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Più tardi, sotto il portico occidentale, intanto che aspettavano le loro auto, Cordelia si trovò accanto a Koudelka. Il tenente si volse a gettare uno sguardo indietro, verso il salone, da cui giungevano ancora musica e chiacchiere d’immutata intensità.

— Piaciuta la festa, Kou? — s’informò lei.

— Come? Oh, sì. È fantastico essere qui. Quando mi arruolai nel Servizio non lo avrei neppure sognato. — Sbatté le palpebre. — E ci sono stati momenti in cui sognavo a malapena di restare vivo. — Poi aggiunse, notando un filo di malizia nel sorriso di Cordelia: — A volte vorrei che assieme a ogni donna fosse accluso un manuale d’istruzioni.

Lei rise forte. — Io potrei dire lo stesso per gli uomini.

— Ma lei e l’ammiraglio Vorkosigan… voi siete diversi.

— Non… non proprio. Abbiamo imparato dall’esperienza, forse. C’è gente che non lo fa.

— Pensa che io abbia qualche possibilità di fare una vita normale? — Abbassò gli occhi, poi si volse a guardare nel buio.

— Tu gioca le tue carte, Kou. E quando sei in ballo non tirarti indietro.

— Mi sembra di sentir parlare l’ammiraglio.

Il mattino dopo, quando Illyan passò da Casa Vorkosigan per il rapporto giornaliero del capoguardia, Cordelia lo prese da parte.

— Mi dica una cosa, Simon. Vidal Vordarian è sulla sua lista breve o su quella lunga?

— Sulla lista lunga ci sono tutti — sospirò lui.

— Vorrei che lo trasferisse su quella breve.

Lui la scrutò un poco. — Perché?

Cordelia esitò. Non voleva rispondere «intuizione», anche se in effetti era soltanto a livello subliminale che lo sentiva. — Mi sembra che abbia la mentalità dell’assassino. Dell’uomo che colpisce l’avversario anche alle spalle, quando è in gioco il potere.

Illyan ebbe un sorrisetto. — Mi scusi, milady, ma questo non corrisponde al Vordarian che conosco io. Lo definirei piuttosto uno che affronta gli avversari a cornate, apertamente.

Fino a che punto doveva sentirsi ferito, fino a che punto doveva ardere di desiderio un impetuoso per trasformarsi in un uomo capace di agire nell’ombra? Cordelia non era sicura. Forse, ignorando quanto era profondo l’affetto fra lei e Aral, Vordarian non aveva neppure capito come fosse stato maligno il suo attacco. E l’ostilità personale non andava necessariamente al passo con quella politica. No, no, si ripeté. L’odio di quell’individuo era profondo, e il pugnale delle sue insinuazioni, anche se aveva colpito una corazza, era stato diretto a un bersaglio calcolato.

— Lo metta sulla lista breve — insisté.

Illyan alzò una mano, non solo per placarla: dalla sua espressione lei capì che una catena di pensieri si metteva in moto.

— Va bene, milady.

CAPITOLO SESTO

Cordelia guardava l’ombra dell’aereo sul territorio sotto di loro; una sottile freccia puntata verso sud. La freccia ondeggiava e si distorceva sui campi delle fattorie, sul greto dei torrenti, sugli argini dei fiumi e sulle curve della strada carrozzabile… una strada sterrata, antica, la cui possibile evoluzione era stata interrotta dal repentino sviluppo dei trasporti aerei giunto con la tecnologia galattica, alla fine dell’Era dell’Isolamento. Nodi di tensione si scioglievano nel suo collo ad ogni chilometro che metteva fra sé e l’atmosfera mai troppo tranquilla della capitale. Un giorno in campagna era un’ottima idea, una pausa gradita. Avrebbe voluto che Aral la condividesse con lei.

Il sergente Bothari, scorgendo un qualche punto di riferimento nel territorio, fece inclinare l’aereo in una larga curva. Droushnakovi, seduta accanto a lei, s’irrigidì per non finirle addosso. Il Dr. Henry, sulla poltroncina del secondo pilota, osservava il panorama con interesse uguale a quello di Cordelia.

Il medico girò la testa per guardarla. — Sono lieto che mi abbia invitato a pranzo, milady. Essere ospiti della residenza privata dei Vorkosigan è un raro privilegio.

— Sul serio? — disse Cordelia. — So che il Conte non riceve molto; ma altri appassionati di cavalli, i suoi amici, capitano lì spesso. Animali interessanti. — Cordelia esitò un momento, poi decise che il Dr. Henry avrebbe capito da solo che «animali interessanti» si riferiva ai cavalli, non agli amici. — Provi a lasciar trapelare un accenno della stessa passione, e probabilmente il Conte Piotr la condurrà di persona a visitare le scuderie.

— Non ho mai incontrato il generale. — Il Dr. Henry parve a disagio a quella prospettiva, e si passò un dito nel colletto dell’uniforme verde. Come medico impegnato nella ricerca tecnologica all’Ospedale Militare Imperiale, Henry aveva a che fare con gente d’alto rango abbastanza spesso da non esserne intimidito. Forse sentiva il peso della storia barrayarana legata al nome del vecchio Conte.

Piotr s’era guadagnato il suo attuale grado militare già all’età di ventidue anni, combattendo contro i cetagandani nella feroce guerriglia che aveva insanguinato la regione dei Monti Dendarii, in quel momento visibili appena come ombre grigioline sull’orizzonte, a meridione. Il grado era tutto ciò che l’allora Imperatore Dorca Vorbarra poteva dargli: interventi più tangibili come rifornimenti, rinforzi e soldi per pagare gli uomini erano fuori questione in quelle ore disperate. Vent’anni dopo, Piotr aveva di nuovo cambiato la storia barrayarana schierandosi a fianco di Ezar Vorbarra nella guerra civile terminata con la deposizione dell’Imperatore Yuri il Folle. Non era un burocrate da scrivania come gli alti papaveri che Henry poteva frequentare al Quartier Generale, questo era certo.

— È una persona affabile — gli assicurò Cordelia. — Lei dica due parole sui cavalli, o sulla guerra civile, e poi potrà rilassarsi e trascorrere il resto del tempo ad ascoltare.

Henry inarcò un sopracciglio, scrutandola in cerca di un accenno d’ironia. Era un uomo acuto. Cordelia gli sorrise allegramente.

Bothari taceva, lanciandole qualche occhiata nello specchietto sopra il pannello dei comandi. Cordelia se n’era già accorta. Il sergente appariva teso, quel giorno. Erano la posizione delle sue mani e il gonfiore dei muscoli sotto la nuca a tradirlo. I suoi occhi gialli — troppo vicini e neppure allo stesso livello, sopra quegli zigomi ossuti — erano illeggibili come al solito. Un po’ d’ansia per la visita del dottore? Impossibile dirlo.

Il territorio sotto di loro era appena ondulato, ma poco dopo sorvolarono le alture rocciose al confine del distretto lacustre. Più oltre si levavano le montagne, e Cordelia ebbe l’impressione di vedere il bianco delle prime nevi su alcune delle vette più alte. Bothari scese di quota, oltrepassò tre catene di colline, e virò ancora lungo il corso di una stretta valle. Pochi minuti più tardi, al di là di un’ultima dorsale, apparve il lago. Sulle colline campeggiava una lunghissima serie di fortificazioni, bruciate e in rovina; il paese era annidato più in basso, ai piedi delle alture. Bothari eseguì un cauto atterraggio verticale in un circolo bianco dipinto su una delle strade più larghe.

Il Dr. Henry prese la sua borsa da lavoro. — La visita non mi prenderà più di qualche minuto — disse a Cordelia. — Poi potremo proseguire.

Non dirlo a me. Dillo a Bothari. Cordelia s’era accorta che il sergente lo innervosiva. Il medico continuava a rivolgersi a lei, come se fosse l’unica in grado di tradurre le sue parole in termini comprensibili all’altro uomo. D’accordo, la corporatura di Bothari era impressionante, ma parlare come se non ci fosse non lo avrebbe fatto magicamente scomparire.

Bothari li precedette fino a una modesta abitazione a un piano, in una traversa che scendeva fra case e muretti fino al lago, e toccò la piastra del campanello. La porta fu aperta da una robusta donna di mezz’età, dai capelli grigi, che nel vederli sorrise. — Buongiorno, sergente. Accomodatevi, prego, è tutto pronto. Milady. — Mentre si scostava accennò un inchino verso Cordelia, con goffa cortesia.