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«Per intimidirmi?»

«Al contrario; in segno di rispetto, signora Sexton. La Casa Bianca è costantemente sotto i riflettori, e la notizia di un incontro tra noi l'avrebbe messa in una posizione imbarazzante con suo padre.»

«Apprezzo molto il suo riguardo, signore.»

«A quanto pare, lei riesce a destreggiarsi con garbo in una situazione assai delicata e io non voglio nuocerle in alcun modo.»

Rachel rivide una breve immagine dell'incontro con il padre a colazione e pensò che difficilmente il suo comportamento poteva essere definito garbato. Ma Zach Herney stava facendo di tutto per essere gentile, anche se non ne aveva certo il dovere.

«Posso chiamarla Rachel?» le chiese.

«Certo.» "E io posso chiamarla Zach?"

«Il mio ufficio» annunciò il presidente, aprendo una porta di acero intagliato.

L'ufficio a bordo dell'Air Force One era certamente più intimo dell'omologo alla Casa Bianca, malgrado l'austerità dell'arredamento. Dietro la scrivania, ingombra di carte, un grande dipinto a olio raffigurava una classica goletta a tre alberi, completamente invelata, che avanzava faticosamente in una furibonda tempesta. Una perfetta metafora della presidenza di Zach Herney in quel momento.

Il presidente le offrì una delle tre poltroncine davanti alla scrivania. Rachel si sedette, sicura che lui avrebbe preso posto dietro il tavolo e non al suo fianco, come invece fece.

"Una posizione di parità. Il principio fondamentale per stabilire un rapporto."

«Bene, Rachel.» Herney trasse un sospiro carico di stanchezza. «Immagino che lei sia un po' frastornata per il fatto di trovarsi qui. Ho ragione?»

Quel che restava della diffidenza di Rachel si sgretolò davanti al candore di quella voce. «Per la verità, signore, sono assolutamente sconcertata.»

Herney scoppiò in una fragorosa risata. «Fantastico. Non capita tutti i giorni di sconcertare un esponente dell'NRO.»

«Come non capita tutti i giorni agli esponenti dell'NRO di essere invitati a bordo dell'Air Force One da un presidente che indossa scarpe sportive.»

Il presidente rise di nuovo.

Qualche colpetto leggero alla porta annunciò l'arrivo del caffè. Una hostess entrò con un bricco fumante e due tazze di peltro. A un cenno del presidente, posò il vassoio sulla scrivania e sparì.

«Latte e zucchero?» Il presidente si alzò per servirla.

«Solo latte, grazie.» Rachel annusò il ricco aroma. "Il presidente degli Stati Uniti in persona che mi versa il caffè?"

Zach Herney le porse la pesante tazza. «Autentiche Paul Revere. Uno dei piccoli lussi che mi sono concessi.»

Rachel sorseggiò la bevanda. Non aveva mai assaggiato un caffè così buono.

«Bene» disse il presidente, riempiendosi a sua volta la tazza prima di rimettersi a sedere «ho poco tempo, quindi è meglio arrivare subito al dunque.» Lasciò cadere una zolletta di zucchero nel caffè e la guardò. «Immagino che Bill Pickering l'avrà messa in guardia sostenendo che se desideravo incontrarla era soltanto per sfruttarla ai miei fini politici.»

«È esattamente quello che ha detto.»

Il presidente si mise a ridere. «Sempre cinico.»

«Dunque sbagliava?»

«Sta scherzando? Bill Pickering non sbaglia mai. Ha fatto centro come al solito.»

9

Gabrielle Ashe guardava distrattamente fuori dal finestrino della limousine che avanzava lenta nel traffico del mattino. Si chiese come diavolo fosse riuscita ad arrivare tanto in alto, nella vita. Assistente personale del senatore Sedgewick Sexton. Era esattamente quello che aveva sognato, no?

"Sono in limousine con il futuro presidente degli Stati Uniti."

Guardò il lussuoso allestimento della macchina e poi il senatore, che sembrava perso nei suoi pensieri. Ammirò i suoi bei tratti e l'abito elegante. Un'aria decisamente presidenziale.

La prima volta che l'aveva sentito parlare, tre anni prima, lei stava per laurearsi in scienze politiche. Non avrebbe mai dimenticato quel suo modo di fissare il pubblico, come se mandasse un messaggio personale a ciascuno: "Fidati di me". Dopo il discorso, Gabrielle si era messa in coda per esprimergli la sua ammirazione.

«Gabrielle Ashe» aveva detto il senatore, leggendo sul cartellino. «Un bel nome per una bella donna.» Il suo sguardo l'aveva rassicurata.

«Grazie, senatore» aveva risposto lei, notando la stretta di mano decisa. «Il suo messaggio mi ha davvero colpito.»

«Ne sono lieto!» Sexton le aveva messo in mano un biglietto da visita. «Sono sempre in cerca di giovani dalla mente sveglia che condividono la mia visione. Quando finisci l'università, fatti viva. I miei collaboratori potrebbero avere un lavoro per te.»

Gabrielle stava per ringraziarlo, ma il senatore si era già rivolto alla persona in coda dietro di lei. Ciononostante, nei mesi successivi, Gabrielle si era ritrovata a seguire alla televisione la carriera di Sexton. Piena di ammirazione, lo sentiva stigmatizzare la spesa eccessiva del governo e invocare tagli di bilancio, un uso più efficiente delle risorse fiscali, una riduzione dei finanziamenti alla DEA e perfino l'abolizione dei programmi ridondanti della pubblica amministrazione. Poi, quando la moglie del senatore era morta in un incidente stradale, Gabrielle lo aveva osservato con trepidazione affrontare con atteggiamento positivo quella disgrazia. Sexton si era risollevato dal dolore personale per dichiarare al mondo la sua intenzione di candidarsi alla presidenza e dedicare il resto della sua carriera politica alla memoria della moglie. Era stato in quel preciso istante che Gabrielle aveva deciso di partecipare attivamente alla sua campagna.

E adesso, era arrivata quanto più possibile vicino a lui.

Ricordò la notte trascorsa con Sexton nel suo lussuoso ufficio e si sentì sprofondare. Cercò di scacciare dalla mente quelle immagini imbarazzanti. "Ma cosa mi è saltato in testa?" Avrebbe dovuto resistere, ma in qualche modo si era trovata nell'impossibilità di farlo. Sedgewick Sexton era da tanto tempo il suo idolo e rendersi conto che desiderava proprio lei…

La limousine prese una buca, riportando i suoi pensieri al presente.

«Tutto bene?» le chiese Sexton, che la stava osservando.

Gabrielle si affrettò a sfoderare un sorriso. «Benissimo.»

«Non starai per caso pensando ancora a quella bufala, vero?»

Si strinse nelle spalle. «Per la verità sono abbastanza preoccupata.»

«Dimenticala. In realtà è stato il più grande regalo che abbiano fatto alla mia campagna elettorale.»

Una bufala, aveva appreso Gabrielle a proprie spese, era l'equivalente politico della falsa soffiata che il tuo rivale in amore usa un estensore del pene o è abbonato alla rivista "Passere e stalloni". Non era una tattica straordinaria, ma quando pagava, pagava bene.

Talvolta, però, si ritorceva contro l'autore stesso…

E proprio questo era accaduto. Contro la Casa Bianca. Circa un mese prima, lo staff presidenziale, preoccupato per i sondaggi che davano Herney in calo, aveva adottato una strategia aggressiva mettendo in circolazione una storia che molti sospettavano vera, e cioè che il senatore Sexton avesse una relazione con la sua assistente personale, Gabrielle Ashe. Senza avere, però, nessuna prova. Il senatore Sexton, convinto sostenitore che la miglior difesa è un duro attacco, aveva colto al volo l'occasione. Convocata una conferenza stampa nazionale, aveva proclamato la propria innocenza e la propria indignazione, con gli occhi addolorati fissi sulla telecamera. "Non riesco a credere che il presidente disonori la memoria di mia moglie con queste spregevoli menzogne."

La performance televisiva del senatore era stata talmente convincente che la stessa Gabrielle aveva quasi cominciato a dubitare che fossero davvero andati a letto insieme. Ma notando con quanta facilità mentiva, si era anche resa conto che Sexton poteva essere una persona pericolosa.