«Lei certamente comprende la necessità di avere una scorta, Nunzio!» gli disse il generale con una certa impazienza.

«È una città pericolosa, generale Denkam, sì, lo capisco. Pericolosa per chiunque. Vedo bande di giovani, come quelli che mi hanno aggredito, che spadroneggiano per le strade senza che la polizia possa fare più di tanto. Ogni bambino, ogni donna avrebbe bisogno di una guardia del corpo. Mi turba profondamente l'idea che quel che dovrebbe spettare di diritto a ciascun abitante debba essere un mio privilegio speciale.»

Il generale trasalì, ma non cedette le armi. «Non possiamo permettere che si faccia assassinare,» disse.

A Havzhiva non dispiaceva la brutale franchezza degli Yeowiani. «Non intendo affatto farmi assassinare,» rispose. «Avrei un suggerimento, generale. Ci sono delle donne-poliziotto, una divisione femminile del corpo di polizia cittadino, vero? Potreste scegliere tra di loro le mie guardie del corpo. In fin dei conti, una donna armata è altrettanto temibile di un uomo armato, no? E io sarei felice di rendere onore al grande contributo dato dalle donne alla conquista della libertà di Yeowe, come ha detto così elegantemente il Capo nel suo discorso di ieri.»

Il generale uscì con una faccia impietrita.

Havzhiva non amava particolarmente le sue guardie del corpo. Erano donne dure, rudi, scorbutiche, e parlavano un dialetto che capiva a malapena. Molte di loro avevano dei figli a casa, ma si rifiutavano di parlare della loro prole. Erano truci ed efficienti. Era ben protetto. Notò che, da quando andava in giro con queste guardie dallo sguardo di ghiaccio, la gente della città aveva cominciato a guardarlo con occhio diverso, divertito e amichevole. Sentì un vecchietto al mercato che diceva, «Quello lì è uno che se ne intende!»

Tutti chiamavano "Capo" il Capo, tranne che in sua presenza. «Signor Presidente,» disse Havzhiva, «non è affatto questione di principi dell'Ekumene o di tradizione hainese. Considerazioni del genere non hanno e non dovrebbero avere il minimo valore, la minima importanza qui su Yeowe. È il vostro mondo.»

Il Capo approvò energicamente.

«Nel quale,» continuò Havzhiva, che aveva sviluppato un'insuperabile facondia, «stanno cominciando ad arrivare emigranti da tutto Werel, e arriveranno sempre più numerosi dato che la classe dominante di Werel sta allentando la rigidità dei principi rivoluzionari permettendo a un numero sempre più ampio di membri delle classi inferiori di emigrare. Lei, signor Presidente, conosce meglio di me i vantaggi e i problemi che questo grande flusso di popolazione porterà qui a Yotebber. Per esempio, almeno metà degli immigranti saranno donne, e credo sarebbe utile riflettere sul fatto che esiste una considerevole discrepanza tra Werel e Yeowe in quel che viene definito il ruolo sociale dei due sessi, cioè le regole, le prospettive, il comportamento e le relazioni fra uomini e donne. Tra gli immigranti provenienti da Werel la maggior parte di quelli che contano, le autorità, saranno donne. Il Consiglio dell'Hame è formato per nove decimi da donne. I loro portavoce e gli incaricati delle trattative sono quasi tutti donne. Questa gente sta facendo il suo ingresso in una società governata e rappresentata esclusivamente da uomini. Temo che potranno verificarsi equivoci e conflitti, a meno che la situazione sia presa in esame in modo attento e tempestivo. Forse l'impiego di qualche donna in ruoli rappresentativi…»

«Fra gli schiavi del Vecchio Mondo i capi erano donne,» disse il Capo. «Fra la nostra gente sono gli uomini a fare i capi. Così stanno le cose. Gli schiavi del Vecchio Mondo saranno gli uomini liberi del Mondo Nuovo.»

«E le donne, signor Presidente?»

«Le donne di un uomo libero sono libere,» concluse il Capo.

«Bene, allora,» disse Yeron con uno dei suoi profondi sospiri, «credo che ci toccherà sollevare un po' di polvere»

«Da bravi polverosi,» aggiunse Dobibe.

«Allora sarà meglio sollevare un gran polverone,» disse Tualyan. «Perché, qualunque cosa facciamo, avranno un diavolo per capello. Urleranno e sbraiteranno di sterilizzare le stregacce lesbiche che ammazzano i bambini maschi. Se ci saranno cinque di noi a cantare una qualunque canzone, nelle reti neosensoriali diventerà una folla di cinquecento di noi armate di mitra e la fine della civiltà su Yeowe. Allora io dico: facciamolo! Scendiamo in cinquemila donne a cantare in corteo. Fermiamo i treni. Sdraiamoci sui binari. Cinquantamila donne sdraiate sui binari di tutta Yotebber! Che ve ne pare?»

L'incontro dell'Associazione per il Sussidio Didattico della Città e della Regione di Yotebber si svolgeva in un'aula di una delle scuole cittadine. Due delle guardie del corpo di Havzhiva, in borghese, aspettavano discretamente nell'ingresso. Quarantotto donne, insieme a Havzhiva, erano stipate su minuscole sedie collegate a schermi spenti.

«Quali richieste?» domandò Havzhiva.

«Il voto segreto!»

«Niente discriminazioni sul lavoro!»

«Essere pagate per il nostro lavoro!»

«Il voto segreto!»

«Assistenza per i bambini!»

«Il voto segreto!»

«Rispetto!»

Il taccuino automatico di Havzhiva si riempiva di segni all'impazzata. Le donne continuarono a urlare per un po', poi ripresero a discutere con calma. Una delle guardie del corpo si rivolse a Havzhiva mentre lo conduceva a casa, «Signore,» gli chiese, «erano tutte insegnanti?»

«Sì,» rispose lui, «in un certo senso.»

«Accidenti! Molto diverse da quelle di una volta!»

«Yehedarhed! Cosa diavolo ci faceva laggiù?»

«Prego, signora?»

«Era nei notiziari. Insieme a un milione di donne sdraiate sulle traversine delle rotaie, sulle piste di atterraggio, disposte a mo' di cordone sanitario intorno alla Residenza Presidenziale. Parlava con quelle donne e sorrideva!»

«Sarebbe stato difficile non farlo!»

«Quando il governo regionale comincerà a sparare, smetterà di sorridere?»

«Sì. È disposta ad appoggiarci?»

«Come?»

«Con parole di incoraggiamento alle donne di Yotebber da parte dell'Ambasciatore dell'Ekumene. Additando Yeowe come esempio di vera libertà per gli immigranti del Mondo Schiavo. Con parole di elogio per il governo di Yotebber. Additando Yotebber come esempio di moderazione e progresso per tutta Yeowe.»

«Certo. Spero che sia utile. È la rivoluzione, Havzhiva?»

«È educazione, signora.»

Il cancello era aperto in tutta la sua struttura massiccia, non c'erano pareti.

«Ai tempi della colonia,» disse l'Anziano, «questo cancello veniva aperto due volte al giorno: per far uscire la gente a lavorare la mattina, e per farla rientrare dal lavoro la sera. Tutto il resto del tempo era chiuso a chiave e sbarrato.» Mostrò la grande serratura rotta che pendeva dal lato esterno del cancello, le possenti sbarre arrugginite nei loro supporti. I suoi gesti erano solenni, misurati, come le parole, e di nuovo Havzhiva ammirò la dignità che quella gente aveva mantenuto nella degradazione, l'atteggiamento fiero rimasto inalterato durante, e contro, la loro schiavitù. Aveva cominciato ad apprezzare l'influenza del loro testo sacro, l'Arkamye, tramandato per tradizione orale. «Questo è tutto quel che avevamo. Questo era la nostra ricchezza,» gli aveva detto in città un vecchio, toccando il libro che stava imparando a leggere a sessantacinque o settant'anni.

Havzhiva stesso aveva cominciato a leggere il libro nella lingua originale. Lo leggeva lentamente, cercando di capire come questa narrazione di arduo coraggio e abnegazione avesse potuto formare ed educare per tre millenni le menti di un popolo in catene. Ritrovava spesso, nei suoi versetti, le voci che aveva udito durante il giorno.

Stava trascorrendo un mese di soggiorno nel villaggio tribale di Hayawa, che era stato il primo insediamento di schiavi della Corporazione delle Piantagioni Agricole di Yeowe e Yotebber, tre secoli e mezzo prima. In questa vasta regione remota della costa orientale, gran parte dell'assetto sociale e della cultura della schiavitù delle piantagioni era rimasta intatta. Yeron e altre donne del movimento di liberazione gli avevano suggerito che, se voleva capire chi fossero gli Yeowiani, doveva conoscere le piantagioni e le tribù.