L'alterazione genetica che permetteva agli Hainesi di controllare la propria fertilità non era una semplice questione di ingegneria genetica, ma prevedeva una profonda ristrutturazione radicale della fisiologia umana, che aveva probabilmente richiesto venticinque generazioni per attuarsi. Almeno questa è l'opinione degli storici di Hain che pensano di conoscere, in termini generali, le fasi attraverso cui tale trasformazione aveva avuto luogo. Quali che fossero le pratiche degli antichi Hainesi, non le avevano comunque trasmesse ai loro colonizzati. Avevano invece lasciato che le popolazioni dei mondi colonizzati trovassero modi autoctoni per la risoluzione del Primo Problema Eterosessuale. Svariati e ingegnosi furono, naturalmente, i metodi trovati, ma ognuno di essi prevedeva, per evitare il concepimento, o un'azione da compiersi prima o dopo, oppure l'assunzione o l'uso di qualcosa. Oppure avere rapporti con Hainesi.

Zhiv si era sentito offeso una volta che una ragazza di Beidane gli aveva chiesto come faceva a esser tanto sicuro di non metterla incinta. «Come fai a esserne certo?» gli chiese. «Sarà bene che prenda la mia solita cosa, tanto per stare più tranquilla.» Colpito nel cuore della sua mascolinità, Zhiv si divincolò da lei dicendo, «Starai ancora più tranquilla senza di me!» E se ne andò a grandi passi. Nessun'altra, per fortuna, mise mai più in dubbio il suo privilegio genetico, e continuò a passar di donna in donna finché incontrò Tiu.

Non era Aliena. Lui aveva sempre cercato donne di altri mondi. Per aggiungere un tocco di esotismo alla trasgressione o, per dirla in altre parole, per allargare il campo della propria conoscenza, com'è dovere di uno storico. Ma Tiu era hainese. Era nata e cresciuta su Darranda, come i suoi antenati prima di lei. Era una figlia di storici come lui era un figlio del popolo. Si rese conto ben presto che la loro origine comune, seppur diversa, creava un'attrazione ben più forte di qualunque fascino esotico, che la loro disuguaglianza era autentica diversità e la loro affinità un vero legame di parentela. Tiu rappresentava il paese per scoprire il quale Zhiv aveva dovuto abbandonare il proprio. Lei era quello che lui avrebbe desiderato essere. Era quello che lui desiderava.

Lei aveva il dono, così almeno sembrava a Zhiv, del perfetto equilibrio. Stando con lei aveva provato la sensazione, per la prima volta nella vita, di imparare a camminare. Camminare come faceva lei, con la scioltezza e disinvoltura di un animale e tuttavia conscia e vigile, prestando attenzione a tutto ciò che avrebbe rischiato di farle perdere l'equilibrio, e usandolo come un acrobata sulla fune usa la sua lunga pertica… Questa, pensò, è una conoscitrice della vera libertà di spirito, è una donna libera di esprimere tutta la sua umanità, la quintessenza della misura e della grazia.

Era assolutamente felice quand'era con lei, non domandava di meglio che stare assieme a lei. A lungo Tiu rimase guardinga nei suoi confronti, gentile ma distante. Un ragazzo di villaggio, uno che confondeva suo zio con suo padre, ecco che cos'era lui qui, agli occhi dei malevoli e dei timorosi del diverso. Nonostante la loro conoscenza dei diversi stili di vita umani, gli storici non avevano superato l'umana tendenza all'intolleranza. Tiu non aveva pregiudizi, ma cos'aveva lui da offrirle? Lei aveva, ed era, tutto. Perché l'avrebbe dovuto guardare? Se soltanto gli avesse permesso di guardarla, di stare insieme a lei, non avrebbe desiderato altro.

Lei lo aveva guardato, le era piaciuto, lo aveva trovato interessante e un po' inquietante. Aveva notato come lui la desiderava, come aveva bisogno di lei, come l'aveva messa al centro della propria vita senza neanche rendersene conto. Non andava bene. Aveva cercato di essere fredda, di allontanarlo. Lui si era adeguato. Non era stato a supplicare. S'era tenuto lontano.

Ma dopo quindici giorni era tornato da lei e le aveva detto, «Tiu, non posso vivere senza di te». Sapendo che Zhiv diceva la pura verità, lei aveva risposto, «Allora vivi con me per un po'». Le era mancato l'ardore che emanava dalla sua presenza. Tutti gli altri sembravano così tranquilli, così misurati.

I loro incontri amorosi erano piacere immediato, immenso, continuo. Tiu era stupita di se stessa, dell'attrazione folle che provava per Zhiv, della capacità che aveva quell'uomo di mandarla in orbita. Non aveva mai immaginato che cosa significasse adorare qualcuno, men che meno essere adorata. Aveva condotto una vita ordinata, nella quale il controllo era personale e interiore, non sociale ed esterno com'era stato per Zhiv a Stse. Sapeva che cosa voleva essere e che cosa voleva fare. C'era in lei una direzione precisa che avrebbe sempre seguito, come il nord l'ago di una bussola. Il loro primo anno insieme fu una serie continua di cambiamenti e di ribaltamenti del loro rapporto, una sorta di eccitante danza d'amore, imprevedibile, estasiante. Poi lei cominciò poco per volta a resistere al coinvolgimento, all'intensità, all'estasi. Era molto piacevole ma era sbagliato, pensava. La direzione del suo ago magnetico interno la stava portando di nuovo lontano da lui, e lui stava lottando con tutto il suo essere per trattenerla.

Zhiv era appunto impegnato in questa lotta al termine di una lunga giornata di viaggio nel deserto di Asu Asi su Ve, sotto la loro tenda fabbricata a Gethenia, miracolosamente calda. Un vento secco, gelido, fischiava fra le alture di roccia rossa sopra di loro. Erano state levigate dall'incessante soffio del vento fino a una levigatezza smaltata, e solcate da ampie tracce geometriche di una civiltà scomparsa.

Potevano sembrare fratello e sorella, mentre sedevano al chiarore della stufa di Chabe: identico era il loro colorito bruno-rossastro, identici i folti, lucidi capelli neri, e la corporatura snella e solida. La serietà e la calma da uomo di villaggio nella voce e nei gesti di Zhiv facevano da contrappunto all'eloquenza, spigliatezza e vivacità di Tiu.

Ora però Tiu stava parlando lentamente, quasi con sforzo. «Non costringermi a scegliere, Zhiv,» disse. «È da quando ho iniziato i miei studi che desidero andare su Terra. Da prima ancora. Fin da bambina. Tutta la vita. Adesso mi si offre la realizzazione del desiderio e dello scopo che perseguo da sempre. Come puoi chiedermi di rifiutare?»

«Non te l'ho chiesto.»

«Ma vuoi che rimandi la cosa. Se lo facessi, potrei perdere per sempre questa opportunità. O forse no. Ma perché correre il rischio, per un anno? Mi puoi raggiungere tu l'anno prossimo!»

Lui non disse nulla.

«Se t'interessa,» aggiunse lei con voce dura. Era sempre stata fin troppo pronta a rinunciare a ogni pretesa su di lui. Forse non aveva mai creduto fino in fondo al suo amore. Non si considerava tanto amabile, così degna della sua appassionata devozione. Ne era spaventata, si sentiva inadeguata, in una posizione falsa. La sua autostima era limitata all'intelletto. «Mi tratti come se fossi un dio,» gli aveva detto una volta, e non aveva capito quando lui aveva risposto, con gioiosa solennità, «Noi due insieme siamo un dio».

«Mi dispiace,» le stava dicendo adesso. «È un modo diverso di considerare le cose. Superstizione, se vuoi. Non ci posso far nulla, Tiu. Terra si trova a centoquaranta anni-luce di distanza. Se parti, quando sarai arrivata io sarò morto.»

«Non è vero! Avrai vissuto qui ancora per un anno, sarai in viaggio per laggiù, e arriverai un anno dopo di me!»

«Lo so. Queste cose si imparano perfino a Stse,» replicò Zhiv, paziente. «Ma io ho le mie superstizioni. Saremo morti l'uno per l'altro, se parti. Questo dovresti averlo imparato perfino a Kathhad.»

«No. Non è vero. Come puoi chiedermi di rinunciare a questa opportunità per qualcosa che tu stesso riconosci essere una superstizione? Sii onesto, Zhiv!»

Dopo un lungo silenzio, lui chinò il capo.

Lei rimase seduta, esterrefatta dalla sua vittoria. Una vittoria amara.