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Si accostò quindi alla consolle e richiamò qualcosa, indicando poi lo schermo in alto a sinistra.

— Ho scritto tutto — disse.

E lo aveva fatto davvero, perfino le cose incomprensibili. Aveva scritto i suoni, con ellissi a indicare le pause e (sic) accanto a parole di significato incerto. «Mezza» aveva scritto, e «panettiere (sic)» e «Perché non viene?».

— Queste sono prevalentemente annotazioni di ieri — precisò quindi, spostando il cursore verso la parte inferiore dello schermo. — Questa mattina ha parlato ancora un poco, anche se adesso naturalmente non riesce a dire nulla.

Dunworthy sedette accanto a Badri e gli prese la mano, che risultava gelida al tatto anche attraverso i guanti impermeabili. Lanciando un'occhiata allo schermo della temperatura vide che Badri non aveva più la febbre e che il rossore cupo sembrava essere svanito con essa. Adesso pareva che il suo viso avesse perso ogni traccia di colorito, e la sua pelle aveva il colore della cenere bagnata.

— Badri — chiamò. — Sono il Signor Dunworthy. Devo farti alcune domande.

Non ci fu risposta e la mano continuò a giacere inerte in quella guantata di Dunworthy, mentre l'altra persisteva a tormentare la coperta.

— La Dottoressa Ahrens pensa che tu possa aver contratto la malattia venendo a contatto con qualche animale, un'anatra o un'oca selvatica.

L'infermiere fissò con interesse prima Dunworthy e poi Badri, come se stesse sperando che lui manifestasse qualche altro fenomeno medico non ancora conosciuto.

— Badri, riesci a ricordare? Hai avuto contatti con oche o anatre nella settimana precedente la transizione?

La mano di Badri si mosse e Dunworthy la guardò con espressione accigliata, chiedendosi se il tecnico stesse cercando di comunicare, ma quando allentò la stretta scoprì che quelle dita troppo sottili stavano soltanto tentando di pizzicargli il palmo, le dita, il polso.

Di colpo si vergognò di stare lì seduto a tormentare Badri con le sue domande anche se lui era incapace di sentire, incapace di rendersi conto della sua presenza o di provarne interesse.

— Riposa — disse, adagiandogli la mano sulla coperta e battendovi sopra un colpetto gentile. — Cerca di riposare.

— Dubito che la possa sentire — commentò l'infermiere. — Quando arrivano a questo punto non sono più veramente coscienti.

— Lo so — annuì Dunworthy, ma rimase lo stesso seduto lì.

L'infermiere regolò una flebo, la sbirciò con aria nervosa e la regolò ancora, poi guardò Badri con espressione ansiosa ed effettuò una terza regolazione prima di decidersi ad uscire. Dunworthy rimase lì seduto a guardare le dita del tecnico che pizzicavano senza posa le lenzuola, cercando di afferrarle senza però riuscirci, cercando di tenere duro. Di tanto in tanto lui mormorava qualcosa, in tono troppo sommesso per essere udibile. Dunworthy si mise a massaggiargli un braccio, su e giù, e dopo un po' i movimenti irrequieti delle dita rallentarono, anche se lui non avrebbe saputo dire se era un buon segno.

— Cimitero — disse Badri.

— No — mormorò Dunworthy. — No.

Rimase ancora un poco a massaggiare il braccio del malato, ma poi smise quando questo parve accentuare la sua agitazione.

— Cerca di riposare — disse, e uscì.

L'infermiere era seduto alla scrivania, intento a leggere una copia di Cura dei Pazienti.

— La prego di avvertirmi quando… — cominciò Dunworthy, poi si rese conto che non sarebbe riuscito a finire la frase e ripeté soltanto: — La prego di avvertirmi.

— Sì, signore — annuì il ragazzo. — Dove posso trovarla?

Dunworthy si frugò in tasca alla ricerca di un pezzo di carta su cui scrivere e trovò la lista dei medicinali da richiedere, di cui si era completamente dimenticato.

— Mi troverà a Balliol — disse. — Mandi un messaggero.

E tornò all'Approvvigionamento.

— Non ha compilato i moduli in modo adeguato — gli fece notare la megera inamidata, quando glieli consegnò.

— Li ho fatti firmare — ribatté lui, porgendole la lista. — Ora pensi lei a compilarli.

— Non abbiamo né maschere né pillole termometriche — affermò la vecchia, guardando la lista con aria di disapprovazione, poi si protese a prendere una bottiglietta di aspirina e aggiunse: — E abbiamo finito anche la sintamicina e l'AZL.

La bottiglia di aspirina conteneva forse venti pastiglie. Dunworthy la mise in tasca e si avviò lungo la High verso la farmacia, davanti alla quale una piccola folla di dimostranti si era raccolta sotto la pioggia brandendo cartelli con la scritta «INGIUSTIZIA!» e «Prezzi da Strozzini!»

Entrando, Dunworthy scoprì che le maschere erano finite e che pillole termometriche e aspirina avevano un costo esorbitante, ma comprò lo stesso tutta la scorta che c'era.

Trascorse la notte distribuendo i medicinali e studiando la cartella di Badri alla ricerca della fonte del virus. Badri aveva gestito una transizione in sito nell'Ungheria del Diciannovesimo Secolo il dieci di dicembre, ma la scheda non diceva in che parte dell'Ungheria e William, che stava flirtando con una delle «ospiti» ancora in piedi, non lo sapeva, e i telefoni erano di nuovo inattivi.

Lo erano ancora il mattino successivo quando Dunworthy tentò di telefonare per informarsi sulle condizioni di Badri senza riuscire neppure ad ottenere il segnale della linea. Non appena posò il ricevitore, però, l'apparecchio trillò.

Era Andrews, e Dunworthy non riuscì quasi a sentire la sua voce a causa delle scariche di statica.

— Mi dispiace di averci messo tanto — disse il tecnico, e aggiunse qualcosa che si perse completamente nella statica.

— Non riesco a sentirla — gridò Dunworthy.

— Ho detto che ho avuto difficoltà ad avere la linea. I telefoni…

— Un'altra scarica di statica. — Ho effettuato i controlli dei parametri, usando tre diversi L/L e triangolando la… — Il resto andò perduto.

— Qual è stato lo slittamento massimo? — gridò Dunworthy.

— Sei giorni — rispose Andrews, in un momento di assoluta chiarezza della linea. — Questo con un L/L di… — Altra statica. — Ho effettuato alcune proiezioni statistiche e il massimo possibile per qualsiasi L/L con una circonferenza di cinquanta chilometri è risultato sempre di cinque anni.

La statica si levò ancora ruggente e la linea cadde.

Dunworthy posò il ricevitore. Sapeva che avrebbe dovuto sentirsi rassicurato ma non riusciva ad evocare in sé nessuna emozione. Gilchrist non aveva la minima intenzione di aprire la rete il sei gennaio, sia che Kivrin fosse lì per il recupero o meno. Allungò la mano per chiamare l'Ufficio Scozzese per il Turismo e in quel momento l'apparecchio suonò di nuovo.

— Parla Dunworthy — disse, socchiudendo gli occhi per scrutare lo schermo, ma l'immagine visiva era ancora soltanto un ammasso di neve.

— Chi? — chiese una voce femminile che suonava rauca o alticcia.

— Scusi, volevo chiamare… — mormorò poi, aggiungendo qualche altra cosa troppo indistinta per essere compresa, e lo schermo si spense.

Dunworthy attese un poco per vedere se l'apparecchio suonava ancora, poi andò nell'ala Salvin. La campana di Magdalen stava battendo l'ora e il suo suono sembrava quello di una campana a morto sotto la pioggia incessante. A quanto pareva anche la Signora Piantini aveva sentito la campana, perché era uscita in cortile in camicia da notte e stava sollevando solennemente le braccia secondo un ritmo che solo lei poteva sentire.

— Medio, sbagliato e in caccia — disse, quando Dunworthy cercò di riportarla dentro.

Finch apparve sulla soglia con aria preoccupata.

— Si tratta delle campane, signore — spiegò, afferrando la donna per l'altro braccio. — La mettono in agitazione. In queste circostanze, non credo che dovrebbero continuare a suonarle.

— Ogni uomo deve restare alla sua campana senza interruzione — disse in tono furioso la Signora Piantini, liberandosi con uno strattone dalla mano di Dunworthy.