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— Sono assolutamente d'accordo — convenne Finch, serrandole il braccio con la stessa decisione con cui avrebbe afferrato una corda di campana e riportandola al suo giaciglio.

Colin arrivò di corsa, fradicio come al solito e quasi bluastro per il freddo, con la giacca aperta e la sciarpa grigia di Mary che gli penzolava inutilmente dal collo.

— È da parte dell'infermiere di Badri — disse, porgendo un messaggio a Dunworthy, poi aprì un pacchetto di tavolette dolci e se ne mise in bocca una azzurra.

Il messaggio era fradicio quanto lui e diceva «Badri chiede di lei», anche se la parola «Badri» era talmente sbiadita dall'acqua che si distingueva soltanto la B.

— L'infermiere ti ha detto se Badri sta peggio? — chiese Dunworthy.

— No, ha raccomandato soltanto di consegnarle il messaggio, e la prozia Mary vuole sapere quando verrà per la sua inoculazione. Ha aggiunto che non sa quando arriverà l'analogo.

Dunworthy aiutò Finch a rimettere a letto la Signora Piantini poi si affrettò a raggiungere l'Infermeria e a salire nella Sezione d'Isolamento, dove si trovò di fronte un'altra infermiera che non conosceva, questa volta una donna di mezz'età con i piedi gonfi che sedeva con gli arti dolenti puntellati sulla scrivania e intenta a guardare un video da tasca. Quando lo vide arrivare si affrettò a metterlo via e ad alzarsi.

— Lei è il Signor Dunworthy? — domandò, bloccandogli il passo. — La Dottoressa Ahrens la vuole vedere immediatamente dabbasso.

Lo disse in tono molto quieto, perfino gentile, tanto che lui credette che stesse cercando di risparmiarlo e non volesse fargli vedere cosa c'era nella stanza. Vuole che sia Mary a dirmelo, pensò.

— Si tratta di Badri, vero? È morto?

L'infermiera parve sinceramente sorpresa.

— Oh, no, oggi sta molto meglio. Non ha avuto il mio biglietto? Si è addirittura seduto.

— Seduto? — ripeté Dunworthy, fissando la donna e chiedendosi se stesse delirando per la febbre.

— È ancora molto debole, naturalmente, ma la sua temperatura è normale e lui è cosciente. Lei però deve prima vedere la Dottoressa Ahrens al Pronto Soccorso, perché ha detto che era una cosa urgente.

— Lo avverta che verrò da lui non appena mi sarà possibile — replicò Dunworthy, lanciando uno sguardo meravigliato in direzione della porta di Badri, poi si allontanò in tutta fretta.

E per poco non andò a sbattere contro Colin, che stava entrando in quel momento.

— Cosa ci fai qui? — gli chiese. — Ha forse telefonato qualcuno dei tecnici?

— Sono stato assegnato a lei — spiegò Colin. — La prozia Mary non si fida che lei si faccia fare l'inoculazione per rinforzare i linfociti T, quindi io devo accompagnarla di sotto a farsela fare.

— Non posso. C'è un'emergenza al Pronto Soccorso — replicò Dunworthy, avviandosi con passo rapido nel corridoio.

— Dopo l'emergenza, allora — insistette Colin, correndo per tenere il suo passo. — La prozia ha detto che non devo permetterle di lasciare l'Infermeria senza essere stato sottoposto all'inoculazione.

Mary venne loro incontro non appena l'ascensore si aprì.

— Abbiamo un altro caso — annunciò in tono cupo, avviandosi verso il Pronto Soccorso. — Si tratta di Montoya, la stanno portando qui da Witney.

— Montoya? — ripeté Dunworthy. — È impossibile. Era agli scavi, completamente sola.

— No, a quanto pare — ribatté Mary, aprendo le porte doppie con una spinta.

— Ma lei ha detto… sei certa che si tratti del virus? Stava lavorando sotto la pioggia, quindi forse ha preso qualche altra malattia.

Mary però scosse il capo.

— Il personale dell'ambulanza ha effettuato un'analisi preliminare, e i risultati collimano con il virus — replicò, fermandosi all'accettazione. — Sono già qui? — chiese al paramedico di turno.

— Hanno appena superato il perimetro — rispose questi, con un cenno negativo del capo.

Mary si avvicinò alle porte e guardò fuori, come se non avesse creduto alle parole dell'uomo.

— Montoya ha telefonato questa mattina, e appariva molto confusa — disse, girandosi di nuovo verso di loro. — Io ho contattato Chipping Norton, che è l'ospedale più vicino e ho chiesto che mandassero un'ambulanza, ma mi hanno risposto che ufficialmente gli scavi sono sotto quarantena. Liberare una delle nostre ambulanze perché andasse a prenderla era però impossibile, e alla fine sono riuscita ad ottenere che l'SSN concedesse una deroga a Chipping Norton perché potessero mandare loro un'ambulanza. Quando è andata agli scavi? — chiese, guardando di nuovo fuori.

— Ecco… — cominciò Dunworthy, cercando di ricordare. Montoya gli aveva telefonato il giorno di Natale per chiedergli un'informazione a proposito dei centri di pesca scozzesi, poi aveva richiamato nel pomeriggio per dire che «non importava» perché aveva deciso di contraffare la firma di Basingame. — Il giorno di Natale, se gli uffici dell'SSN erano aperti — rispose infine, — oppure il ventisei… no, era Santo Stefano. Il ventisette, allora, e da quel momento non ha più visto nessuno.

— Come lo sai?

— Quando le ho parlato si è lamentata di non riuscire a mantenere gli scavi asciutti da sola. Voleva che telefonassi all'SSN perché mandasse degli studenti ad aiutarla.

— E quanto tempo fa è successo?

— Due… no, tre giorni fa — rispose Dunworthy, accigliandosi. — Le giornate tendono a confondersi fra loro, quando non si va mai a dormire.

— È possibile che dopo aver parlato con te abbia trovato alla fattoria qualcuno che l'aiutasse?

— D'inverno là non c'è nessuno.

— Se ben ricordo, Montoya ha la tendenza a reclutare chiunque le capiti intorno. Forse ha reclutato qualche passante.

— Ha detto che non ce n'erano. Gli scavi sono molto isolati.

— Eppure deve aver incontrato qualcuno. È rimasta agli scavi per sette giorni e il periodo di incubazione del virus va soltanto dalle dodici alle quarantotto ore.

— Ecco l'ambulanza — avvertì Colin.

Montoya oltrepassò le porte, tallonata da Dunworthy e da Colin. Due paramedici muniti di maschera issarono una barella su un carrello a ruote e Dunworthy riconobbe uno di loro… quello che aveva aiutato a ricoverare Badri.

Colin era chino sulla barella e stava osservando con interesse Montoya, che giaceva con gli occhi chiusi. La testa era tenuta sollevata con alcuni cuscini e il volto aveva lo stesso rossore intenso di quello della Signora Breen. Colin si protese ancora di più in avanti e l'archeologa gli tossì in faccia.

Dunworthy afferrò il ragazzo per il colletto della giacca e lo trassse indietro.

— Allontanati da lì — ingiunse. — Stai forse cercando di contrarre il virus? Perché non hai indosso la maschera?

— Perché non ce ne sono.

— Non dovresti essere qui. Voglio che torni a Balliol e…

— Non posso. Sono stato incaricato di badare che lei riceva l'inoculazione.

— Allora siediti laggiù — ordinò Dunworthy, scortandolo fino a una sedia nell'area di attesa, — e tieniti alla larga dai pazienti.

— È meglio che non cerchi di tagliare la corda — ammonì Colin, ma si sedette e tirò fuori di tasca la solita gomma da masticare, pulendola su una manica della giacca.

Dunworthy tornò vicino alla barella.

— Lupe — stava dicendo Mary, — le dobbiamo rivolgere qualche domanda. Quando si è ammalata?

— Questa mattina — rispose Montoya, con voce rauca, e Dunworthy si rese conto di colpo che doveva essere stata lei la donna che gli aveva telefonato. — La scorsa notte ho avuto uno spaventoso mal di testa — spiegò, portandosi una mano infangata alla fronte, — ma ho pensato che fosse dovuto al fatto che avevo sforzato troppo gli occhi.

— Chi c'era con lei agli scavi?

— Nessuno — replicò l'archeologa, in tono sorpreso.

— Cosa mi dice dei viveri? Qualcuno di Witney le ha portato delle scorte di viveri?

Montoya accennò a scuotere il capo in un gesto di diniego, ma apparentemente questo le causò dolore perché si bloccò.