Sapeva che gli insediamenti erano stati abitati, durante il primo secolo, da soli uomini, senza donne e senza bambini. Avevano sviluppato un'autorità interna, una gerarchia rigida basata sulla forza e sul favoritismo. Si conquistava il potere superando prove e cimenti, e lo si manteneva trovandosi un equilibrio tra autonomia e compromesso. Quando alla fine vennero introdotte le schiave, esse furono inserite in questo schema rigido come schiave degli schiavi. Sia dai compagni di schiavitù che dai padroni erano usate come serve e come sfoghi sessuali. Fedeltà sessuale e situazioni di coppia venivano riconosciute solo tra uomini: legami intrisi di passione, patteggiamenti, affermazione sociale e politica tribale. Durante il secolo seguente la presenza dei bambini negli insediamenti aveva ampliato e diversificato i costumi tribali, ma il sistema di predominio maschile, così conveniente per gli schiavi-padroni, non era essenzialmente mutato.

«Speriamo di avere la sua presenza all'iniziazione di domani,» disse l'Anziano col suo fare solenne, e Havzhiva gli assicurò che sarebbe stato più che felice di assistere a una cerimonia di tale importanza. L'Anziano espresse una contentezza sobria quanto visibile. Era un uomo di più di cinquant'anni, il che significava che era nato schiavo e che aveva vissuto l'adolescenza e la maturità negli anni della Liberazione. Havzhiva controllò se aveva cicatrici, memore delle parole di Yeron, e le vide. L'Anziano era magro, macilento, zoppo e privo dei denti superiori, l'intero corpo segnato dalla carestia e dalla guerra. Aveva anche cicatrici rituali: quattro strisce parallele in rilievo che partivano dal collo per arrivare al gomito disegnando sulla punta delle clavicole come delle specie di lunghe spalline, e un occhio blu scuro tatuato sulla fronte, simbolo per la sua tribù di comando conferito e irrevocabile. Un capo schiavo, un uomo in catene padrone di altri uomini in catene, finché le mura non erano state abbattute.

L'Anziano imboccò un sentiero fra il cancello e la casa comune, e Havzhiva nel seguirlo notò che nessun altro usava quel sentiero: uomini, donne e bambini corricchiavano tutti su una via più ampia e parallela, che deviava poi verso un diverso ingresso della casa comune. La via più corta era riservata al solo capo.

Quella notte, mentre i ragazzi che dovevano essere iniziati il giorno seguente digiunavano e vegliavano nei quartieri delle donne, tutti i capi e gli anziani si radunarono per un festino. C'erano strabocchevoli quantità del cibo indigeribile cui gli Yeowiani erano avvezzi, condito con spezie e riccamente guarnito, il riso di palude che era la base della loro cucina tutto impreziosito con colori ed erbe, con in cima la carne. Le donne andavano e venivano servendo portate sempre più elaborate e sempre più cariche di carne: carne di armenti, il cibo dei Boss, simbolo sicuro e tangibile di libertà.

Havzhiva non era cresciuto mangiando carne, ed era quasi certo che gli avrebbe fatto venire la diarrea, ma affrontò virilmente la lunga serie di stufati e grigliate, ben conscio del significato del cibo e del valore dell'abbondanza per chi non aveva conosciuto altro che la penuria.

Dopo che grandi ceste di frutta ebbero rimpiazzato i vassoi, le donne scomparvero e cominciò la musica. Il capo tribale fece cenno al suo "leos" (parola che significa favorito sessuale, fratello adottivo, non-figlio, non-erede). Il giovane, di sfrontata bellezza e animo gentile, sorrise, batté una volta le mani affusolate, poi cominciò a strofinare lievemente le palme grigio-bluastre in un ritmo appena cadenzato. Appena i convitati fecero silenzio cantò, ma in un sussurro.

Gli strumenti musicali erano stati proibiti in molte piantagioni, molti Boss non avevano permesso il canto, eccezion fatta per gli inni in onore di Tual nelle cerimonie celebrate ogni decimo giorno. Uno schiavo sorpreso a sprecare in canzoni il tempo della Corporazione rischiava una sorsata di acido giù per la gola. Se doveva lavorare, che bisogno c'era di produrre rumori inutili?

In queste piantagioni gli schiavi si erano inventati questa musica quasi silenziosa: il tocco e lo sfioramento di palma contro palma, una lunga melodia appena accennata, appena variata. Le parole del canto erano deliberatamente spezzate, distorte, divise in modo da suonare incomprensibili. "Shesh" l'avevano chiamata i possidenti, immondizia, e gli schiavi erano autorizzati a "sfregare le mani e cantare la loro immondizia", purché lo facessero così piano da non poter essere uditi al di là delle mura dei loro recinti. Avendo cantato così per trecento anni, continuavano adesso allo stesso modo.

Per Havzhiva era snervante, quasi minaccioso. Nuove voci entravano l'una dopo l'altra, sempre in un sussurro, accrescendo la complessità del ritmo finché l'accavallarsi delle note si distendeva in un unico ordito sommesso e sibilante attraversato da una trama melodica di note tetratonali prolungate, abbinate a sillabe che parevano sempre sul punto di unirsi in una parola compiuta, ma senza arrivarci mai. Soggiogato, quasi perduto in quel suono, Havzhiva continuava a pensare: Adesso qualcuno di loro alzerà il tono, adesso il leos esploderà in un grido di trionfo, dando libero sfogo alla sua voce! Ma non lo fece. Nessuno lo fece. La musica sommessa, simile allo scorrere dell'acqua nelle sue infinite, impercettibili variazioni, continuò all'infinito. Bottiglie di vino di Yote di colore arancio furono fatte passare lungo il tavolo. Tutti bevvero. A sazietà, finalmente. Si ubriacarono. Risate e grida cominciarono a interrompere la musica. Ma nessuno mai cantava al di sopra di un sussurro.

Rientrarono tutti nella casa attraverso il sentiero del capo, abbracciandosi, bisbigliando amichevolmente, e qua e là qualcuno sostava per vomitare. Un tipo gentile, dalla pelle scura, che a tavola era seduto vicino a Havzhiva, lo raggiunse nel suo letto nell'alcova della casa comune.

Poco prima, durante la serata, costui lo aveva informato che durante la notte e il giorno dell'iniziazione ogni rapporto eterosessuale era proibito, perché avrebbe alterato la struttura energetica. L'iniziazione sarebbe stata sfalsata, i ragazzi avrebbero rischiato di non diventare buoni membri della tribù. Solo una strega, è ovvio, avrebbe deliberatamente infranto il tabù, ma molte donne erano streghe, e avrebbero potuto cercare di sedurre un uomo con intento malevolo. Il rapporto normale, cioè quello omosessuale, avrebbe rafforzato le energie, fatto procedere regolarmente l'iniziazione, conferito ai ragazzi la forza per affrontare il cimento. Pertanto ogni uomo, all'uscita del banchetto, doveva avere un compagno per la notte. Havzhiva era contento di esser stato affidato a quel tale e non a uno dei capi, che l'avrebbe intimidito e che si sarebbe aspettato da lui una prestazione energica e adeguata. Stando così le cose, per lo meno da quanto riuscì a ricordare la mattina dopo, lui e il suo compagno erano stati troppo ubriachi per combinare un granché, ma si erano addormentati nel bel mezzo di mirate carezze.

Già sapeva che il troppo vino di Yote lasciava tremendi cerchi alla testa, e al suo risveglio il suo cranio confermò tale informazione.

A mezzogiorno il suo nuovo amico lo accompagnò al posto d'onore nella piazza che si stava riempiendo di uomini. Dietro di loro si ergevano le case comuni degli uomini, e di fronte stava il fossato che separava la zona delle donne, la più interna, da quella degli uomini, o del cancello. Era così chiamata nonostante che le mura dell'abitato non esistessero più e non restasse che il cancello, come un monumento, a torreggiare sopra le capanne e le case comuni e i bassi campi di grano che si stendevano in tutte le direzioni, lucenti nella calura senza vento e senz'ombra.

Dalle capanne delle donne uscirono sei ragazzi, correndo fino al fossato. Era più largo di quanto potesse saltare un tredicenne, secondo Havzhiva, ma due dei ragazzi ce la fecero. Gli altri quattro si lanciarono con audacia, spiccarono un balzo troppo corto, poi si inerpicarono fuori dal fosso. Uno di loro zoppicava, forse si era rotto una gamba o un piede nella caduta. Ma perfino i due che avevano eseguito il salto con successo avevano l'aria esausta e spaurita, e tutti e sei erano terrei per il digiuno e per la veglia. Gli anziani li circondarono e li disposero in fila sulla piazza, nudi e tremanti, di fronte alla platea di tutti gli uomini della tribù.