«Non dovresti,» aggiunse il guaritore. «D'altra parte, forse è meglio così, dato che devi andare su Werel. Allora, addio per questa vita!»

Si abbracciarono formalmente, come si usa fra gli storici, specialmente quando, come in questo caso, si ha l'assoluta certezza di non rivedersi mai più. Quel giorno Havzhiva ebbe da dare e da ricevere un gran numero di abbracci rituali. Il giorno seguente s'imbarcò sul Terrazze di Darranda e attraversò il buio.

Yeowe

Durante il suo viaggio di ottanta anni-luce a velocità NAFAL, sua madre morì e anche suo padre, e Iyan Iyan e tutti quelli che aveva conosciuto a Stse, e quelli che conosceva a Kathhad e su Ve. Quando l'astronave atterrò, erano già morti da anni. Il figlio che Iyan Iyan aveva dato alla luce era vissuto, era invecchiato ed era morto.

Zhiv era convissuto con questa consapevolezza fin da quando aveva visto Tiu salire a bordo della sua astronave, lasciando lui a morire. Grazie al guaritore, ai quattro compagni che avevano cantato con lui, all'anziana signora e alle cascate di Tes, lui era sopravvissuto, ma era anche convissuto con quella consapevolezza.

Altri cambiamenti avevano avuto luogo. All'epoca in cui aveva lasciato Ve, il pianeta Yeowe, colonia di Werel, era un mondo tenuto in schiavitù, un immenso campo di lavoro. Quando arrivò su Werel, la Guerra di Liberazione era finita, Yeowe aveva dichiarato la sua indipendenza e l'istituto della schiavitù cominciava a sgretolarsi su Werel stesso.

Havzhiva avrebbe voluto essere testimone di questo processo tremendo e grandioso, ma l'ambasciata lo spedì prontamente su Yeowe. Un Hainese di nome Sohikelwenyanmurkeres Esdardon Aya lo aveva messo in guardia prima della sua partenza. «Se vuoi il pericolo, è pieno di pericoli,» disse, «e se cerchi la speranza è pieno di speranza. Werel si sta distruggendo, mentre Yeowe sta cercando di costruirsi. Non so se ci riuscirà, ma sai cosa ti dico, Yehedarhed Havzhiva? Grandi dèi si stanno scatenando su quei mondi!»

Yeowe si era liberato dei suoi Boss e Possidenti, delle Quattro Corporazioni che avevano diretto le grandi piantagioni di schiavi per trecento anni, ma anche dopo la fine dei trent'anni della Guerra di Liberazione la lotta non era cessata. Comandanti e signori della guerra che, dalla condizione di schiavi, erano saliti al potere durante la Liberazione, adesso combattevano per mantenere ed estendere quel potere. Opposte fazioni si erano scontrate sulla questione se cacciare per sempre gli stranieri dal pianeta o se ammettere gente degli altri mondi ed entrare a far parte dell'Ekumene. Gli isolazionisti erano stati infine sconfitti e una nuova ambasciata ecumenica era stata aperta nell'antica capitale coloniale. Havzhiva vi trascorse un certo tempo per imparare "la lingua e il galateo a tavola", come dicevano. Poi l'ambasciatore, una giovane terrestre scaltra di nome Solly, lo inviò in una regione meridionale chiamata Yotebber, che era in fermento per ottenere l'autonomia.

La storia è una vergogna! pensò Havzhiva mentre attraversava in treno quel mondo dal paesaggio devastato.

I capitalisti wereliani che avevano colonizzato il pianeta avevano sfruttato sia le sue risorse sia i loro schiavi, senza sosta e senza alcun criterio, in una lunga orgia di ricerca del profitto. Ci vuol del tempo a saccheggiare un mondo, ma si può fare. Lo smantellamento del suolo con le miniere e le coltivazioni intensive d'un solo prodotto avevano sfigurato e reso sterile la terraferma. I fiumi erano inquinati, privi di vita. Vaste tormente di polvere oscuravano l'orizzonte orientale.

I Boss avevano gestito le loro piantagioni tramite l'uso della forza e del terrore. Per più di un secolo vi avevano spedito soltanto schiavi maschi, li avevano fatti lavorare fino alla morte, importandone dei nuovi a seconda del bisogno. Le squadre di lavoro, in questi insediamenti di soli maschi, si erano strutturate secondo gerarchie di tipo tribale. In seguito, a causa dell'aumento del prezzo degli schiavi su Werel e del costo delle spedizioni, le Corporazioni cominciarono a comprare schiave per la colonia di Yeowe. Così, durante i due secoli seguenti, la popolazione degli schiavi aumentò, e furono fondate città di schiavi chiamate Proprietopoli e Polveronia, che si sviluppavano intorno ai vecchi insediamenti delle piantagioni. Havzhiva sapeva che il movimento di liberazione era partito dalle donne all'interno dei gruppi tribali, una ribellione contro il potere maschile, prima di trasformarsi in una guerra di tutti gli schiavi contro i padroni.

Il treno pigro si fermava in tutte le città: chilometri e chilometri di catapecchie e capanne, senza alberi, intere zone bombardate o incendiate durante la guerra e non ancora ricostruite, fabbriche, alcune delle quali solo rovine sventrate, altre funzionanti ma dall'aspetto antiquato, malandate, vomitanti fumo. A ogni stazione centinaia di persone scendevano dal treno o vi salivano, spingendosi, affollandosi, gridando offerte ai facchini, arrampicandosi sui tetti dei vagoni, brutalmente respinte a terra da guardie e poliziotti. Nella parte settentrionale del lungo continente, come su Werel, aveva visto molta gente dalla pelle nera, nerissima, ma via via che il treno procedeva verso sud ce n'erano sempre meno finché, a Yotebber, la gente dei villaggi e delle desolate lande lungo la ferrovia gli parve di pelle molto più chiara della sua, d'un colore azzurrognolo e opaco. Si trattava del "popolo della polvere", dei discendenti di centinaia di generazioni di schiavi wereliani.

Yotebber era stato uno dei centri che avevano dato inizio alla lotta di liberazione. I Boss vi avevano effettuato rappresaglie con bombe e gas venefici. Migliaia di persone erano morte. Intere città erano state bruciate per eliminare i cadaveri non sepolti di uomini e di animali. Alla foce del grande fiume si era formata una diga di corpi putrescenti. Ma tutto questo apparteneva al passato. Adesso Yeowe era libero, e nuovo membro dell'Ekumene dei Mondi. Havzhiva, nel suo ruolo di Vice-Nunzio, era in arrivo per aiutare la popolazione della regione di Yotebber a dare inizio alla sua nuova storia. Ovvero, dal punto di vista di un Hainese, a ricollegarsi alla storia del passato.

Fu ricevuto alla stazione di Città di Yotebber da una gran folla in agitazione, urlante e festante, dietro transenne controllate da poliziotti e soldati. Dinanzi alle transenne c'era una delegazione di autorità che indossavano splendidi mantelli, emblemi del loro grado e uniformi variamente decorate. Erano quasi tutti grandi, maestosi, molto appariscenti. Ci furono discorsi di benvenuto, cronisti e fotografi per i notiziari della olorete e delle emittenti neosensoriali. Non ci fu confusione, comunque. Quei personaggi maestosi tenevano la situazione sotto controllo. Volevano che il loro ospite sentisse di essere benvenuto, di essere ben accetto, di essere, come aveva detto il Capo nel suo discorso conciso ed eloquente, il "nunzio del futuro".

Quella notte, nel suo lussuoso appartamento nel palazzo di uno dei possidenti della città trasformato in albergo, Havzhiva pensò, Se sapessero che il loro uomo del futuro è cresciuto in un villaggio e non ha mai visto una trasmissione neosensoriale prima di venire qui…

Sperava di non deludere quella gente. Fin da quando aveva fatto per la prima volta la loro conoscenza su Werel gli erano piaciuti, nonostante il loro sistema sociale abnorme. Erano ricchi di energia vitale e orgoglio e, qui su Yeowe, anche di aneliti di giustizia. Havzhiva considerava la giustizia alla stessa stregua di quell'antico Terrestre che aveva detto, a proposito di un dio a lui estraneo: Ci credo perché è impossibile. Dormì bene e si svegliò di buon'ora, nel mattino luminoso e tiepido, pieno di aspettative. Uscì per cominciare a esplorare la città, la sua città.

Il portiere (era sconcertante pensare che gente che aveva combattuto così strenuamente per la propria libertà mantenesse impieghi di tipo servile) tentò in tutti i modi di convincerlo a prendere una vettura, una guida, evidentemente sconvolto dall'idea che un personaggio così importante potesse uscire tanto di buon'ora, a piedi, senza una scorta. Mentre usciva, il disgraziato portiere gli gridò dietro, «Oh, signore, non entri nel parco, mi raccomando, signore!»