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— Loro non possono vederci, ma… — Bothari tirò fuori dal rotolo del sacco a pelo un vecchio binocolo, prelevato dall’abitazione di Kly. — Noi possiamo vedere loro.

Il binocolo era fatto di tubolari e lenti di vetro, un primitivo collettore di luce puramente «passivo». Doveva risalire all’Era dell’Isolamento. L’ingrandimento era scarso per gli standard moderni: niente UV o infrarossi, niente messa a fuoco automatica… e neppure microcellule sensibili alle fonti di energia. Distesa sull’addome, col mento su un sasso, Cordelia poteva vedere sia la casupola che l’ingresso della caverna alla base della parete di roccia, più indietro e in alto fra gli alberi. Quando sibilò: — Ora dobbiamo stare zitti come pietre! - Gregor, già pallido per la tensione, ebbe appena la forza di annuire.

Gli uomini in uniforme nera finirono per trovare i cavalli, anche se parvero metterci un’eternità. Poi scoprirono l’ingresso della caverna. Le loro figurette gesticolarono eccitate, corsero dentro e fuori e quindi chiamarono il velivolo, che atterrò quasi di fronte all’apertura schiacciando un bel po’ di cespugli. Quattro uomini entrarono; uno restò di guardia all’esterno. Da lì a poco arrivò in zona una vettura antigravità, seguita da un aereo più capace, da trasporto. Venticinque o trenta uomini armati balzarono al suolo e la montagna li ingoiò quasi tutti. Pochi minuti più tardi un altro grosso velivolo atterrò sul pianoro. Ne fu scaricato un generatore e gli uomini cominciarono a stendere cavi e montare fari, lampade e impianti di comunicazione.

Cordelia aprì il sacco a pelo perché Gregor stesse più comodo; gli diede un po’ di frutta secca e gli fece bere un sorso d’acqua dalla bottiglia. Bothari s’era coperto la testa con la vecchia giacca e anche da vicino avrebbe potuto esser scambiato per un macigno, a un primo sguardo. Sembrava finalmente deciso a dormire un po’. Mentre l’uomo sonnecchiava Cordelia tenne il conto dei soldati che davano loro la caccia. A mezzogiorno calcolò che nelle caverne ne fossero entrati quarantadue, nessuno dei quali era ancora riapparso.

Un’ora dopo due di loro furono condotti fuori in barella, trasferiti a bordo di un aereo e portati via in volo. Stavano però arrivando altri mezzi. Un piccolo velivolo cercò di atterrare nello spazio già troppo affollato davanti alla caverna, stroncò un albero, slittò giù lungo il pendio e si capovolse fra i cespugli. Dieci o dodici uomini dovettero impegnarsi duramente per tirarlo fuori, e l’operazione richiese tempo. Al crepuscolo oltre sessanta uomini erano stati risucchiati dalle viscere della montagna. Un’intera compagnia distolta da altri compiti alla capitale, non occupata nell’inseguimento di altri fuggiaschi o nella ricerca dei segreti dell’Ospedale Militare Imperiale… anche se, ahimè, questo non bastava a fare nessuna vera differenza.

È un inizio.

Nella penombra Cordelia, Gregor e Bothari scivolarono fuori dalla spaccatura, abbandonarono in silenzio il pendio roccioso e presero per i boschi. Era già buio quando, girando verso Passo Aime, sbucarono sulla pista che portava alla casupola di Kly. Da quella posizione si poteva vedere il pianoro, e Cordelia si fermò un momento. La zona di fronte alla caverna brulicava di luci. Velivoli di ogni dimensione continuavano ad atterrare e a decollare, nella foschia.

Dietro il Passo scesero per il lunghissimo pendio che due giorni prima aveva ridotto al lumicino le forze di Cordelia e stremato i cavalli. Cinque chilometri più avanti, in una zona rocciosa dove crescevano radi cespugli, Bothari si fermò all’improvviso. — Sshh. Ascolti, milady.

Voci. Voci di uomini non distanti da lì, ma con una strana eco. Cordelia si guardò attorno nel buio; nulla si muoveva. Accovacciati a lato della pista tesero gli orecchi.

Bothari si rialzò, girò la testa qua e là, poi uscì di strada. Dopo qualche momento Cordelia lo seguì, tenendo Gregor per mano, e vide che era andato a chinarsi sul bordo di una buca. Il sergente le fece cenno di avvicinarsi.

— È un foro d’aerazione — sussurrò. — Non fate rumore.

Le voci erano molto più chiare, e venivano dal basso. Borbottavano di malumore, imprecando in due o tre lingue diverse.

— Dannazione, caporale, ti dico che abbiamo girato a sinistra tre volte. Da qui si torna indietro.

— No, lei si confonde. Due volte a sinistra, poi a destra, poi ancora a sinistra.

— Ma questo corso d’acqua l’abbiamo già attraversato.

— Non era lo stesso maledetto corso d’acqua, sabaki!

— Merde. Perdu.

— Tenente, lei è un cretino.

— Caporale, io ti faccio sbattere in cella! Chiaro?

— La pila di questa torcia è scarica. Non durerà un’ora. Guardi che luce debole sta facendo.

— E tu non sbatterla a quel modo, imbecille. Credi che farà più luce, se adesso la spacchi?

— Le pile di ricambio le ha tenute quel bastardo di Morakis. Appena lo ritrovo, io gli…

I denti di Bothari biancheggiarono nel buio. Era il primo sorriso che Cordelia vedeva sulla sua faccia da mesi. In punta di piedi si allontanarono, e le voci divennero un mormorio sempre più fioco nella notte che avvolgeva i Monti Dendarii.

Quando furono sulla pista Bothari sospirò. — Se solo avessi avuto una granata da buttare in quella buca. Fra una settimana le loro squadre sarebbero ancora lì a spararsi addosso a vicenda.

CAPITOLO TREDICESIMO

Dopo quattro ore di marcia alla debole luce delle stelle, videro apparire più avanti un piccolo cavallo bianco e nero. Il Postino Kly era appena un’ombra sulla sella, ma Cordelia riconobbe subito la sua figura magra e trasandata.

— Milady! Sergente! — esclamò il vecchio. — Siete vivi, grazie al cielo!

— Così pare — disse Bothari con voce piatta. — Cosa le è successo, maggiore?

— Sono finito fra due squadre di Vordariani, mentre consegnavo la posta in una fattoria. Stanno frugando le colline casa per casa, e iniettano a tutti quelli che incontrano una dose di penta-rapido. Devono averne usato a barili, di quella roba.

— La aspettavamo ieri pomeriggio — disse Cordelia, cercando di non avere un tono accusatore.

Il cappello di feltro di Kly si mosse su e giù. — Sì, questo era il programma, se non fosse stato per le squadre di Vordarian. Non potevo rischiare che mi interrogassero. Dovevo aggirarli. Ho mandato il marito di mia nipote ad avvertirvi, ma lui è arrivato a casa mia dopo mezzogiorno e i soldati erano già lì. Mi sono detto che tutto era perduto. Poi, invece, quando abbiamo visto che al tramonto non se ne andavano, ho ripreso coraggio. Non sarebbero rimasti là, se vi avessero trovati. Così ho pensato di venire da queste parti a dare un’occhiata. Ma non speravo di trovarvi.

Kly fece girare il cavallo e li affiancò. — Qui, sergente, metti il bambino in groppa.

— Posso portarlo in braccio. Credo che sia meglio se fa salire la mia Lady, maggiore. È sfinita.

Fin troppo vero. Cordelia era così stanca che perfino un cavallo le sembrava un dono del cielo. Fra lui e Bothari, Kly riuscì a tirarla sulla groppa calda dell’animale, dietro di sé. Cordelia si aggrappò alla ruvida blusa del postino e ripresero la marcia verso valle.

— Come avete fatto a scappare? — volle sapere Kly.

Cordelia lasciò che a rispondere fosse Bothari, in brevi frasi che il passo rapido con cui doveva star dietro al cavallo rese ancora più succinte. Quando raccontò degli uomini che avevano sentito parlare dal foro d’aerazione, Kly latrò una risata. Subito però il vecchio tacque, guardandosi attorno. — Bene. Staranno laggiù per settimane, se credono di trovarvi nelle caverne. Ottimo lavoro, sergente.

— È stata un’idea di Lady Vorkosigan.

— Ah. — Kly si volse a mezzo, alitando fiato odoroso di foglia-gomma sulla faccia di Cordelia. — Davvero?

— Aral e Piotr sembravano del parere che le diversioni servano a qualcosa — spiegò lei. — Ho pensato che Vordarian non dispone di un illimitato numero di uomini.