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— Stai soffrendo? — chiese ancora. — Dove ti fa male?

L'uomo riaprì gli occhi e le sue mani si mossero irrequiete sul copriletto. Anche quello era un sintomo della febbre tifoidea, ma soltanto all'ultimo stadio e dopo otto o nove giorni di malattia. D'un tratto Kivrin si chiese se il prete fosse già malato al suo arrivo.

Quando era sceso da cavallo aveva incespicato e il monaco aveva dovuto sorreggerlo, ma poi alla festa aveva mangiato e bevuto in abbondanza e aveva infastidito Maisry. Di conseguenza non poteva essere stato molto malato e la febbre tifoidea insorgeva in maniera graduale, cominciando con l'emicrania e temperatura mediamente elevata, per poi arrivare al 39 gradi verso la terza settimana.

Kivrin, si sporse in avanti, spingendo di lato la camicia in parte slacciata alla ricerca dello sfogo rosato proprio del tifo, ma non ne trovò traccia. I lati del collo sembravano leggermente gonfi ma del resto quasi ogni infezione portava un gonfiarsi delle ghiandole linfatiche: Un esame delle braccia non rivelò traccia di sfoghi rosati ma le unghie risultarono essere di un colore fra l'azzurro e il marrone, il che indicava una carenza di ossigeno… e la cianosi era un sintomo del colera.

— Ha vomitato o avuto un cedimento dell'intestino? — chiese.

— No — replicò Lady Imeyne, intenta a spalmare un impiastro verdastro su un rigido pezzo di lino. — Ha mangiato troppi zuccheri e spezie che gli hanno causato la febbre nel sangue.

Senza il vomito non poteva essere colera e comunque la febbre era troppo alta. Forse si trattava del suo virus, dopo tutto, ma lei non aveva avuto dolori allo stomaco e la sua lingua non si era gonfiata in quel modo.

Il segretario sollevò una mano e spinse il panno lontano dalla fronte e sul cuscino, lasciando poi ricadere la mano lungo il fianco. Kivrin raccolse lo straccio e scoprì che era del tutto asciutto… cosa poteva causare una febbre tanto alta a parte un virus? La sola cosa a cui riusciva a pensare era la febbre tifoidea.

— Ha perso sangue dal naso? — domandò a Roche.

— No — rispose Rosemund, al posto del prete, venendo avanti per togliere lo straccio dalle mani di Kivrin. — Non ho visto traccia di sangue.

— Bagnalo di acqua fredda ma non lo strizzare — ordinò Kivrin, accennando al panno, poi continuò, rivolta al prete: — Padre Roche, aiutami a sollevarlo.

Roche fece leva sulle spalle del religioso e lo sollevò a sedere, ma neppure sui lini sotto la sua testa c'era traccia di sangue.

— Credi che sia febbre tifoidea? — domandò Roche, nel riadagiare il malato sul letto, e nel suo tono echeggiò una strana nota quasi speranzosa.

— Non lo so — ammise Kivrin.

Eliwys le porse lo straccio e lei scoprì di essere stata presa in parola e che il panno era gocciolante di acqua gelida.

Protendendosi in avanti lo posò sulla fronte del malato, che però sollevò di colpo le braccia in un gesto violento, facendole cadere la pezza di mano e si sollevò poi a sedere cercando di colpirla con le mani e scalciando con i piedi. Un pugno la raggiunse sul lato della gamba e le fece piegare le ginocchia, mandandola quasi a cadere sul letto.

— Mi dispiace, mi dispiace — disse Kivrin, cercando di ritrovare l'equilibrio e di bloccargli le mani. — Mi dispiace.

Adesso gli occhi iniettati di sangue del malato erano spalancati, con lo sguardo fisso.

— Glorìam tuam! — tuonò, con una strana voce acuta che era quasi un urlo.

— Mi dispiace — ripeté Kivrin, afferrandogli un polso, ma l'altro braccio dell'uomo si mosse di scatto, colpendola in pieno petto.

— Requiem aeternam dona eis, — ruggì il religioso, sollevandosi in ginocchio e poi in piedi nel centro del letto. — Et lux perpetua luceat eis.

D'un tratto Kivrin si rese conto che l'uomo stava cercando di recitare la messa per i defunti. Intanto Padre Roche aveva tentato di afferrare il malato per la camicia, ma lui si liberò a calci e continuò a scalciare ruotando su se stesso come se stesse ballando.

— Miserere nobis.

Adesso era troppo vicino alla parete perché potessero raggiungerlo, e ad ogni movimento colpiva con le braccia e con le gambe la superficie di legno, anche se non sembrava accorgersene.

— Quando ci arriva a portata dobbiamo afferrarlo per le caviglie e buttarlo giù — suggerì Kivrin.

Padre Roche annuì, con il fiato corto, mentre gli altri restarono assolutamente immobili e non cercarono neppure di fare qualcosa, Imeyne ancora in ginocchio, Maisry appiattita contro la finestra con gli occhi chiusi e le mani sugli orecchi, Rosemund con lo straccio bagnato da lei recuperato proteso in una mano come se pensasse che Kivrin potesse tentare di posarlo ancora sulla testa dell'uomo. Agnes stava fissando a bocca aperta il corpo seminudo del segretario.

Questi si girò di scatto verso di loro, artigliando con le mani i lacci sul davanti della camicia e cercando di lacerarli.

— Adesso — disse Kivrin.

Insieme, lei e Padre Roche afferrarono le caviglie del malato, che crollò su un ginocchio e poi, senza cessare di mulinare le braccia, si liberò e si lanciò giù dal letto, direttamente addosso a Rosemund. La ragazza protese in avanti le mani, sempre stringendo lo straccio, e il segretario la colpì in pieno petto.

— Miserere nobis! — gridò, mentre crollavano insieme a terra.

— Prendilo per le braccia prima che le faccia del male — esclamò Kivrin, ma adesso l'uomo aveva smesso di dibattersi e giaceva immobile su Rosemund, con la bocca che quasi toccava la sua e con le braccia abbandonate lungo i fianchi.

Padre Roche lo prese per una spalla e lo fece rotolare lontano dalla ragazza; l'uomo si accasciò su un fianco, con il respiro ora poco profondo e non più affannoso.

— È morto? — domandò Agnes.

Come se la sua voce avesse infranto una specie di incantesimo tutti si mossero in avanti e Lady Imeyne si alzò faticosamente in piedi, aggrappandosi al letto.

— Blackie è morto — aggiunse la bambina, aggrappandosi alle gonne della madre.

— Non è morto — sentenziò Imeyne, inginocchiandosi accanto al malato, — ma la febbre del sangue gli è salita al cervello. È spesso così.

Non è mai così, pensò Kivrin. Questi sintomi non corrispondono a nessuna malattia che io abbia mai sentito nominare. Cosa potrebbe essere? Meningite spinale? Epilessia?

Si chinò su Rosemund, che giaceva rigida sul pavimento con gli occhi serrati e le mani strette a pugno fino a far sbiancare le nocche.

— Ti ha fatto male? — le chiese.

— Mi ha spinta a terra — rispose Rosemund, con voce un po' tremante, riaprendo gli occhi.

— Riesci a rialzarti?

Rosemund annuì e sua madre venne avanti, con Agnes sempre attaccata alle gonne; fra tutte e due aiutarono Rosemund a rimettersi in piedi.

— Ho male a un piede — si lamentò lei, appoggiandosi alla madre, ma dopo un momento poté gravare di nuovo il peso sul piede in questione. — Lui… all'improvviso…

Eliwys la sorresse fino all'estremità del letto dove la fece sedere sulla cassapanca intagliata, e Agnes si sistemò subito accanto a lei.

— Il segretario del vescovo ti è saltato addosso — commentò.

Il malato mormorò qualcosa e Rosemund gli scoccò un'occhiata spaventata.

— Si alzerà ancora? — chiese ad Eliwys.

— No — la rassicurò lei, ma aiutò comunque la figlia ad alzarsi e la condusse alla porta, dicendo ad Agnes: — Accompagna tua sorella giù vicino al fuoco e restale vicino.

Agnes prese Rosemund per un braccio e uscì con lei.

— Quando il segretario morirà lo seppelliremo nel cortile della chiesa — le sentì dire Kivrin, mentre scendeva le scale. — Come Blackie.

Il segretario sembrava già morto, con gli occhi socchiusi e vitrei. Padre Roche gli si inginocchiò accanto e se lo issò senza difficoltà in spalla, con le braccia e la testa penzoloni, nello stesso modo in cui Kivrin aveva riportato a casa Agnes dalla messa di mezzanotte, e non appena lei ebbe tirato indietro il copriletto lo riadagiò sul giaciglio.