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I due uomini che erano stati seduti davanti a lei in galleria le furono presentati. Entrambi erano impalliditi, e stringendole la mano s’inchinarono nervosamente.

— Ma voi vi siete già conosciuti — osservò Vorkosigan. — Ho visto che parlavate, in galleria. Che argomento avete trovato da discutere con tanta animazione, Cordelia?

— Oh… platetologia. Zoologia. E galateo barrayarano, anche. Una chiacchierata a vasto raggio. Abbiamo imparato gli uni dagli altri qualcosa di utile, direi. — Sorrise, e nel guardarli non batté ciglio.

Il capitano Evon Vorhalas, senza mascherare un certo disagio, aggiunse: — Sì. Io ho… imparato una lezione che non dimenticherò mai, milady.

Vorkosigan stava continuando le presentazioni. — Capitano Vorhalas, Lord Carl, il tenente Koudelka.

Quest’ultimo, carico di microdischi, con sottobraccio oltre al suo bastone anche quello decoratissimo di comandante in capo delle forze armate consegnato a Vorkosigan dopo il suo giuramento come Reggente, incerto se stringere loro la mano o inchinarsi cercò di fare lo stesso entrambe le cose e parecchi oggetti gli caddero. Ci fu un generale sfoggio di premura nel raccoglierli, e Koudelka si chinò goffamente anch’egli, rosso in viso. Lui e Droushnakovi misero una mano nello stesso momento sul suo bastone da passeggio.

— Non ho bisogno del suo aiuto, signorina! — le sibilò Koudelka sottovoce, e lei si rialzò al fianco di Cordelia, rigidamente.

Il capitano Vorhalas gli riconsegnò alcuni dischetti. — Mi scusi, signore — disse Koudelka. — Grazie.

— Di nulla, signor tenente. Sa, io stesso sono stato sfiorato da un distruttore neuronico, una volta. Un ricordo che mi fa ancora gelare il sangue. Lei è un esempio per tutti noi.

— Io… ho avuto buone cure, signore.

Cordelia, che sapeva bene quanto avesse sofferto durante quelle «buone cure», si limitò a un lieve sorriso, soddisfatta. Prima che ognuno andasse per i fatti suoi si fermò un momento davanti a Evon Vorhalas.

— È stato un piacere conoscerla, capitano. Credo che farà strada nella sua carriera… e non in direzione dell’Isola Kyril.

Un po’ accigliato, Vorhalas le sorrise. — È un augurio che faccio senz’altro anche a lei, milady. — Si salutarono con un cauto cenno del capo; poi Cordelia si volse, Vorkosigan le offrì il braccio e si avviarono insieme verso il resto del loro programma per quel giorno, affiancati da Koudelka e da Droushnakovi.

L’Imperatore di Barrayar cadde in coma una settimana dopo, ma la sua ultima scintilla di vita non si spense che sei giorni più tardi. Aral e Cordelia furono tirati giù dal letto nelle prime ore del mattino, a Casa Vorkosigan, dall’arrivo di un alfiere mandato dalla Residenza Imperiale con un semplice messaggio a voce: — I dottori credono che il momento sia giunto, signore. — Si vestirono in fretta e l’alfiere li scortò a palazzo fino alla sfarzosa camera che Ezar aveva scelto per il suo ultimo mese di vita, dove i preziosi soprammobili d’antiquariato facevano mostra di sé a fianco di scatole di medicinali e apparecchiature mediche.

La stanza era piena di gente silenziosa. Oltre al medico personale del vegliardo e alle infermiere c’erano Vortala, il Conte Piotr, La Principessa Kareen e il Principe Gregor, una decina di ministri e numerosi alti personaggi legati alla famiglia Vorbarra. La loro veglia in piedi, rotta solo da qualche sussurro, durò quasi un’ora prima che la pallida figura che giaceva sul letto a baldacchino scivolasse, quasi impercettibilmente, in un’immobilità ancor più totale. Il medico controllò i monitor e poi, ligio alle formalità, tastò il polso esangue e disse la frase di rito: — Signori, sua Altezza Imperiale Ezar Vorbarra, nostro sovrano, è appena spirato. Che Dio accolga la sua anima immortale. — Cordelia aveva comunque notato che non c’erano preti di nessuna religione. La scena le sembrava troppo macabra per farvi assistere un bambinetto di quattro anni, ma il protocollo esigeva implacabilmente la presenza dell’erede. Senza fretta e uno alla volta, a cominciare da Vorkosigan, tutti i presenti poggiarono un ginocchio al suolo davanti a Gregor, e con brevi parole rinnovarono a lui il loro giuramento di fedeltà.

Anche Cordelia, guidata dal marito, s’inginocchiò di fronte al bambino. Il Principe — Imperatore di fatto benché non ancora di nome — aveva i capelli neri di sua madre ma gli occhi azzurri dei Vorbarra, come Ezar e Serg, e lei si scoprì a chiedersi quanto di suo padre o di suo nonno fosse latente dietro la sua espressione, in attesa del potere che gli sarebbe venuto con l’età adulta. Porti anche tu una maledizione nei tuoi cromosomi, piccolo? pensò mentre metteva le mani fra quelle tenere di Gregor. Maledizione o benedizione che fosse, comunque, lei gli avrebbe giurato fedeltà. E le parole che disse recisero il suo ultimo legame con Colonia Beta; si spezzò con un ping! che poté udire soltanto lei.

Ora sono una barrayarana. Era stato uno strano lungo viaggio il suo, cominciato con la vista di un paio di stivali nel fango di un pianeta selvaggio e finito lì davanti a quel bambino silenzioso. Ti hanno detto che ho aiutato a distruggere tuo padre, Gregor? Lo verrai a sapere un giorno? Spero di no. E si chiese anche se fosse stato per delicatezza, o in previsione che quel momento sarebbe giunto, che nessuno le aveva chiesto di giurare a Ezar Vorbarra.

Di tutti i presenti soltanto il capitano Negri pianse. Cordelia fu probabilmente l’unica ad accorgersene perché gli stava accanto, nell’angolo più scuro della camera, e lo vide alzare due volte una mano agli occhi; il suo volto s’era fatto più rilassato e umano per un momento. Ma quando toccò a lui farsi avanti per giurare era tornato all’abituale fredda inespressività.

I cinque giorni di cerimonie funebri che seguirono furono faticosi per Cordelia, ma non così sgradevoli com’era stato per le esequie del Principe della Corona Serg, durate ben due settimane benché non ci fosse nessun corpo nella bara. La gente comune sapeva solo che il Principe Serg era morto combattendo eroicamente, come un soldato. A quanto ne sapeva Cordelia, soltanto cinque esseri umani conoscevano l’intera verità su quel sottile assassinio. Quattro, anzi, dopo la morte di Ezar. Forse la sua non era l’unica tomba a contenere segreti negati alla storia. Be’, il tormento del vecchio era finito, il suo tempo scaduto, la sua epoca relegata nel passato.

Non ci fu nessun genere di cerimonia tipo incoronazione per il piccolo futuro Imperatore, tuttavia lo aspettava una serie di impegni burocratici che egli sopportò con garbo, trascorrendo parecchie mattinate nella camera del Consiglio per accogliere il giuramento di altri ministri, dei Conti e di una quantità di loro familiari, e di chiunque altro volesse farlo o ne avesse l’obbligo per legge. Anche Vorkosigan ricevette i giuramenti di dozzine di personaggi politici, finché parve sentirne il peso come se questo gli accollasse sulle spalle una responsabilità in più.

Il bambino, sempre sostenuto e incoraggiato dalla madre, resse bene all’impegno. Kareen fece in modo che gli orari dei pasti e del sonno del figlio non fossero sconvolti dagli uomini indaffarati e poco pazienti che venivano alla capitale per ottemperare a quell’obbligo. La stranezza del sistema di governo barrayarano, con tutte le sue regole non scritte, stava cominciando a mettere Cordelia seriamente a disagio. Eppure funzionava, per quella gente. In qualche modo lo facevano funzionare. Se non c’era ancora un governo, fingevano di averlo. E forse tutti i governanti sapevano, in cuor loro, d’essere sostenuti da quella stessa finzione.

Quando l’impegno sociale di quelle cerimonie ebbe termine, Cordelia poté finalmente cominciare a metter mano alle routine domestiche di Casa Vorkosigan. Non che ci fosse molto da fare per lei. Di solito Vorkosigan usciva di casa all’alba, insieme a Koudelka, e rientrava dopo il tramonto, per buttare giù una cena fredda e chiudersi in biblioteca, e spesso riceveva visitatori fino al momento di andare a letto. Quell’orario gravoso gli costava caro, si disse Cordelia. Avrebbe potuto rilassarsi e diventare più efficiente solo dopo quel periodo iniziale, quando ogni cosa non fosse più successa per la prima volta. Lei ricordava bene il suo primo comando su una nave della Sorveglianza Astronomica Betana — non era poi trascorso tanto tempo — e i suoi primi mesi di faticose veglie e preparativi. In seguito aveva appreso ad affrontare gli stessi imprevisti in modo automatico, quasi inconsciamente, e la sua vita privata era riemersa. Anche ad Aral sarebbe accaduto questo. Lei aspettava con pazienza, e aveva sempre un sorriso per suo marito.