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— Non esattamente, milady. Ha detto che ci sono passaggi che vanno avanti per chilometri sotto le montagne. Era tardi, e aveva fretta di tornare indietro.

— È un sistema orizzontale o verticale? Lo ha detto?

— In che senso, milady?

— Tutto sullo stesso livello, oppure con pozzi e arrampicate? Ci sono molti vicoli ciechi? Che strada dovremmo prendere? Esistono fiumi sotterranei?

— Credo che pensasse di farci lui da guida, se fosse necessario fuggire nelle caverne. Stava per spiegarmi qualcosa, poi ha detto che era troppo complicato.

Lei si accigliò, riflettendo sulle varie possibilità. Durante l’addestramento per la Sorveglianza aveva fatto un po’ di lavoro anche nel sottosuolo, abbastanza da capire che l’esplorazione delle caverne poteva essere molto pericolosa. Cedimenti del terreno, crepacci, strettoie, labirinti in cui nessuno strumento aiutava a mantenere il senso della direzione… e inoltre l’improvviso alzarsi e abbassarsi delle acque sotterranee, problema questo che non riguardava Colonia Beta. La notte prima aveva piovuto. Non c’erano sensori capaci di rintracciare chi si perdeva sotto terra, e se quel sistema di caverne era vasto come diceva Kly, poteva inghiottire decine di squadre mandate alla ricerca di qualcuno… Il suo cipiglio si mutò lentamente in un sorriso.

— Sergente, stanotte ci accamperemo qui.

A Gregor la caverna piacque, specialmente quando Cordelia gli ebbe raccontato la storia di quel posto. Si aggirò per la caverna mormorando ordini a guerriglieri immaginari, fingendo di sparare a nemici in agguato, saltando dentro e fuori dalle nicchie e fermandosi a leggere faticosamente le parole incise sulle pareti. Non potendo censurarle Cordelia si affidò alla speranza che non le capisse. Bothari andò a prendere i sacchi a pelo e altre cose nella baracca, distante circa duecento metri, e s’incaricò del primo turno di guardia. Cordelia arrotolò uno dei sacchi a pelo intorno ai loro rifornimenti di cibo, facendone un fagotto che lasciò accanto all’ingresso. Sistemò la blusa nera di Aral in una nicchia, col nome «A. VORKOSIGAN» bene in vista, come se qualcuno l’avesse usata per sedercisi sopra e poi dimenticata lì nella fretta di scappare. Da ultimo, ordinò a Bothari di sellare i cavalli, ancora troppo stanchi per essere usati, e di legarli a un alberello all’esterno.

Mezzora dopo Cordelia emerse da uno dei passaggi interni dopo essere andata a deporre una torcia a luce fredda quasi scarica a duecento metri da lì, dove una vecchia scala di corda — di cui non aveva osato saggiare la resistenza — conduceva più in basso.

— Ancora non capisco, milady — obiettò Bothari. — Coi cavalli impastoiati giusto qui fuori, se qualcuno viene a cercarci troverà questa roba e saprà subito dove siamo andati.

— Trovare la roba, sì — disse Cordelia. — Sapere dove siamo andati, no. Perché, senza Kly, non ho la minima intenzione di portare Gregor in questo labirinto. Ma il modo migliore di mandarci qualcun altro è di lasciargli capire che siamo stati qui dentro.

Negli occhi di Bothari ci fu una scintilla di comprensione, mentre guardava i cinque cunicoli che sparivano nell’oscurità verso l’alto o verso il basso. — Ah!

— Purtroppo dovremo trovare un sentiero che ci riporti indietro e di nuovo sulla strada, per aspettare il passaggio di Kly da qualche altra parte. Vorrei averci pensato finché c’era ancora luce.

— Capisco quel che intende, milady. Cercherò una pista agibile.

— Vedi cosa puoi fare, sergente.

Lui prese il loro fagotto e sparì all’esterno. Cordelia mise a letto Gregor nel sacco a pelo; poi uscì dalla caverna, cercò un sasso su cui sedersi e guardò le colline. Da lì poteva vedere il pianoro sotto il Passo Aime, fra i Monti Dendarii, e il tetto della casupola di Kly oltre le cime degli alberi. Dal camino non si alzava neppure un filo di fumo. Nessun sensore poteva rilevare attraverso la roccia il fuoco acceso nella caverna, anche se un buon naso avrebbe sentito da lontano l’odore di legna bruciata, in quell’aria fredda. Cordelia scrutò il cielo alla ricerca di luci in movimento finché le stelle cominciarono a confondersi nei suoi occhi.

Bothari fece ritorno dopo un paio d’ore. — Ho trovato un percorso. Ci muoviamo subito?

— Aspettiamo. Kly potrebbe ancora farsi vivo. — Ammanettato?

— Vada a dormire un po’, milady.

— Sì. — Il movimento di quel pomeriggio le aveva sciolto ì muscoli. Lasciò Bothari di guardia all’antro, come un cerbero, e raggiunse Gregor nel sacco a pelo.

Quando si svegliò era l’alba, e davanti al largo ingresso della caverna stagnava una nebbiolina grigia. Bothari fece il thè; si divisero il pane duro avanzato dalla sera prima e mangiarono un po’ di frutta secca.

— Hai dormito? — s’informò lei.

— No. Non riesco a prendere sonno senza le mie medicine, ma non importa.

— Medicine?

— Sì. Ho lasciato le pillole a Vorkosigan Surleau. Mi sento la mente più chiara. Tutto sembra… troppo nitido, perfino.

Cordelia ammorbidi il pane inzuppandolo nel thè di erbe, ne masticò un boccone e si chiese se la medicina di Bothari fosse un calmante, un inibitore chimico o soltanto una cura psicosomatica. — Se hai l’impressione di sentirti strano, dimmelo — azzardò, cautamente.

— Finora sto bene. A parte l’insonnia. Il dottore ha detto che le pillole servono a farmi dormire senza sogni. — Finì il suo thè e tornò al suo posto di guardia.

Cordelia evitò di fare pulizia intorno al fuoco. Accompagnò Gregor al più vicino torrentello per lavargli la faccia e si accorse che non era solo il bambino a puzzare di sudore. Stavano diventando montanari autentici anche nell’odore. Tornati nella caverna si sdraiarono di nuovo nel sacco a pelo, perché faceva freddo, e lei si sentì in colpa. Bothari aveva bisogno di riposare. Andiamo, Kly! Dove sei finito?

La voce del sergente echeggiò fra le pareti di roccia: — Milady. Altezza Reale. Uscite, presto!

— C’è Kly?

— No.

Cordelia rotolò fuori dal sacco a pelo, diede un calcio al mucchietto di terra che aveva preparato accanto al fuoco, coprendo le ultime braci; poi prese Gregor e lo portò fuori in fretta. Il bambino tremava, infreddolito e spaventato. Bothari stava gettando alcune cose nelle borse, dopo aver slegato i cavalli, e le accennò di non far rumore. Lei salì sulle rocce a lato della caverna e gettò uno sguardo oltre le cime degli alberi. Di fronte alla casupola di Kly era atterrato un aereo. Due soldati in uniforme nera stavano girando a destra e a sinistra; un terzo sparì sotto la veranda. Soffocato dalla distanza giunse il tonfo della porta spalancata da un calcio. Soltanto soldati; nessuna guida del luogo, nessun montanaro prigioniero in quel velivolo. Kly non c’era.

Bothari prese in spalla Gregor come un sacco e si allontanarono fra la vegetazione a passo svelto. Vedendo che Rose intendeva seguirli Cordelia si voltò e agitò le braccia, sussurrando freneticamente: — No! Vattene via, stupido animale! — per spaventarla. Rose esitò, poi girò su se stessa e tornò accanto all’altro cavallo.

La loro marcia era veloce e silenziosa. Bothari aveva già studiato il percorso e preso nota delle rocce e dei cespugli dietro cui potevano restare fuori vista. Salirono e scesero fra le irregolarità del pendio, allontanandosi trasversalmente dal pianoro, e quando ormai Cordelia aveva il fiato mozzo, in una zona dove i loro inseguitori avrebbero forse potuto vederli, Bothari scomparve su per un ripido lastrone di granito.

— Salga quassù, milady. Presto!

Lo trovò disteso in una spaccatura orizzontale alta poco più di mezzo metro e profonda tre. Strisciò dentro carponi e si trovò circondata dalla roccia su tutti i lati salvo che sul davanti, dove c’erano comunque abbastanza sassi e detriti da nascondere sia loro che le borse da sella.

— Non c’è da stupirsi — ansimò, — che i cetagandani abbiano avuto dei guai, da queste parti. — Un sensore termico avrebbe dovuto essere puntato dritto su di loro per individuarli, e questo soltanto da una ventina di metri di distanza e al livello del suolo. Dal cielo sarebbe stato impossibile. La zona brulicava di anfratti e crepacci dello stesso genere.