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Lei gli restituì il cenno del capo. — Buongiorno, signora Hysopi. Come luccica la sua casa, oggi. — Il pavimento e i semplici mobili lustrati a mano con cera e straccio scintillavano in modo quasi commovente. Da brava vedova di un militare, la signora Hysopi sapeva come affrontare un’ispezione. — Ho appena dato alla piccola il biberon… poco fa le ho fatto il suo bagnetto. Da questa parte, signor dottore, prego. Spero che troverà che tutto va bene…

La donna li guidò su per una scala stretta. Al piano superiore c’erano una camera da letto, ovviamente la sua, e un’altra, con una luminosa finestra che guardava il lago, di recente trasformata in una nursery. Una pargoletta bruna dai grandi occhi castani borbottava fra sé, fra le morbide coltri di una culla. — Eccola qui, la nostra piccolina — cinguettò la signora Hysopi, prendendola in braccio. — Come si dice al tuo paparino? Ciao, papà, eh, Elena? Non si dice ciao al tuo papà, eh? Oh… non dici niente? Mmh…

Bothari fece appena un passo oltre la soglia, scrutando con attenzione la piccola. — Mi sembra che la sua testa sia cresciuta, dall’ultima volta — disse, dopo qualche secondo.

— Cresce sempre, fra i tre e i quattro mesi — lo tranquillizzò saggiamente la signora Hysopi.

Il Dr. Henry aprì la borsa sul tavolo; la donna poggiò la bambina su un panno bianco e la spogliò. Mentre i due cominciavano a parlare di feci e di orine Bothari si aggirò qua e là, guardando gli oggetti ma senza toccare nulla. Massiccio e imponente, militaresco nella sua livrea marrone, sembrava incombere minaccioso sui piccoli oggetti e indumenti della bambina, ordinatamente deposti nella stanza. Il soffitto era così basso che la sua testa lo sfiorava. D’un tratto lo colse il dubbio d’essere d’impaccio e tornò alla porta.

Cordelia guardava incuriosita, al di sopra delle spalle di Henry e della signora Hysopi. La piccola Elena agitava le gambette, cercando di girarsi su un fianco. Bambini. Presto ne avrebbe avuto uno anche lei. Come in risposta a quel pensiero, nel suo addome ci fu un palpito. Il piccolo Piotr Miles non era, fortunatamente, neppure abbastanza forte da uscire attraverso un sacchetto di carta, ma se continuava ad essere così vivace negli ultimi due mesi le avrebbe fatto fare notti bianche. Cordelia rimpiangeva di non aver seguito un corso per genitori su Colonia Beta, anche se negli ultimi anni non avrebbe comunque potuto prendersi una licenza abbastanza lunga. Ma i genitori barrayarani sembravano capaci di farne a meno. La signora Hysopi aveva imparato dalla pratica, tirando su tre figli ormai già grandi.

— Straordinario — commentò il Dr. Henry scuotendo il capo, mentre annotava dati su un minicomputer da tasca. — Il suo sviluppo è assolutamente normale, per quel che posso dire. Nulla farebbe supporre che sia uscita da un simulatore uterino.

— Anch’io sono uscita da un simulatore uterino — gli fece notare Cordelia, divertita. Henry si volse e la guardò, involontariamente, da capo a piedi, come se fosse sorpreso di vedere che non aveva antenne o chele da insetto. — L’esperienza betana dimostra che non conta da dove si arriva qui, ma cosa accade dopo l’arrivo.

— Giusto. — Il medico si accigliò. — Lei ha sostenuto un controllo genetico? È esente da difetti originati in vitro?

— Con tanto di certificato — annuì lei.

— Noi abbiamo bisogno di questa tecnologia — sospirò lui, rimettendo i suoi strumenti nella borsa. — La bambina sta bene. Può rivestirla — disse alla signora Hysopi.

Quando la piccola fu deposta nella culla Bothari si chinò per guardarla meglio, con una ruga pensierosa fra le sopracciglia. Allungò una mano a sfiorarle delicatamente una guancia, appena con un dito, poi si sfregò i polpastrelli del pollice e dell’indice come per saggiare la differenza fra quella pelle così morbida e la sua. La signora Hysopi lo guardò, ma non disse nulla.

Poco dopo, mentre Bothari si tratteneva in casa per regolare la spettanza mensile della signora Hysopi, Cordelia e il Dr. Henry scesero a piedi verso il lago, seguiti da Droushnakovi.

— Quando quei diciassette simulatori uterini arrivarono all’OMI, mandati da una struttura medica in zona di guerra — disse Henry, — io ne restai, francamente, molto perplesso. Perché salvare quei feti non voluti, e ad un costo simile? E perché li scaricavano sul mio dipartimento? Ma da allora ho imparato parecchio, milady. Ho perfino studiato la possibilità di usarli per la crescita di tessuti, per i trapianti su pazienti ustionati. Ci sto lavorando adesso. Il progetto è stato approvato solo una settimana fa. — Il suo sguardo s’illuminò mentre riassumeva i particolari della cosa, che a Cordelia apparve più pratica appena ebbe capito l’idea.

— Mia madre si occupa d’ingegneria chirurgica e impianti medici, all’Ospedale Silica — disse a Henry, appena l’uomo tacque per riprendere fiato e scrutare la sua reazione. — Lavora a tempo pieno su problemi di questo genere.

— Sul serio? — Henry raddoppiò le sue spiegazioni.

Poco più avanti Cordelia salutò per nome due donne, e fermandosi a scambiare qualche parola le presentò educatamente al Dr. Henry.

— Sono mogli di armieri giurati del Conte Piotr — lo informò, mentre proseguivano.

— Avrei pensato che preferissero abitare alla capitale.

— Alcune lo fanno, altre stanno bene qui. Dipende dai gusti. Il costo della vita è più basso, da queste parti. E quegli uomini sono pagati meno di quanto io avrei immaginato. In campagna la gente è ancora un po’ sospettosa verso le città. È convinta che là si faccia una vita poco sana. E sregolata. — Scosse il capo, sorridendo. — Forse non hanno torto. Uno dei nostri uomini, mi è stato detto, ha due mogli; una in paese e una in città. Nessuno dei suoi colleghi lo ha ancora tradito.

Henry inarcò un sopracciglio. — Se la spassa, allora.

— Non proprio. È cronicamente in bolletta, e ha sempre un’aria un po’ preoccupata. Ma non sa decidere a quale delle due rinunciare. Pare che le ami molto entrambe.

Mentre il Dr. Henry parlava con un vecchio che oziava sul molo per informarsi se lì era possibile affittare una barca, Droushnakovi si rivolse a Cordelia, a bassa voce. Sembrava a disagio.

— Milady… in nome del cielo, com’è possibile che il sergente Bothari abbia una figlia? Voglio dire, non è mica sposato, no?

— Pensi che gliel’abbia portata la cicogna? — sorrise lei.

— Ah.

Dal suo cipiglio, Cordelia capì che la ragazza non lo giudicava un argomento su cui si poteva scherzare. Non poteva biasimarla. Come posso spiegarglielo? sospirò fra sé. — In effetti gli è arrivata in volo — disse. — Il suo simulatore uterino è giunto qui da Escobar con un corriere veloce, dopo la fine della guerra. La gestazione della piccola è terminata in un laboratorio dell’OMI, con la supervisione del dottor Henry.

— È davvero figlia di Bothari?

— Oh, sì. Geneticamente certificata. È così che l’hanno identificata i… — Cordelia s’interruppe a metà della frase. Non era suo diritto parlarne, neppure con lei.

— Ma cos’è questa faccenda dei diciassette simulatori? E perché la bambina era finita in un simulatore? Era… un esperimento?

— Trasferimento di placenta. Un’operazione delicata, anche per gli standard galattici, ma tutt’altro che sperimentale. Se proprio vuoi saperlo… — Cordelia fece una pausa, pensando a come poteva fare. — Ti dirò la verità. — Ma non tutta. - La piccola Elena è la figlia di Bothari e di una giovane ufficialessa di Escobar, di nome Elena Visconti. Bothari… la amava… la amava molto. Ma alla fine della guerra lei non volle trasferirsi con lui su Barrayar. La bambina era stata concepita in… uh, stile barrayarano, e fu trasferita nel simulatore quando loro si separarono. C’erano stati altri casi analoghi. Tutti i simulatori furono mandati all’Ospedale Militare Imperiale, che era interessato a questa tecnologia. Dopo la guerra Bothari è rimasto… sotto cure mediche per un periodo abbastanza lungo. Ma quando è stato dimesso, e la bambina è nata, lui l’ha presa con sé.