nessuno può dirti niente.

Perché chi controllava la Lookout Mountain controllava la terra, o così voleva la leggenda. Era un luogo sacro, dopotutto, e sopraelevato. Durante la Guerra Civile, la guerra tra gli stati, vi si combatté una battaglia importante proprio il primo giorno: la Battaglia sopra le nuvole. L’esercito dell’Unione fece l’impossibile e senza aver nemmeno ricevuto l’ordine scalò il Missionary Ridge e lo conquistò. I nordisti presero la montagna e il Nord vinse la guerra.

Vi sono grotte e gallerie, in alcuni casi molto antiche, sotto la montagna. Adesso sono quasi tutte chiuse, anche se tempo fa un imprenditore della zona fece fare degli scavi per trovare la cascata sotterranea che chiamò Ruby Falls. La si può raggiungere con un ascensore. È una meta turistica, anche se il posto che attrae più gente qui è Rock City, proprio sulla vetta.

Rock City si sviluppa come un giardino ornamentale sul fianco di una montagna: per visitarla si imbocca un sentiero che passa attraverso, sopra e in mezzo alle rocce. Si può dare il mais ai daini chiusi in un recinto, attraversare una specie di ponte tibetano e, nei rari giorni di sole, quando l’aria è perfettamente limpida, ammirare con un binocolo, per la modica cifra di un quarto di dollaro, il promesso panorama dei sette stati. Da lì il sentiero — discesa in uno strano inferno — conduce milioni e milioni di visitatori ogni anno fino alle grotte, dove possono guardare le bambole illuminate da luci ultraviolette nei diorami con ambientazioni da favola. Se ne vanno poi molto sconcertati, incerti sul motivo del loro viaggio, su ciò che hanno visto, sul fatto di essersi divertiti oppure no.

Arrivarono a Lookout Mountain da ogni punto degli Stati Uniti. Non erano turisti. Arrivarono in automobile, in aeroplano, in autobus e in treno, a piedi. Alcuni di loro vennero in volo, volando basso e soltanto nelle ore più buie della notte. Altri percorsero segrete vie sotterranee. Molti fecero l’autostop, scroccando un passaggio a qualche motociclista nervoso o a un camionista. Se si incontravano lungo la strada, nelle stazioni di servizio o nei ristoranti, quelli che avevano mezzi propri offrivano un passaggio a chi procedeva a piedi. Raggiunsero la montagna che erano stanchi e coperti di polvere. Guardando in su verso il pendio alberato videro, oppure immaginarono di vedere, i sentieri, i giardini e la cascata di Rock City.

Cominciarono a presentarsi nelle prime ore del mattino; al crepuscolo giunse una seconda ondata. Continuarono ad arrivare per giorni. Un malconcio U-Haul scaricò alcune vila e rusalka sfinite dal viaggio, con il trucco sciolto, le calze smagliate, gli occhi pesanti.

In un fitto boschetto alle pendici della montagna un anziano wampyr offrì una Marlboro a una creatura scimmiesca coperta soltanto di un’arruffata peluria arancione, che accettò benevola. Fumarono la sigaretta insieme, in silenzio.

Una Toyota Previa si fermò sul ciglio della strada: ne scesero sette cinesi, tra uomini e donne. Ciò che colpiva soprattutto di loro era l’aspetto pulito: indossavano quel genere di abito scuro che in certi paesi è un po’ la divisa dei funzionari governativi di rango inferiore. Mentre dalla vettura venivano scaricate enormi sacche da golf che contenevano spade con le lame decorate e le else laccate, bastoni finemente incisi e specchi, uno di loro, che teneva un taccuino in mano, fece l’inventario. Le armi vennero distribuite, spuntate sul taccuino, e alla consegna ciascun cinese firmò una ricevuta.

Un ex attore comico piuttosto famoso, creduto morto negli anni Venti, scese dalla sua macchina arrugginita e cominciò a spogliarsi: aveva le zampe di capra, e una coda corta e caprina.

Arrivarono quattro messicani tutti sorridenti, con i capelli neri e unti: si passavano una bottiglia nascosta in un sacchetto di carta marrone che conteneva un miscuglio di cioccolata in polvere, liquore e sangue.

Un uomo di bassa statura con la barba scura e una bombetta sulla testa, i ricciuti payess alle tempie e un lacero scialle di preghiera, giunse a piedi attraverso i campi. Precedeva di qualche metro il suo compagno che era alto il doppio di lui e aveva il colore grigio della buona argilla polacca: la parola incisa sulla sua fronte significava vita.

Continuarono ad arrivare. Si fermò anche un taxi da cui scesero parecchi rakshasa, i demoni del subcontinente indiano. Si misero subito a gironzolare fissando tutti in silenzio fino a quando non trovarono Mama-ji, che a occhi chiusi muoveva le labbra come in preghiera. Era l’unica con qualcosa di familiare, tuttavia, ricordando le antiche battaglie, esitarono ad avvicinarla. Lei accarezzò la collana di teschi intorno al collo e la sua pelle scura a poco a poco diventò nera, nera come il giaietto, lucida come l’ossidiana: aveva tirato le labbra mostrando i denti bianchi e molto aguzzi. Aprì tutti i suoi occhi e accolse i rakshasa come figli.

I temporali scoppiati negli ultimi giorni a nord e a est non avevano allentato la pressione e il senso di disagio che aleggiava nell’aria. I meteorologi locali annunciavano la presenza di perturbazioni capaci di generare tornado, e zone stabili di alta pressione. Di giorno faceva abbastanza caldo, ma le notti erano fredde.