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Alla fine riuscì a rintracciare Mary nel laboratorio, intenta a parlare al telefono… a quanto pareva le linee erano di nuovo in funzione anche se il video era inattivo.

Mary comunque non lo stava guardando, perché il suo sguardo era fisso su una consolle il cui schermo mostrava l'immagine diramata delle tabelle dei contatti.

— Qual è esattamente la difficoltà? — stava domandando. — Aveva detto che sarebbe stato qui due giorni fa.

Seguì una pausa mente la persona celata dietro la neve che offuscava il video forniva una scusa di qualche tipo.

— Cosa significa che è stato mandato indietro? — esclamò Mary, incredula. — Qui ho un migliaio di persone malate di influenza.

Ci fu un'altra pausa durante la quale Mary dattiloscrisse qualcosa, facendo apparire una tabella diversa.

— Allora mandatelo di nuovo! — gridò poi. — Ne ho bisogno adesso! Qui ci sono persone che stanno morendo. Lo voglio qui per il… hello? Mi sente?

Lo schermo si spense e nel girarsi per premere il pulsante dell'apparecchio Mary si accorse di Dunworthy.

— Mi sente? — ripeté, mentre gli segnalava di entrare nell'ufficio. — Hello? — Poi sbatté giù il ricevitore con violenza. — I telefoni non funzionano, la metà del mio personale ha contratto il virus e gli analoghi non sono qui perché qualche idiota non ha permesso che entrassero nell'area di quarantena — commentò in tono rabbioso, poi sedette davanti alla consolle e si sfregò gli zigomi con le dita, aggiungendo: — Scusami, ma è stata una giornata piuttosto brutta. Questo pomeriggio ho avuto tre decessi, uno dei quali un bambino di sei mesi.

Aveva ancora il rametto di agrifoglio infilato nel bavero del camice, ma tanto il rametto quanto il camice avevano un'aria molto malconcia e lei appariva impossibilmente stanca, con gli occhi e la bocca segnati da linee profonde. Dunworthy si chiese quando fosse stata l'ultima volta che aveva dormito e se sarebbe stata in grado di ricordarselo nel caso che glielo avesse chiesto.

— Non ci si abitua mai all'idea di essere impossibilitati a fare qualsiasi cosa — aggiunse lei, passandosi ora le dita sugli occhi.

— No.

— Avevi bisogno di qualcosa, James? — chiese Mary, sollevando lo sguardo su di lui con l'aria di essersi resa conto soltanto adesso della sua presenza.

Non dormiva da chissà quando, era senza aiuti, aveva perso tre pazienti fra cui un bambino piccolo… aveva abbastanza problemi anche senza preoccuparsi per Kivrin.

— No — replicò Dunworthy, alzandosi in piedi e porgendole il modulo. — Mi serve soltanto la tua firma.

Lei firmò senza neppure guardare di cosa si trattava.

— Questa mattina sono andata da Gilchrist — disse, nel restituirgli il foglio.

Dunworthy si limitò a fissarla, troppo sorpreso e commosso per parlare.

— Volevo vedere se mi riusciva di convincerlo ad aprire la rete in anticipo. Gli ho spiegato che non c'era bisogno di aspettare che si fosse effettuata un'immunizzazione generale, che l'immunizzazione di una percentuale critica di portatori del virus elimina in maniera efficace i vettori di contagio.

— E nessuna delle tue argomentazioni ha avuto il minimo effetto su di lui.

— No. È assolutamente convinto che il virus sia venuto dal passato — sospirò Mary. — Ha tracciato dei diagrammi delle sequenze di mutazione ciclica dei myxovirus di Tipo A, e secondo tali diagrammi uno dei myxovirus di Tipo A esistenti nel 1318-19 era un H9N2 — spiegò, massaggiandosi di nuovo la fronte. — Di conseguenza non riaprirà la rete finché l'immunizzazione non sarà stata completata e la quarantena tolta.

— E quando sarà? — domandò Dunworthy, anche se ne aveva un'idea abbastanza precisa.

— La quarantena deve rimanere in vigore per sette giorni dal termine dell'immunizzazione o quattordici dal verificarsi dell'ultimo caso — rispose lei, come se gli stesse dando cattive notizie.

Ultimo caso… significava due settimane senza che si ammalasse nessun altro.

— Quanto ci vorrà per l'immunizzazione su scala nazionale?

— Non molto, una volta che avremo scorte sufficienti di vaccino. Per la Panepidemia ci sono voluti diciotto giorni.

Diciotto giorni, e questo dopo che fossero state fabbricate scorte sufficienti di vaccino. Voleva dire la fine di gennaio.

— Non è abbastanza presto — affermò.

— Lo so. Dobbiamo identificare in maniera inequivocabile la fonte dei virus, ecco tutto — replicò Mary, girandosi verso la consolle. — La risposta è qui, sai… stiamo semplicemente guardando nel posto sbagliato — proseguì, inserendo una nuova tabella. — Ho effettuato delle correlazioni alla ricerca di studenti di veterinaria, di contatti primari che vivano nelle vicinanze di uno zoo o in zone rurali. Questa è una tabella dei contatti secondari, vagliati alla ricerca di cacciatori e cose del genere, ma il contatto più vicino che uno qualsiasi di loro ha avuto con un uccello acquatico è stato mangiare oca durante il pranzo di Natale.

Richiamò le carte dei contatti, dove il nome di Badri figurava ancora per primo, e per un momento rimase a fissarle con la stessa espressione remota che Montoya aveva avuto nell'esaminare le ossa emerse nei suoi scavi.

— La prima cosa che un dottore deve imparare è a non essere troppo duro con se stesso se perde un paziente — commentò poi, e Dunworthy si chiese se si stesse riferendo a Kivrin oppure a Badri.

— Ho intenzione di far riaprire la rete — dichiarò.

— Lo spero — sospirò Mary.

La risposta non era racchiusa nelle carte dei contatti o negli elementi comuni fra i malati, era chiusa in Badri il cui nome era ancora in cima alla lista, nonostante tutte le domande che lui aveva rivolto ai casi primari e tutte le false piste che avevano seguito. Badri era il caso indice e in un momento imprecisato in un periodo che andava da quattro a sei giorni prima della transizione era stato a contatto con un focolaio di infezione.

Si recò a vedere Badri e scoprì che alla scrivania fuori della stanza sedeva ora un infermiere, un giovane alto e nervoso che non dimostrava più di diciassette anni.

— Dov'è…? — cominciò Dunworthy, rendendosi conto di non conoscere neppure il nome dell'infermiera bionda.

— Si è ammalata, ieri — spiegò il ragazzo. — È il ventesimo caso all'interno del personale e sono a corto di sostituti quindi hanno chiesto l'aiuto degli studenti del terzo anno. In effetti io sono del primo anno, ma ho fatto un corso di pronto soccorso.

Ieri. Quindi era trascorso un intero giorno senza che nessuno scrivesse le parole pronunciate da Badri.

— Ricorda qualcosa che Badri possa aver detto mentre era con lui? — chiese, senza troppa speranza. Uno studente del primo anno. — Qualche parola o frase che le sia riuscito di capire?

— Lei è il Signor Dunworthy, vero? — domandò il ragazzo, porgendogli un set di IPS. — Eloise mi ha avvertito che voleva sapere tutto quello che il paziente diceva.

Dunworthy infilò il nuovo set di IPS appena arrivato… questi camici di carta erano bianchi ed erano contrassegnati da piccole croci nere lungo l'apertura. Si chiese a chi si fossero rivolti per ottenerli.

— Eloise stava terribilmente male ma continuava a ripetere che era una cosa importante — spiegò il ragazzo, accompagnando Dunworthy nella stanza di Badri. Una volta entrato indugiò a fissare gli schermi sul letto per poi abbassare lo sguardo sul malato… se non altro lui guarda il paziente, pensò Dunworthy.

Badri giaceva con le braccia fuori delle coltri, tormentando le lenzuola con mani che sembravano quelle raffigurate nell'illustrazione della tomba del cavaliere, sul libro di Colin; gli occhi infossati erano aperti ma lui non stava guardando né l'infermiere né Dunworthy e neppure il lenzuolo, che le sue mani irrequiete non sembravano essere in grado di stringere.

— Avevo letto di cose del genere sui testi medici — commentò il ragazzo, — ma non l'avevo mai visto dal vivo. Si tratta di un sintomo terminale comune nei casi di malattie respiratorie.