«Firmo subito» affermò Rachel, scherzando solo in parte.
Pickering, imperturbabile, le rivolse un'occhiata severa. «Una parola di avvertimento, agente Sexton. Se ritiene che i sentimenti personali verso suo padre possano influenzare i rapporti con il presidente, le consiglio vivamente di declinare l'invito.»
«Declinare?» Le sfuggì una risatina nervosa. «È evidente che non posso dire di no al presidente.»
«Lei no» ribatté Pickering «ma io sì.»
Le parole rimasero sospese per qualche istante, ricordandole l'altra ragione per cui il direttore veniva definito il Quacchero. Malgrado l'esile corporatura, William Pickering poteva provocare un terremoto politico, se contrastato.
«Le mie preoccupazioni sono semplici. Ho il dovere di proteggere i miei collaboratori e non tollero neppure il vago sospetto che uno di loro venga usato come pedina nel gioco politico.»
«Che cosa mi suggerisce di fare?»
Pickering sospirò. «Incontri il presidente, ma senza prendere impegni. Quando le dirà che cosa diavolo ha in mente, mi telefoni. Se avrò l'impressione che la stia usando, si fidi di me: la tirerò fuori tanto in fretta da non lasciargli il tempo di rendersene conto.»
«Grazie, signore.» Rachel avvertì nel direttore quell'atteggiamento protettivo che tanto avrebbe voluto riscontrare nel padre. «Mi ha detto che il presidente ha già mandato una macchina?»
«Non esattamente.» Accigliato, Pickering indicò al di là della finestra.
Rachel gli si avvicinò titubante e guardò nella direzione segnalata dal dito teso di Pickering.
Fermo sul prato, c'era un Pave Hawk MH-60G dal muso corto e arrotondato, uno degli elicotteri più veloci mai costruiti. Sul fianco spiccava lo stemma della Casa Bianca. Il pilota, in piedi accanto al velivolo, stava guardando l'orologio.
Rachel si voltò incredula verso Pickering. «La Casa Bianca ha mandato un Pave Hawk per portarmi a Washington, a soli venticinque chilometri da qui?»
«Evidentemente il presidente intende fare colpo su di lei, oppure intimidirla.» Pickering la fissò. «Mi auguro che non si lasci impressionare.»
Rachel annuì. Si sentiva al tempo stesso colpita e intimidita.
Quattro minuti più tardi, Rachel Sexton uscì dall'NRO e si imbarcò sull'elicottero che l'attendeva. Prima ancora che si fosse allacciata la cintura, il Pave Hawk aveva già preso quota e sorvolava i boschi della Virginia. Rachel osservò gli alberi sfocati sotto di lei e sentì accelerare il battito cardiaco. Battito destinato ad accelerare ancora di più se lei avesse saputo che quell'elicottero non avrebbe mai raggiunto la Casa Bianca.
5
Il vento gelido scuoteva il tessuto della tenda termica, ma Delta-Uno non vi prestava attenzione. Insieme a Delta-Tre osservava il compagno manovrare il joystick con l'abilità di un chirurgo. Sullo schermo davanti a loro, scorrevano le immagini riprese dalla telecamera di precisione montata su un microscopico robot.
"L'ultimo ritrovato in fatto di dispositivi di spionaggio" pensò Delta-Uno, ancora stupito ogni volta che lo azionavano. Negli ultimi tempi, nel campo della micromeccanica la realtà sembrava avere superato la fantascienza.
I microbot — o Micro-Electro-Mechanical Systems (MEMS) — erano un sofisticato strumento di spionaggio tecnologico. "Mosche sul muro" venivano chiamati.
Una definizione letterale.
Anche se i microscopici robot telecomandati sembravano uscire dalla fantascienza, in realtà erano in circolazione dagli anni Novanta. Nel maggio 1997, in un articolo di copertina la rivista "Discovery" aveva presentato modelli sia "volanti" sia "natanti". I natanti, nanosottomarini delle dimensioni di un granello di sale, potevano essere iniettati in vena come nel film Viaggio allucinante. Ormai impiegati da strutture ospedaliere all'avanguardia, consentivano ai medici di navigare nelle arterie mediante un telecomando, osservare dall'interno la circolazione sanguigna e localizzare occlusioni arteriose senza neppure sollevare un bisturi.
Diversamente da quanto si potrebbe supporre, costruire un microbot volante era ancora più semplice. Le tecniche aerodinamiche per far librare una macchina erano disponibili fin dai tempi di Kitty Hawk, dove effettuavano i loro esperimenti di volo i fratelli Wright, e l'ultimo problema da risolvere era la miniaturizzazione. I primi microbot volanti, progettati dalla NASA come strumenti di esplorazione a distanza per le missioni su Marte, erano lunghi parecchi centimetri. Ma, ormai, i progressi della nanotecnologia, i materiali ultraleggeri ad assorbimento energetico e la micromeccanica avevano reso i microbot volanti una realtà.
Il vero passo in avanti era venuto dalla biomimica, una nuova scienza che studia come imitare il modello di madre natura. Si era scoperto che le riproduzioni in miniatura delle libellule erano il prototipo ideale per questi agili ed efficienti microbot. Il modello PH2, in quel momento azionato da Delta-Due, era lungo un solo centimetro — le dimensioni di una zanzara — e usava due paia di ali trasparenti in lamina di silicio, che gli conferivano mobilità ed efficienza straordinarie nell'aria.
Il meccanismo di alimentazione del microbot era stato un'altra fantastica invenzione. I primi prototipi potevano ricaricare le loro batterie volteggiando direttamente sotto una fonte di luce, il che non li rendeva utilizzabili in ambienti bui o per azioni clandestine. I prototipi più recenti, invece, erano in grado di ricaricarsi semplicemente stazionando a pochi centimetri da un campo magnetico. Fortunatamente, nella società moderna i campi magnetici sono presenti ovunque e situati in posti accessibili: prese elettriche, monitor di computer, motori elettrici, altoparlanti, cellulari. Le postazioni per la ricarica non mancano mai. Una volta introdotto in un locale, un microbot può trasmettere praticamente a tempo indefinito. Il PH2 della Delta Force trasmetteva senza difficoltà già da una settimana.
Ora, come un insetto dentro un cavernoso granaio, il silenzioso microbot si librava nell'aria ferma della grande sala centrale della struttura. Con una visione panoramica dello spazio sottostante, sorvolava gli ignari occupanti: tecnici, scienziati, specialisti in innumerevoli campi di studio. Mentre il PH2 volava in tondo, Delta-Uno individuò due volti familiari impegnati in una conversazione. Potevano rivelarsi una fonte di informazioni interessanti. Ordinò a Delta-Due di abbassare il robot per ascoltare.
Azionando i comandi, Delta-Due accese i sensori sonori, orientò l'amplificatore parabolico e guidò il congegno tre metri sopra la testa degli scienziati. Le voci arrivavano deboli, ma comprensibili.
«Stento ancora a crederci» stava dicendo uno dei due. Nel tono, la stessa emozione di quando era arrivato, quarantotto ore prima.
Il suo interlocutore condivideva in pieno il suo entusiasmo. «Nella tua vita… avresti mai immaginato di assistere a una cosa del genere?»
«Mai» rispose il primo, raggiante. «È un sogno meraviglioso.»
Delta-Uno aveva sentito abbastanza. Era chiaro che tutto procedeva come previsto, laggiù. Delta-Due fece allontanare il microbot dai due scienziati e lo guidò nel nascondiglio. Parcheggiò il minuscolo congegno vicino al cilindro di un generatore elettrico. Le batterie cominciarono immediatamente a ricaricarsi in vista della missione successiva.