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— Ha sentito…

L’atteggiamento cupo e sconfortato della donna rispose alla sua domanda ancor prima che Leo finisse di formularla con la voce strozzata e il viso pallido.

— Sì, ho sentito — disse stancamente, sollevando lo sguardo su di lui. — Bruce ha appena scaricato sulla mia scrivania tutta l’organizzazione logistica per l’evacuazione del personale dell’Habitat. Lui, così mi dice, essendo un ingegnere, si occuperà dei diagrammi di smantellamento e del recupero dei macchinari e degli equipaggiamenti. Non appena gli avrò tolto di mezzo i corpi. Chiedo scusa, i maledetti corpi.

Leo scosse il capo disorientato. — E lei lo farà?

La donna scrollò le spalle, stringendo le labbra. — Come posso non farlo? Rassegnando le dimissioni con aria sdegnata? Non cambierebbe nulla. Tutta questa faccenda non diventerebbe certo meno brutale se io me ne andassi, anzi potrebbe peggiorare di parecchio.

— Non vedo come — fu il commento tagliente di Leo.

— Ah, no? — La dottoressa aggrottò la fronte. — No, immagino che non lo capisca. Lei non ha mai compreso fino in fondo il delicato equilibrio legale in cui versano i quad, ma io sì. Una mossa sbagliata e… al diavolo tutto quanto. Sapevo che Apmad andava trattata con cautela. Tutto mi è sfuggito di mano. Anche se immagino che questa faccenda della gravità artificiale avrebbe mandato a monte il progetto anche se ci fosse stato qualcun altro al suo posto… be’, siamo lo stesso fortunati, molto fortunati che non abbia ordinato lo sterminio dei quad. Deve capire che Apmad ha dovuto interrompere qualcosa come quattro o cinque gravidanze per difetti genetici, sul suo pianeta d’origine, quando era giovane. Era la legge. Alla fine ci ha rinunciato, ha chiesto il divorzio, ha trovato lavoro fuori dal pianeta con la GalacTech e si è fatta strada. Vi sono profonde ragioni emotive nei suoi pregiudizi contro le manipolazioni genetiche, e io lo sapevo. Potrebbe ancora ordinare l’uccisione dei quad, lo capisce questo? Qualunque rapporto relativo a inquietudini, guai e malumori, aggiunto alle sue paranoie sulla genetica. … — La dottoressa chiuse gli occhi e si massaggiò le tempie con la punta delle dita.

— Potrebbe ordinarlo… ma chi dice che lei dovrebbe eseguire l’ordine? Ha detto che aveva a cuore i quad. Dobbiamo fare qualcosa! — disse Leo.

— Che cosa? — la dottoressa strinse i pugni e poi li riaprì. — Che cosa, che cosa, che cosa? Uno o due… anche se potessi adottarne uno o due di essi, portarli via con me, sottrarli di nascosto in qualche modo o altro… e poi? Portarli a vivere con me su di un pianeta, isolati socialmente come storpi, scherzi di natura, mutanti… presto o tardi diventerebbero adulti, e allora? E che ne sarebbe degli altri? Sono un migliaio, Leo!

— E se Apmad ordinasse il loro sterminio, che scusa troverebbe allora per non fare nulla?

— Oh, se ne vada — gemette. — Non ha nessuna comprensione per la complessità della situazione, nessuna. Che cosa crede che possa fare una persona sola? Una volta avevo una mia vita, una volta, prima che questo lavoro se la ingoiasse. Ho dato sei anni della mia vita, che sono cinque e tre quarti più di quanto abbia dato lei, insomma, ho dato tutto quello che potevo. Sono esaurita. Quando me ne andrò da questo buco, non voglio mai più sentir parlare di quad. Non sono figli miei. Io non ho avuto tempo di avere bambini

Si sfregò gli occhi, infuriata, e tirò su col naso, reprimendo… lacrime? O solo bile? Leo non lo sapeva e non gli importava.

— Non sono i bambini di nessuno, questo è il guaio — borbottò adirato. — Sono una specie di… orfani genetici o qualcosa del genere.

— Se non ha nulla di utile da dire, per favore se ne vada — ripeté lei, indicando con un gesto tutte le carte. — Ho del lavoro da sbrigare.

Leo non aveva più colpito una donna da quando aveva cinque anni, Tremando, se ne andò.

Veleggiò lentamente lungo i corridoi, diretto al suo alloggio, cercando di calmarsi. E che cosa diavolo aveva sperato di ottenere dalla dottoressa Yei? Forse che lo sollevasse dalle sue responsabilità? Anch’egli voleva scaricare la sua coscienza sulla scrivania della dottoressa, come aveva fatto Bruce, dicendo: — Se ne occupi lei?

Eppure, eppure, eppure… lì, da qualche parte, c’era una soluzione. La sentiva, una vaga ombra palpabile, come un nodo nei visceri, una frustrazione che urlava e cresceva sempre più. Il problema che rifiutava di suddividersi nei pezzi giusti, la soluzione elusiva… be’, aveva risolto problemi tecnici che all’inizio si erano presentati come una parete compatta e invalicabile. Non sapeva da dove venivano quegli scatti intuitivi che alla fine gli permettevano di arrivare alla cima, sapeva solo che non si trattava di un processo cosciente, anche se a cose fatte era in grado di descriverlo con eleganti diagrammi. Non riusciva a risolverlo e non poteva smettere di tentare, ma continuava a sbatterci contro inutilmente, come quando si tormenta una crosticina, spinto da una frenesia che non faceva che aumentare. Le ruote giravano, senza imprimere alcun movimento.

— È qui dentro — sussurrò, toccandosi il capo. — Lo sento. Solo… non riesco… a vederla…

In qualche modo dovevano uscire dallo spazio di Rodeo, fin qui non c’erano dubbi. Era quella particolare e maledetta situazione legale. Che cosa poteva fare: sequestrare un’astronave a balzo? Ma le astronavi per il personale portavano appena trecento passeggeri. Non riusciva quasi ad immaginare se stesso che impugnava… cosa? Quale arma? Non aveva armi da fuoco, solo un coltellino tascabile, che conteneva soprattutto cacciaviti… bene, poteva puntare un cacciavite alla testa di un pilota, gridando: — Portaci ad Orient IV! — dove sarebbe stato immediatamente arrestato e imprigionato per i prossimi vent’anni per azione di pirateria, lasciando i quad a fare… cosa? In ogni caso, non poteva sequestrare tre navi in una volta sola e quello era il numero minimo che gli sarebbe servito.

Leo scosse il capo — La fortuna aiuta — mormorò, — la fortuna aiuta, la fortuna aiuta…

Orient IV non avrebbe accettato i quad. Nessuno avrebbe voluto i quad. Che futuro avrebbero potuto avere, anche se fossero riusciti a liberarsi dal giogo della GalacTech? Orfani vagabondi, di volta in volta ignorati, sfruttati o maltrattati, perché dipendenti dai pochi ambienti spaziali a disposizione. Le trappole della tecnologia. Si figurò Silver: non aveva dubbi sul genere di sfruttamento a cui sarebbero andate incontro quelle come lei, con quel viso elegante e quel corpo. Non c’era posto per lei, là fuori…

No! Fu il grido silenzioso di rifiuto. L’universo era così maledettamente grande. Ci doveva pur essere un posto. Un posto per loro, lontano dalle trappole e dagli inganni della cosiddetta civiltà umana. La storia dei precedenti esperimenti di utopia sociale in isolamento non erano incoraggianti, ma i quad erano eccezionali sotto ogni aspetto.

E, tra un respiro e l’altro, ebbe una visione improvvisa. Non sotto forma di una catena di ragionamenti, una parola dopo l’altra, ma come un’immagine accecante, completa e dettagliata fin dal primo istante, inerente, olistica, ispirata. Ogni ora della sua vita, da quel momento in poi, sarebbe stata un’esplorazione di quella pienezza.

Un sistema solare con una stella M o G o K, stabile, dolce, che riversava energia pronta da utilizzare. Intorno ad essa orbitava un gigante gassoso come Giove, con un anello di metano e ghiaccio, per fornire l’acqua, l’ossigeno, l’idrogeno, l’azoto. E, cosa più importante di tutte, una cintura di asteroidi.

E notò anche assenze altrettanto importanti: nessun pianeta come la Terra che potesse attirare la concorrenza; e neppure un luogo nelle vicinanze di un corridoio per il balzo su una rotta strategica per potenziali conquistatori. L’umanità aveva scoperto centinaia di sistemi del genere, nella sua ricerca ossessiva di mondi simili alla Terra. Le carte spaziali ne erano piene.