Una cultura quad che si espandeva lungo tutta la cintura, partendo dall’insediamento iniziale, una società di quad, fatta dai quad, per i quad; che scavava nelle rocce per proteggersi dalle radiazioni e per sigillare l’aria quanto mai preziosa, una società che si espandeva, che balzava di roccia in roccia, che scavava per costruire nuove case. Minerali dappertutto, più di quanti ne sarebbero mai serviti. Intere fattorie idroponiche per Silver. Un mondo nuovo da costruire. Un mondo nello spazio che avrebbe fatto apparire la Stazione Morita come un giocattolo.
— Ma è un problema d’ingegneria, dopo tutto! — esclamò, spalancando gli occhi felice.
Rimase a penzolare in aria, immobile e incantato; per fortuna in quel momento non c’erano passanti lungo il corridoio, o certamente avrebbero pensato che fosse matto o drogato.
La soluzione era sempre stata vicino a lui, in tanti minuscoli pezzi, invisibile, finché qualcosa in lui era cambiato. Sorrise come inebetito, sopraffatto dalla forza dalla visione. E vi si abbandonò senza riserve. Completamente. Non c’erano limiti a quello che un uomo poteva fare, se dava tutto se stesso, senza tirarsi indietro.
Senza tirarsi indietro, perché non vi sarebbe stato ritorno. Letteralmente, nel senso fisico del termine, quello era il punto. Gli uomini si adattavano all’assenza di peso, era il fatto di tornare indietro che li rendeva storpi.
— Io sono un quad — sussurrò stupito, guardandosi le mani, chiudendo e aprendo le dita. — Sono un quad con le gambe. — Non sarebbe tornato indietro.
Quanto alla base di partenza… stava fluttuando dentro di essa proprio in quel momento. Era sufficiente solo trasportarla da un’altra parte. I suoi pensieri stabilirono tutte le connessioni tanto rapidamente che non era possibile analizzarle. Non aveva bisogno di sequestrare un’astronave: c’era già dentro. Tutto quello che gli serviva era un po’ di energia.
E l’energia era lì, a portata di mano, nell’orbita di Rodeo, e in quel preciso istante veniva sprecata gratuitamente per spingere i prodotti petrolchimici fuori dall’orbita. Quale poteva essere la massa di un gruppo di capsule contenenti prodotti petrolchimici se paragonata ad una sezione dell’Habitat Cay? Leo non lo sapeva, ma era certo di poterlo scoprire. Le cifre sarebbero state dalla sua parte, comunque, qualunque fosse l’ordine di grandezza.
I razzi di una nave da trasporto potevano spingere l’Habitat, se questo veniva riconfigurato in maniera adatta, e tutto quello che potevano spingere i razzi di una nave da trasporto, potevano spingerlo anche i mostruosi superpropulsori da carico. Era tutto lì, tutto… pronto per essere afferrato.
Pronto per essere afferrato…
CAPITOLO OTTAVO
Ci volle un’ora di appostamento prima che Leo riuscisse a trovare Silver da sola, in un angolo non coperto dalle telecamere del corridoio che conduceva alla palestra a gravità zero.
— C’è un posto dove possiamo parlare in privato? — le chiese. — Voglio dire in privato sul serio.
Lei gettò uno sguardo cauto tutt’attorno, confermando così di aver capito perfettamente la sua richiesta. Ma esitò ugualmente. — È importante?
— Vitale. Si tratta di vita o di morte per tutti i quad. È abbastanza importante?
— Be’… aspetta un minuto o due e poi seguimi.
Camminò a debita distanza, lentamente e con aria casuale, seguendo il lampo dei suoi capelli lucenti e l’azzurro della maglietta, a questo o a quell’incrocio dell’Habitat. Poi, lungo un corridoio, all’improvviso la perse di vista. — Silver…?
— Ssst! — gli sibilò lei all’orecchio. Dal pannello di una parete che pendeva verso l’interno lei protese una delle robuste mani inferiori per trascinarlo dentro, come un pesce sulla lenza.
Per un attimo, l’ambiente dietro la parete gli parve scuro e angusto, poi le porte stagne si aprirono con un sibilo, rivelando una stanza dalla forma strana larga circa tre metri, dentro la quale scivolarono.
— Che luogo è questo? — chiese Leo stordito.
— Il Circolo. Noi lo chiamiamo così. L’abbiamo costruito in questa piccola sacca cieca. Dall’esterno non si nota, a meno che non la si stia cercando con la giusta angolazione. Tony e Pramod hanno costruito le pareti esterne. Siggy si è occupato di tutte le condutture, altri hanno stabilito i collegamenti elettrici… le porte stagne le abbiamo costruite usando pezzi di ricambio.
— E nessuno si è accorto della loro scomparsa?
Il sorriso di lei non fu affatto innocente. — Sono i quad ad occuparsi della registrazione dei dati nei computer. È come se le parti avessero semplicemente cessato di esistere nell’inventario. Abbiamo lavorato in gruppo… l’abbiamo finito appena due mesi fa. Ero certa che la dottoressa Yei e il signor Van Atta ne avrebbero scoperto l’esistenza quando mi hanno interrogata — il sorriso si trasformò in una smorfia al ricordo, — ma non mi hanno mai fatto la domanda giusta. Adesso gli unici video che ci sono rimasti sono quelli che per caso erano stati portati qui, e Darla non ha ancora collegato l’impianto.
Leo seguì la direzione dello sguardo di Silver che si era posato su di un’apparecchiatura olovideo inattiva, chiaramente in corso di riparazione, fissata alla parete. C’erano altre comodità: luci, appigli per le mani, un armadietto a muro che era pieno di sacchetti di cibo disidratato sottratti all’Alimentazione, uva passa, noccioline e simili. Leo fece lentamente il giro della stanza, esaminando nervosamente il lavoro: era solido. — L’idea di questo posto è stata tua?
— Più o meno. Ma comunque non avrei potuto realizzarlo da sola. Renditi conto che è assolutamente contro le regole averti portato qui — aggiunse Silver con una certa aggressività, — per cui è meglio che tu abbia una ragione valida, Leo.
— Silver — disse lui, — è questo tuo modo pragmatico, anzi assolutamente unico, di interpretare le regole, che in questo momento fa di te la quad più preziosa di tutto l’Habitat. Ho bisogno di te, del tuo coraggio e di tutte quelle altre qualità che indubbiamente la dottoressa Yei definirebbe antisociali. Anch’io ho un lavoro che non posso fare da solo — trasse un profondo respiro. — Cosa ne pensereste, voi quad, di avere una vostra cintura degli asteroidi?
— Che cosa? — chiese lei, spalancando gli occhi.
— Bruce sta cercando di tenere la cosa sotto silenzio, ma è stata appena decretata la fine del Progetto Cay… e intendo nel significato più sinistro della parola.
Le riferì nei particolari le voci riguardanti il sistema antigravità e i piani segreti di Van Atta per disfarsi dei quad. Cercando di non lasciarsi trascinare dalla foga le descrisse la sua visione della fuga. Non ebbe bisogno di ripetere nulla due volte.
— Quanto tempo ci resta? — chiese, quando lui ebbe finito.
— Non molto, al massimo qualche settimana. Mancano solo sei giorni per la mia licenza di gravità sul pianeta. Devo trovare un modo per evitarla, perché ho paura che non riuscirei più a tornare qui. Noi… voi quad, dovete scegliere ora. E io non posso farlo per voi, posso solo aiutarvi in alcune parti. Se non riuscirete a salvare voi stessi, sarete perduti, questo è certo.
Silver emise un fischio sommesso, con espressione molto preoccupata. — Per quanto riguarda Tony e Claire, ho pensato… ho pensato che lo stessero facendo nel modo sbagliato. Tony parlava di trovare lavoro, ma lo sai che non aveva pensato di portarsi una tuta da lavoro? Io non voglio fare gli stessi errori. Non siamo fatti per viaggiare da soli, Leo. Forse è una necessità dovuta al modo in cui ci hanno creati.
— Ma puoi convincere gli altri? — chiese Leo ansiosamente. — In segreto? La fine più rapida che riesco ad immaginare per questa piccola rivoluzione è qualche quad che si fa prendere dal panico e spiattella tutto, per fare bella figura. Questa è una cospirazione vera e propria, tutte le regole sono abolite. Io sacrifico il mio lavoro, rischio un processo, ma voi rischiate molto di più.